Le notti di Francoforte. Aneddoto filosofico di Giorgio Antonucci
Pablo Picasso
“La vita è cosa dubbia, voglio passare la mia a pensarci”.
Arturo Schopenhauer
Nessun viaggio
potrà
portarti
lontano
almeno
così
lontano
che tu
possa
fuggire
la paura.
– Anche se è opportuno essere aperti e tolleranti si deve dire che la pazienza non è nè può essere infinita e, come dice il proverbio, il troppo stroppia, e i nervi saltano anche ai più quieti.-
Così diceva dentro di sè, riflettendo sui fini ultimi, il filosofo dilettante di Francoforte Arturo Schopenhauer.
– Proprio perchè la vita umana non è del tutto da rifiutarsi fa dispiacere che sia tormentata ed effimera, e forse senza scopo e senza seguito.
Allora non è da gentiluomini permettersi di sostenere che questo è il migliore dei mondi possibili quando anche l’ultimo dei camerieri di osteria può immaginarne uno migliore, un pò più felice e più bello, e più che altro meno crudele.
Ma chi era questo autore tedesco, così bravo in matematica da fare invidia a Newton, ma così insufficiente in filosofia da far morire di bile ogni uomo ragionevole? Che voleva questo Leibniz?
Noi viviamo solo un giorno e non si vede il mare due volte e le stelle del cielo non ci guardano nemmeno, tanto poco si dura.-
Il filosofo dilettante camminava sul fiume a grandi passi.
Il crepuscolo avanzava impetuoso nei vicoli malinconici della città.
Alcuni mendicanti, consumati dal tempo, allungavano le mani con poca fiducia.
Dall’interno di una finestra illuminata arrivava attutito il suono di un pianoforte, come l’accompagnamento d’un canto d’amore.
– Appunto l’amore sessuale – continuava a pensare e mormorare il filosofo dilettante – questa astuzia ingenerosa della volontà del mondo per cui ciascuno merita piaceri del paradiso e miracoli del sentimento trovandosi dopo deluso e spossato come un toro della maremma, o freddo e incantato come un pesce della palude.
Petrarca se avesse consumato l’amore con Laura non avrebbe scritto neanche un verso, oppure si sarebbe rivolto ad altre fantasie.
Illusioni, solo illusioni.
E poi la morte che ci fa stare in sospeso come animali in un recinto chiuso, che aspettano le decisioni del macellaio.-
Nella birreria c’era un’aria raccolta e fumo e birra e qualche sussurro tra gli avventori.
Il filosofo si era seduto accanto a due uomini che bevevano in silenzio.
C’era un caminetto col fuoco e alla parete una vecchia stampa con una nave piegata sotto un cielo scuro, oltre al disegno della torre della cattedrale.
Schopenhauer continuava a pensare e a parlare con se stesso.
– E meno male che gli ha risposto Voltaire a quel matematico stravagante con quell’autentico capolavoro che è ‘Candido’. Così da un male può nascere un bene e dalla pazzia pericolosa la saggezza sapiente.
E Voltaire dice anche che ci si può pure uccidere se questo serve a salvare la dignità. Anzi dice che è un segno di maturità sapere anche tirarsi da parte al momento giusto, come facevano spesso gli antichi.
Non riesco di sicuro a dire se è logico.
Però ora tutti, grandi e piccolini, ci si attacca alla vita come polipi agli scogli.
Così mi sembra.
Si chiacchera e si vivacchia come fanno e consigliano i filosofi universitari, i ciarlatani di Stato, pensatori da stipendio.
Lo spirito assoluto avrebbe trovato proprio qui in Germania, con la roba che si mangia e il clima che abbiamo, il suo ambiente più appropriato.
Questi idealisti attuali sono ancora peggio del vecchio matematico.
Autorizzano i tedeschi ad ammazzare chiunque in nome dello Stato come fossero i delegati di Dio per attuare appunto “il migliore dei mondi possibili”.
Parlano dell’avvenire della nazione.
Niente di più stupido.
Ci aspettano tempi paurosi di barbarie rinnovata. Altro che progresso.
Eppure stanotte le stelle risplendevano nel cielo come lumini tremolanti e mi davano il senso inconfondibile di una natura beata.
Come quando si ascolta Beethoven o si legge una lirica di Goethe.
Sono momenti in cui la volontà del mondo si burla di noi e ci seduce in modo tendenzioso e ingannevole come fanno le donne di malaffare la sera nei vicoli o le fanciulle deliziose dal corpo esile e dagli occhi lucenti il giorno quando escono da scuola.-
– Ci incontriamo per pura combinazione – disse uno dei due uomini al tavolo guardando negli occhi Schopenhauer – Ci si vede e non si sa il motivo, mio caro signore, e si beve per consolarci.-
Era un lavoratore anziano col carnato bruno e le mani nodose.
– Proprio ieri si è rovesciata la barca ed è morto il mio compagno di pesca e io mi sono trovato sulla riva per caso. –
Una cosa terribile.
– Ma forse non è un caso – rispose Schopenhauer – forse c’è una legge al di là delle apparenze, una volontà. –
– Non lo credevo superstizioso, signore – disse l’uomo – per me ci sono solo le sventure, che non sono un’apparenza, anche se non significano nulla, e ci lasciano soli con le malinconie notturne e con la paura del futuro.
Schopenhauer tornò a casa con passo nervoso attraverso le strade buie bagnate dalla pioggia recente.
Considerò le statue della facciata del duomo.
Rifletteva sulla struttura della città antica con il centro circoscritto e i sobborghi e meditava con diffidenza sullo squallore dei nuovi quartieri industriali, apparentemente senza limiti.
Sul suo tavolo trovò due messaggi, uno dell’editore che rifiutava di pubblicare i suoi ultimi scritti, e l’altro dell’università di Heidelberg che respingeva la sua domanda di insegnamento.
Spinse da parte le buste. Accarezzò il cane.
Si mise a guardare la parete con aria assente.
Meno male che non aveva la televisione.
Bisogna dire che lui non aveva mai sperato nei beni della tecnologia come strumenti di felicità o di educazione.
Lui meditava sul nulla.
Firenze ottobre 1993
Pubblicato il 29 July, 2015
Categoria: Testi