Giorgio Antonucci – Eugen Galasso
Nel complesso della sua opera, di pensiero e azione (dove entrambi i livelli sono stati sempre strettamente interrelati, implicantisi a vicenda), di clinica e di riflessione, Giorgio Antonucci, come si può vedere nel suo ormai cospicuo macrotesto, bypassa completamente l’ascientificità della psichiatria, non a caso chiudendo i reparti, con le loro coazioni, con le repressioni indotte (tramite “terapia” elettroconvulsiva, shock insulinico, psicofarmaci etc.), arrivando a negare, ben più “radicalmente” (nell’accezione letterale dell’avverbio) di Basaglia e Laing le istituzioni e le teorie e le pratiche mortali che hanno creato a detrimento di chi non rientra in quella convenzione imposta che si chiama “norma”, di chi non vi rientra né con il pensiero né con il comportamento, di cui la parola, nella nostra cultura logocentrica, è elemento essenziale. Della sua importante opera scritta, dicevo, di cui il recente “Diario dal Manicomio” è punto (per ora) culminante: opera veramente “sinfonica” (non è casuale l’interesse quasi primario, comunque dominante, del dott.Antonucci per la musica, segnatamente sinfonica) dove, oltre l’apparenza, poesia, prosa narrativa, riflessioni, documenti di vita, non sono che tasselli di un mosaico che si distende, appunto, in una meravigliosa crezione sinfonica. Il terenziano “Nihil humani a me alienum puto” (nulla di umano mi è estraneo) è assunto naturaliter da Antonucci, che considera la persona (o individuo, non si vuol fare qui del nominalismo ideologico) pienamente, quale rispetto per chiunque, comunque si ponga e qualunque cosa pensi, comunque agisca etc.
Eugen Galasso
Pubblicato il 24 December, 2011
Categoria: Notizie
Casseri – Il violento non è pazzo – Eugen Galasso
Brejvic, il razzista norvegese (cristiano-massone, seguace di confuse teorie esoteriche) che aveva bombardato socialisti e soprattutto extracomunitari e Casseri, il ragioniere-esoterista del contado pistoiese, frequentatore di “Casa Pound” non sono da inquadrare come “pazzi” (che non vuol dire nulla, Antonucci non da solo docet), ma sono espressione di una subcultura vagamente esoterica, ovviamente con certe differenze (Casseri più esoterista nazifascista, Brejvic razzista non nazista etc… e qui mi perderei in lunghe divagazioni ininteressanti per il sito), comunque entrambi (“me^me combat”, stessa lotta, sciocca aggiungo) sono figli del fraintendimento, non sanno, per usare l’espressione evangelica, distinguere “il grano dal loglio”, ossia non hanno facoltà critica: Lovecraft, tanto amato da Casseri, era razzista perché coltivava “aberranti” teorie post-darwiniane (Darwin resta un grande, certi suoi seguaci lo declinavano scioccamente), ma anche un grande scrittore. Saper discernere le cose, anzi meglio i concetti , non è da tutti. Ho fatto l’esempio di Lovecraft, ma potrei prendere Spengler, in cui l’idea della progressione storica in senso ciclico è falsata dal freintendimento della teoria hinduista del “Kali Yuga”, ossia del declino inarrestabile, per cui bisognerebbe reagire a tale declino, peraltro visto come “necessitato”. Idem per Ezra Pound, grandissimo poeta, che la sua critica del capitalismo (cfr.gli scritti sull’usura, ancora oggi atualissimi) portò a esaltare il fascismo (ma Pound fu vittima del potere USA, che lo internò in manicomio…). Chi legge acriticamente e vive di chimere indimostrabili, ha il diritto di farlo, senza usare violenza, però. Lovecraft, “the lonelyman of Providence” (il solitario di Providence) era un “orso”, quasi un misantropo, ma non sparava agli Afroamericani, né era del “Ku-Kux-Clan” a quanto risulta. Non per questo, però, chi è violento è “pazzo”: delinque e come tale, a mio parere, va condannato.
“Onore” (beh, insomma…) a Brejvic che vuol essere condannato e non passare per”matto”, mentre Casseri, per alcuni “fanatici” sarà un eroe, anche perché “dopo ha tolto il disturbo”…. Eugen Galasso
Pubblicato il 19 December, 2011
Categoria: Testi
“La grande festa” – Dacia Maraini racconta di Giorgio Antonucci
In questo libro c’è una parte in cui Dacia Maraini racconta del lavoro di Giorgio Antonucci nei reparti di Imola.
Suicidio e depressione – Eugen Galasso
Fabrizio Cicchitto, ha perplessità sulle cliniche svizzere che vivono di “eutanasia assistita”, ossia depredano coloro che, per motivi diversi, decidono di farla finita. Lucio Magri, come scrive don Andrea Gallo, il prete genovese ribelle e libertario che la Chiesa gerarchica non espelle (ancora) perché teme di far troppa pubblicità al dissenso-diaspora, a quello che esplicitamente, due anni fa, in un convegno, veniva definito”scisma”, era troppo timido e discreto per “macchiare di sangue il selciato”. La scelta di Magri, come quella di Jean Amery, pseudonimo di Hans Mayer, scrittore ebreo-viennese, già “ospite” del lager, che teorizzò la libertà di suicidarsi, come quella di Primo Levi, altro intellettuale ebreo ospite di chi voleva “la purezza della razza ariana”, come quella recente di Mario Monicelli, come quella di tanti/e che lo hanno fatto o lo fanno per i motivi più diversi, è da rispettare assolutamente, da accettare in pieno come espressione di libertà (certo non mi arruolo con chi vuole l’individuo al servizio dello Stato, della “comunità”, lemma pericoloso per come è stato spesso usato-travisato, almeno da Toennies in poi…), dove credo che, ben più di certe tesi filosofiche sul “suicidio cosmico” teorizzate “in buona fede” ma suscettibili di derive à la Jim Jones (la setta che lo praticò in Guyana, a fine anni Settanta), valgano i “Pensieri sul suicidio” di Giorgio Antonucci, dove, tra l’altro, demolisce i pregiudizi sulla “depressione” (dalla stazione ferroviaria al “posto di lavoro”, dal bar alla spiaggia al reparto psichiatrico di ospedale o clinica tutti ne parlano, dicendo “era depresso”, dove non si tratta neppure di tautologia, essendo ben più onesta la versione medievale, appunto “sanamente” tautologica, che recita: “L’oppio fa dormire perché ha in sé la virtus dormitiva”). D’altronde, dico il vero: non so se si possa dire con Don Gallo, che “lo lasciamo (Magri, sott.) nelle braccia del Grande Amore”. Me lo auguro, ma per me, cristiano gnostico, Dio trascende ogni qualità, quindi anche l’amore, che pur qualità somma, ritengo “troppo umana”. Vedremo in seguito altre reazioni, se ce ne saranno (quelle che ci sono state segnano un nuovo discrimine tra “laici” e “cattolici”, quasi non ci fossero differenze sostanziali all’interno di tali schieramenti…) ma, ben conscio dell’impossibilità – per me – di seguire Pannella e il padre di Eluana Englaro, Peppino, nel “suonare la grancassa per l’eutanasia”, pena l’apologia delle sopraindicate cliniche svizzere, credo che si debba un grazie a Don Gallo, che d’ora in poi avrà sempre più problemi con cardinali et similia, per le sue parole, compresa quella per cui dice expressis verbis che avrebbe comunque fatto di tutto per convincerlo a non farlo, se l’avesse visto-sentito o incontrato. Qualche accidentale delizia, certo passeggera, nel “mondo di lacrime” c’é: un bel gattino, un paesaggio, nonostante tutto anche l’amore…
Eugen Galasso
Pubblicato il 7 December, 2011
Categoria: Testi
La cultura “fa anche mangiare” – Eugen Galasso
Contro la retorica del “Bambole non c’è una lira”, che (ricavo la notizia da Internet, lo confesso, pur conoscendo l’espressione da tempo), era uno spettacolo italiano di avanspettacolo-varietà degli anni 1970, Franco Cardini, studioso e docente di storia medievale e non solo, intellettuale di grande spessore (da cui molto mi allontana, in specie il suo orientamento da cattolico-conservatore, ma che apprezzo e stimo comunque), ribadiva, meno di una settimana fa, che la stretta economica non deve andare versus la cultura che invece, anche contro quanto affermava l’ineffabile (ex-) ministro Tremonti, “fa anche mangiare” cfr.(turismo, luoghi artistici in Italia). Importante, il rilievo cardiniano: se riuscissimo a convincere chi di dovere (?) che lavorando con e per la cultura si riesce anche ad aprire/far aprire, gradualmente, gli occhi alla gente, sarebbe anche meglio. Se abbiamo sradicato la credenza nelle streghe, nel “malocchio”, nelle superstizioni varie, a fortiori o almeno parimenti dobbiamo sradicare la credenza nella malattia mentale, che sarebbe fòmite di delinquenza, di infiniti danni etc. Accettare chi pensa diversamente, chi si comporta come vuole e non come vorrebbe la “maggioranza silenziosa” (ma anche gridante, a tratti) significa capire e ancor più far capire, ragionare e pensare insieme a chi pensa e agisce diversamente da noi. Senza la credenza, puramente “normalizzatrice-castrante” che qualcuno abbia la Verità, gli “Altri” (le altre persone) solo opinioni false, assurde, “pazzesche”… Più probabile (non è pessimismo, ma realismo quasi da bottega) che invece si incoraggi la “saggezza” (!?!) della psichiatria, assurta ancora una volta a paradigma regolatore ed “equilibratore” (come? Quando va bene, con i “tranquilizers”…!).
Eugen Galasso
Pubblicato il 6 December, 2011
Categoria: Testi
VIDEO – S.P.Q.R. sono “pazzi” questi romantici? Ovviamente no!
D’Oronzo, Galasso – S.P.Q.R. – Conferenza
VIDEO
Pubblicato il 5 December, 2011
Categoria: Video
E’ dannoso studiare o leggere? – Richard Matheson – Eugen Galasso
In “Lui è leggenda”, recente antologia mondadoriana (a cura di Christopher Conlan, Millemondi, n.57, novembre 2001), volume di omaggio a Richard Matheson, tra i tanti testi proposti, variazioni sul tema dei classici (sia racconti, sia romanzi) di Matheson, maestro del fantastico, si trova anche un racconto di John Shirley, meno che sessantenne autore di Houston, Texas, noto per vari romanzi, racconti, sceneggiature per film e telefilm. Il racconto, in italiano, si chiama “Due spari dalla galleria Fly’s” e parte dal romanzo mathesoniano” Appuntamenti nel tempo”: ma il bel racconto sul “viaggio nel tempo”, che intelligentemente evita di spiegare in dettaglio “macchina del tempo” e simili ovvietà (da H.G.Wells in poi sappiamo tutto, di quella storia…), concentrandosi invece sul punto di partenza della cosa: il protagonista, storico dell’epopea western, si innamora della bisnipote di un eroe (anzi “pistolero”) di quell’epoca e per salvarne i rapporti familiari, con un padre assente etc., si proietta nel tempo passato per evitare la morte del famoso “bandido”, iniziatore della catena di tanti padri assenti. Psichiatria all’americana, come descritta da Woody Alllen? Sì, purtroppo sì e Shirley, perché la cosa non è importante nell’economia del racconto, sorvola, pur narrando la diagnosi: il fantomatico dott. Hale Vennetty, che pare un seguace (andato a male, però) della teoria psicanalitica del “grido primario”, per cui ci si libererebbe dal peso delle proprie nevrosi gridando come all’inizio della vita, rimanda tutto alla sindrome abbandonica, per cui Becky, l’amata di Bill Walshoe, l’eroe della storia, sarebbe stata “resa depressa” dalla catena di abbandoni in famiglia… Nessuna possibilità terapeutica, stando a mister doctor Vennetty, salvo “forse tentare l’elettroshock” (op.cit., p.89). E la vicenda è ambientata negli anni 1970, 1975 o ’76, stando a indicazioni dell’autore. Epoca di grandi rivolgimenti anche medici e “psichiatrici”, ma… Shirley bypassa la cosa, senza approfondirla, nell’economia del racconto, senz’altro…e c’è di peggio: Becky è un’accanita lettrice di Sylvia Plath, della sua “Campana di vetro” ed ecco l’osservazione di Bill (speriamo che qui l’autore non si identifichi con il personaggio…) : “Leggere “La Campana di vetro” più di una volta dovrebbe essere considerato un segnale d’allarme, nei libri di psicologia clinica” (p.88, op.cit.). Eh! no, qui proprio non ci siamo: chi “non va a donne” è frocio oppure depresso, chi preferisce la lettura e lo studio agli sballi è “depressa/o”? I pregiudizi inveterati, che, a quanto pare, flower power e punk (anni fa l’autore era leader di una band “punk”) non hanno cambiato molto oppure… semplicemente la “pazzia” o il suo surrogato, la “depressione”, sono un buon vettore narrativo, senza che ci si interroghi sul perché, il per come etc. Un po’di superficialità, quantomeno, dove il principio del “primum non nocere”, che sarebbe un obbligo per il medico, ma diremmo per tutti gli operatori in professioni d’aiuto (e anche lo scrittore può esserlo), non viene per nulla rispettato, dando per scontato ciò che non lo è: “pazzia”, “depressione” e tutta la catena infame di pregiudizi che la cultura (in accezione antropologica, è chiaro) si tira dietro per non approfondire le cose.
Eugen Galasso
Pubblicato il 3 December, 2011
Categoria: Notizie