“Sottovuoto” di Alice Banfi – Eugen Galasso
Dopo “Tanto scappo lo stesso”, sempre presso Stampa alternativa, edito nel 2008, la giovane pittrice e scrittrice Alice Banfi, milanese ma residente a Camogli, si ripropone con “Sottovuoto”, efficace rtitratto (ed è espressione corretta, trattandosi di una pittrice, capace di far sempre interagire le due arti) di uno spaccato del reale in quello viviamo: quello dell'”assistenza psichiatrica” o meglio della convinzione, dettata dal potere psichiatrico, di dover-voler-poter curare malattie e disturbi psichici. Dopo la legge 180, la famosa “legge Basaglia”, sono stati aboliti i “manicomi”, intesi come reclusori, come luoghi di detenzione fissi. Ma i reparti psichiatrici di molti “Ospedali civili” e talora le “comunità” (casa-famiglia oppure con dizione similare)riproducono strutture simili, solo con camuffamenti vari e diversi (mutatis mutandis, se vogliamo dire così), dove comunque l'”essere” della persona (o individuo, ma non voglio entrare nella vexata quaestio) viene gettata sia dalla porta sia dalla finestra… Con stile scanzonato, usando soprattutto lemmi tratti dalla vita e non dalla letteratura (altra vexata quaestio…) la Banfi tratta anche del dramma e in alcuni casi della tragedia, sicura oppure “probabile”, ma qui non si vorrebbe che la recensione iper-interpretasse il testo letterario, che, senza essere propriamente un documento (mancherebbero riferimenti troppo precisi, di carattere analitico-documentario), rivaluta quel genere fondamentale che è l’autobiografia, dove propriamente siamo nel “récit”, ossia nella “narrazione” ( più che nel “romanzo”). Non mancano i “gros mots”, cioè le parolacce; ma senza le parolacce – lo ricordo, ma penso che ogni buon lettore lo sappia – non ci sarebbero, tra gli altri, Petronio Arbitro, Moravia, Pasolini, ma anche Testori, Rabelais, De Sade, quasi tutta la letteratura contemporanea, in specie gli scrittori americani della “beat generation”, ma anche tanto mainstream contemporaneo, per non dire della letteratura di genere… Stile paratattico, dialogico, estremamente comunicativo, il che non esclude dei momenti ellittici estremamente efficaci, quasi delle “epifanie” in una scrittura che solo apparentemente potrebbe sembrarci “uniforme”, ma in realtà non lo è affatto. Testimonianza sì , nella Banfi, propaganda mai; eppure il testo, a leggerlo bene, è profondamente “politico”, sempre che si recuperi l’ètimo originario del lemma, rimandando alla polis, alla Città-Stato, per cui la politica non ha niente a che vedere con la mera adesione ai partiti e alle loro strategie e tattiche… Del resto, poi, per la contestualizzazione socio-psicologica, si legga l’attenta prefazione (saggio introduttivo, possiamo dire tranquillamente)della sociologa prof. Maria Grazia Giannichedda, già stretta collaboratrice di Franco Basaglia e ora presidente della Fondazione intitolata a Franca e Franco Basaglia.
Eugen Galasso