Cancrini: no elettrochoc – Eugen Galasso
In un volume di 22 anni fa, concepito in forma di “libro-intervista” dal titolo “Date parole al dolore”, edito da Frassinelli, curato da Stefania Rossini nel 1996, Luigi Cancrini, psichiatra e psicanalista, un’autorità nella lotta contro le dipendenze, in specie da droga, un esponente – a suo tempo – della cultura di sinistra, segnatamente del PCI (Partito Comunista Italiano), quando questo esisteva. Incentrato sul tema della depressione, pur se non in modo esclusivo, Cancrini ne parla come di “quel gran mare di situazioni che oggi molti vogliono chiamare “depressione” (op.cit, pp.110-111), dove comunque Cancrini, a differenza della prospettiva “rivoluzionaria” (purché si intenda bene il termine) di Giorgio Antonucci, riconosce l’esistenza della “malattie psichiche” (non diremo, comunque, “mentali”) ma ne relativizza la porta, riconducendole, senza orientarsi dogmaticamente verso un indirizzo psicanalitico o psicoterapeutico (non potremmo classificarlo come “freudiano”, “adleriano”, “junghiano”, seguace del cognitivismo, della teorie sistemica o altro) determinato. Molto interessante la parte nella quale (capitolo sesto del volume) nega validità all’elettrochoc (o shock, all’inglese), “per ragione terapeutiche, non per ragioni di principio” (ibidem, p.92): “L’elettrochoc , come l’eroina, è uno strumento al servizio dei meccanismi di difesa basati sulla negazione…L’episodio depressivo può anche essere momentaneamente interrotto dalla scossa elettrica, ma (è una prima possibilità) tornerà presto, sarà più grave e sarà vissuto dal paziente come una maledizione , perché sarà diminuita la consapevolezza di sé e delle proprie esperienze. Oppure darà luogo (seconda possibilità) a un deterioramento progressivo della personalità”(cit., p.93). Cancrini ricorda inoltre la morte neuronale indotta da questa barbara pratica, tuttora in vigore soprattutto(ma non solo) nelle cliniche private, da un certo numero di anni anche nelle strutture pubbliche della sanità italiana, ma purtroppo ancora regolarmente praticata in paesi arretrati, su questo piano, quali Gran Bretagna e Austria oltre a i paesi, ovviamente, a struttura politica autoritaria o totalitaria. Un libro forse non attualissimo, da leggere con le avvertenze del caso anticipate in apertura di testo, ma estremamente critico anche verso gli psicofarmaci. Peccato che quanto rimane della “sinistra istituzionale” (PD ma anche “Liberi e Uguali”) si disinteressi del tema e comunque oggi accolga il peggio dell’esistente… Eugen Galasso
Pubblicato il 30 July, 2018
Categoria: Presentazione, Testi
Esempi di accoglienza secondo l’humanitas – Maria D’Oronzo
La città del secondo rinascimento – Trimestale, n.77 – Febbraio 2018
Presentazione del libro “La chiave comune. Esperienze di lavoro presso l’Ospedale psichiatrico Luigi Lolli di Imola”, di Giovanni Angioli, ed La Mandragola.
Il libro di Giovanni Angioli è importante non soltanto perché raccoglie gli elementi principali della sua vita, ma anche perché è un racconto, un’autobiografia, una testimonianza del suo lavoro, attraverso cui offre spunti, riflessioni e un metodo a chi si avvicina alle istituzioni totali, di cui c’è ancora molto da dire, nonostante la nostra democrazia.
Uno dei problemi principali in quest’ambito rimane il ricovero coatto, che avviene attraverso il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Parliamo di persone che vengono prelevate con la forza, portate via dalla loro famiglia, dal loro ambiente, quindi trattenute, sempre con la forza: persone a cui vengono iniettate sostanze contro la loro volontà. Parliamo di tortura. Recentemente in Italia è stato redatto un Disegno di Legge contro la tortura, già presente in Senato. Se passa alla Camera, questa iniziativa deve riguardare anche la psichiatria, perché la convenzione dell’ONU considera tortura qualsiasi sostanza che venga iniettata nel corpo contro la volontà della persona. Questi argomenti vengono affrontati nel libro “La chiave comune” con una scrittura molto fluida e semplice, nonostante i temi trattati. Leggiamo di persone ricoverate per anni, di cui Angioli dà testimonianza a partire dalla sua lunga esperienza presso l’Ospedale di Imola e, in particolare, presso il reparto Autogestito, esperienze a cui ho partecipato anch’io, negli ultimi quattro anni. Al reparto Autogestito venivano “buttate” dagli altri reparti persone che gli psichiatri ritenevano di non essere più in grado di gestire. Il libro narra le storie di queste persone, in molti casi anche le storie pregresse, prima del ricovero, tratte dalle loro narrazioni, tratteggiate da Angioli con grande sensibilità ed efficacia. Storie che parlano d’isolamento, d’incomprensione, spesso di soprusi familiari e sociali, senza contare quelli subiti all’interno dell’istituzione, ma anche di talenti pregressi. Penso che questa azione di presa in carico, di accoglienza attiva da parte del personale del reparto Autogestito possa essere ancora un essempio in vari ambiti, specialmente in questo periodo di grandi flussi immigratori. Il lavoro svolto all’Autogestito è stato di umanità nel senso più vasto della parola. Non c’era superficialità nell’accoglienza, non c’era la volontà di accogliere tanto per accogliere, per un generico buonismo, anzi, per ciascuna persona si discuteva molto, c’erano dubbi. C’erano le assemblee, le discussioni, le occasioni di parola per ciascuno, invitato ad esprimere le proprie problematiche, i propri dubbi, le proprie paure. Fin dall’inizio del mio tirocinio presso il reparto, nel 1992, sono sempre stata accolta con attenzione e invitata a partecipare, a esprimere il mio parere, ma, in questa prima fase, ritenevo di avere soprattutto da imparare. Il reparto era già rodato e ben funzionante, ma, per costituirlo, c’era voluto un grande lavoro organizzativo, di elaborazione e di superamento di grandi resistenze, istituzionali e burocratiche.
A proposito di questo lavoro, occorre parlare di Giorgio Antonucci, entrato nella storia per il suo operato, per la sua testimonianza costante e per i suoi scritti, purtroppo recentemente scomparso, che a un certo punto assunse la responsabilità di tutto l’andamento del reparto. Ricordo che Antonucci ringraziò Giovanni Angioli, nel momento del conferimento del premio a lui intitolato, perché senza la sua alleanza egli stesso non avrebbe potuto spingersi fin dove è arrivato.
Pubblicato il 25 July, 2018
Categoria: Presentazione
Le contraddizioni psichiatriche – Eugen Galasso
Piero Cipriano, psichiatra “contro”, che è convinto di muoversi sulle orme di Franco Basaglia, ultimamente è molto attivo, anche per la promozione del suo nuovo libro. Se in vari testi, ormai è anche collaboratore fisso di “A” e nel testo di giugno, parlando del rischio di degenerazione cyber della psichiatria, parla della pistola “Taser”, sorta di arma aerospaziale (cyber, dunque, in qualche modo) per neutralizzare una detenuta, negli States, che, comunque, definisce “schizofrenica”, ciò che certo, nell’ottica di Szasz e di Giorgio Antonucci non esiste, voglio dire l’etichetattura in termini meramente nosografici di una persona. Anche in un’intervista in www.carmillaonline.corom , sempre a proposito del pericolo cyber parla del rischio “Panottico” (strumento ventilato dal filosofo del 1700 Jeremy Bentham), ossia di un controllo relativo per es. relativo all’assunzione di antipsicotici da “far assumere” (sic!) a un”malato di mente”. Bene che Cipriano critichi l’uso repressivo della psichiatria, mentre sconcerta non poco che egli si muova, comunque, in un’ottica ancora di tipo “nosografico” per cui si etichettano le persone non in baso alle caratteristiche individuali ma a una classificazione ancora riferita alla psichiatria, ossia alla”normalità”, oppure alla “nevrosi”, alla “psicosi” etc. Forse un “salto” ulteriore che Cipirano, per ora, non si sente di fare… Eugen Galasso
Pubblicato il 6 July, 2018
Categoria: Notizie