La pecora nera (Ascanio Celestini) – “Recupero” psichiatrico – Eugen Galasso
“Dopo vario tempo (la versione filmica è del 2010, quindi di tre anni fa) riesco a vedere, appunto, il film che Ascanio Celestini ha tratto dalla sua pièce “La pecora nera”, ovviamente precedente. Da puro “vivisettore del reale” (l’espressione è di Musil, lo ammetto, non mia) e da “puro artista” che però (ma perché l’avversativo “però”? Sarebbe meglio dire “che coglie” tout court) coglie l’essenza del reale, Celestini ci mostra l’invenzione fantastica e fantasmatica della “follia” che nessuno sa che cosa sia, ma tutti/e abusano del termine, usandolo sempre a sproposito e citandola quando non si sa che cosa dire di ciò che si osserva e non si capisce. Così la creatività del protagonista, Nicola, “sdoppiato” in due figure, diviene “folle”, perché famiglia, scuola, istituzioni varie (non diciamo, poi, del manicomio…), non ci capiscono nulla e allora recludono e ghettizzano. Direi che tutta la teoria foucaultiana è qui racchiusa e condensata in immagini e sequenze efficacissime, dove il bambino e poi l’adulto (ma anche qui si ha una progressione cronologica, logica o di che tipo, intendo, non nella pièce celestiniana, ma nella “realtà”? E’ avvertibile, percepita, imposta, tale “evoluzione”?) è emblematico di una dimensione che vive nel “pensiero divergente”, ossia nella creatività, che la psicologia americana (diremmo meglio statunintese, dato che gli States, nonostante l’infame dottrina Monroe, non sono =l’America, le Americhe!) con Torrance e Guilford ha colto bene già circa sessant’anni fa, ma da cui la psichiatria non è mai partita per cercare di capirla e di coglierla come tale, volendola invece, appunto “sorveglaire e punire”. Ovviamente, quanto detto per gli USA, vale a fortiori per gli altri paesi, europei e non, che della psichiatria hanno fatto un totem (con il corrispettivo del tabù, Freud docet…). Ecco allora che la persona incompresa in famiglia, vilipesa e punita (o “tollerata”) nella società , diventa emblematica di una condizione che non “ci mette nulla” a reprimere, lo fa cioè con totale nonchalance, salvo poi a “recuperare” solo in certi casi e in genere post mortem (se l’artista è riconosciuto universalmente), magari “suicidandolo”prima, come con Van Gogh, “suicidato dalla società”, come Van Gogh, nell’opera geniale di Antonin Artaud, che (come volevasi dimostrare) a sua volta diviene vittima, con l’eletttroshock e tutto il resto, salvo tardivo e comunque parziale ripensamento “dopo”.
Eugen Galasso
Pubblicato il: 11 July, 2013
Categoria: Testi