Archive for July, 2013

La pecora nera (Ascanio Celestini) – “Recupero” psichiatrico – Eugen Galasso



“Dopo vario tempo (la versione filmica è del 2010, quindi di tre anni fa) riesco a vedere, appunto, il film che Ascanio Celestini ha tratto dalla sua pièce “La pecora nera”, ovviamente precedente.  Da puro “vivisettore del reale” (l’espressione è di Musil, lo ammetto, non mia) e da “puro artista” che però (ma perché l’avversativo “però”? Sarebbe meglio dire “che coglie” tout court) coglie l’essenza del reale,  Celestini ci mostra l’invenzione fantastica e fantasmatica della “follia” che nessuno sa che cosa sia, ma tutti/e abusano del termine, usandolo sempre a sproposito e citandola quando non si sa che cosa dire di ciò che si osserva e non si capisce. Così la creatività del protagonista, Nicola, “sdoppiato” in due figure, diviene “folle”, perché famiglia, scuola, istituzioni varie (non diciamo, poi, del manicomio…), non ci capiscono nulla e allora recludono e ghettizzano. Direi che tutta la teoria foucaultiana è qui racchiusa e condensata in immagini e sequenze efficacissime, dove il bambino e poi l’adulto (ma anche qui si ha una progressione cronologica, logica o di che tipo, intendo, non nella pièce celestiniana, ma nella “realtà”? E’ avvertibile, percepita, imposta, tale “evoluzione”?) è emblematico di una dimensione che vive nel “pensiero divergente”, ossia nella creatività, che la psicologia americana (diremmo meglio statunintese, dato che gli States, nonostante l’infame dottrina Monroe, non sono =l’America, le Americhe!) con Torrance e Guilford ha colto bene già circa sessant’anni fa, ma da cui la psichiatria non è mai partita per cercare di capirla e di coglierla come tale, volendola invece, appunto “sorveglaire e punire”. Ovviamente, quanto detto per gli USA, vale a fortiori per gli altri paesi, europei e non, che della psichiatria hanno fatto un totem (con il corrispettivo del tabù, Freud docet…). Ecco allora che la persona incompresa in famiglia, vilipesa e punita (o “tollerata”) nella società , diventa emblematica di una condizione che non “ci mette nulla” a reprimere, lo fa cioè con totale nonchalance, salvo poi a “recuperare” solo in certi casi e in genere post mortem (se l’artista è riconosciuto universalmente), magari “suicidandolo”prima, come con Van Gogh, “suicidato dalla società”, come Van Gogh, nell’opera geniale di Antonin Artaud, che (come volevasi dimostrare) a sua volta diviene vittima, con l’eletttroshock e tutto il resto, salvo tardivo e comunque parziale ripensamento “dopo”.

Eugen Galasso

Pubblicato il 11 July, 2013
Categoria: Testi

Lucio Battisti “No dottore” – Eugen Galasso

Lucio Battisti, cantautore laziale accusato delle più atroci turpitudini (di essere “fascista”, in particolare) per malintesi continui, ma soprattutto per non essersi occupato troppo di politica, sia nella fase di collaborazione con Mogol (Giulio Rapetti) sia in quella successiva (dal 1980 in poi) con Pasquale Panella, dedicandosi invece a sentimenti, sensazioni, emozioni, ha però, anche nella fase Mogol, in particolare nell’album “La batteria, il contrabbasso etc.”(1976) scritto una  canzone,  “No dottore”, in cui il protagonista, forse (forse, però, il tutto è lasciato in una condizione di indeterminatezza, di “vaghezza”, voluta), in un contesto musicale da “progressive rock” con venature tra il funky e l’avvicinamento alla “disco music” più intelligente, accusato di omicidio della sua “lei” (“Quel che dice non mi piace” (rivolto allo psichiatra, a quanto pare)/l’ho lasciata che dormiva/respirava/era viva come me”), in una situazione kafkiana, che ricorda anche “L’orange” di Vidalin-Bécaud (testo e chanson precedenti di un decennio circa). Il protagonista è solo, con uno psichiatra, cui rivolge il “No Dottore”,  viene evidentemente rinchiuso (“Son rinchiuso/Ma è un abuso”), dove la situazione richiamata, indeterminatezza o meno, è proprio quella del TSO e della reclusione psichiatrica. Tutto è già preparato dalle frasi brevi, paratattiche (del resto è una canzone), “No dottore, per favore/Non è urgente/non è niente/Per un attimo la mente mi si è accesa/e qualcosa si bruciò/Il mio nome?/Il cognome?/L’indirizzo?/Dica il prezzo/Stia tranquillo non son pazzo”.   Non vorrei qui analizzare troppo in dettaglio tutto il testo, che è è facilmente reperibile, ma basterà dire qui che Rapetti-Mogol e Lucio Battisti a 4 anni dall’approvazione di una legge (La”Basaglia”, come viene impropriamente definita) affrontano un tema scottante allora, come lo è comunque ancora oggi, quando “fatta la legge, trovato l’inganno”, come recita un atroce detto italico (italiota, volendo)per cui, in buona sostanza, il potere della repressione psichiatrica, anche per ovvi motivi economici, ha potuto riaffermarsi, anche riproponendo le proprie terribili modalità (contenzione, elettroshock, sulla cui bontà giurava anche il “compianto” Giovanni Jervis, per vario tempo considerato quasi un “antipsichiatra” o comune un “alternativo”, espressione che rischia di non voler dire né designare alcunché. ”

Eugen Galasso (ringraziando Gerardo Musca che della canzone mi ha segnalato l’esistenza).

Pubblicato il 3 July, 2013
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo