Delegazione di pazienti psichiatrici al Parlamento europeo – intervista a Giorgio Antonucci
Radio Radicale (http://www.radioradicale.it/scheda/37441/37475-psichiatria-delegazione-di-malati-al-parlamento-europeo)
I PARTE:
Redattore:Rita Bernardini
Pubblicato il 29 November, 2014
Categoria: Audio
I GIORNI DELLA LUNA – testo di Giorgio Antonucci
Quaderni di “Collettivo R” gennaio-agosto 1984, 34-35
“Se moro, ricopritemi di fiori,
E sottoterra non mi ci mettete:
Mettetemi di là de chelle mura
Dove più volte vista mi ci avete”
da un rispetto toscano raccolto da N. Tommaseo e musicato da Hugo Wolf
In quella sala anatomica di via Alfani, all’Istituto di anatomia normale, mi pareva che gli ostacoli sulla via della conoscenza, fossero teoricamente infiniti, e che fosse in pratica impossibile laurearsi in medicina.
Il corpo di una giovinetta quindicenne, portato il giorno prima, era già oggetto dell’interesse anche licenzioso di un gruppo di studenti. Io me ne stavo da una parte con un cuore in un vaso di formalina a cercare di capirne la struttura contorta, in aperto conflitto con la mia scarsa capacità di concentrarmi almeno in quell’ambiente.
In quel periodo la notte facevo sogni spaventosi con corpi che si contorcevano nelle fiamme o con mani bianche che mi stringevano. Tra gli studenti universitari io (abituato alla vita più familiare del liceo) mi sentivo completamente estraneo e fuggivo via spesso perché mi sentivo addosso l’impressione spiacevole di essere di troppo. Del resto i miei diciassette anni erano d’una tristezza che raramente poi ho ritrovato di nuovo.
Non riuscivo a capire dov’era che gli altri giovani miei colleghi trovavano la loro sicurezza che spesso anche si trasformava in esuberanza.
Mi ritiravo per conto mio e al più presto mi allontanavo facendo lunghe passeggiate per la città da solo e tra sogni a occhi aperti puramente immaginari e impossibili a realizzarsi.
La morte (che vedevo nei corpi della sala anatomica) mi pareva a portata di mano, sul punto di verificarsi, e mi angosciava il vuoto d’esperienza che mi sentivo dentro.
Era la conoscenza intuitiva del distacco dalla vita reale in cui mi avevano educato.
Ero un giovinetto cerebrale con niente corpo, oppure con un corpo che mi pesava come un’appendice superflua.
Un rapporto col corpo soltanto al negativo era dovuto a una molteplicità di esperienze che andavano dal disprezzo culturale del corpo in genere, al disprezzo del proprio corpo visto come qualcosa di irrimediabilmente difettoso. E questo doppio concetto concavo era stato costruito colpo su colpo fin dall’infanzia. Naturalmente non era legato a nessun difetto reale: mia madre mi diceva sempre: – non vedi che sei magro come uno stecco!
A livello astratto la religione m’era sembrata inaccettabile e ridicola fino dai dodici anni quando ero un lettore ammirato del Dizionario filosofico di Voltaire e già da tempo avevo in antipatia l’autoritarismo o ipocrita o brutale dei preti che avevo conosciuto.
L’orgoglio dell’individualità e l’insofferenza alla sottomissione sono una delle mie esperienze interiori più antiche. Però pareva un paradosso questa congiunzione dell’individualismo più spinto con il sentirsi di troppo e in condizione d’inferiorità in ogni momento.
Non riuscivo a capire quali sarebbero stati gli effetti di questa strana mescolanza. A volte così pensavo che sarebbe stato meglio morire subito (visto che poi in realtà non sarebbe cambiato niente) e andavo a passare pomeriggi interi fino a sera davanti ai binari della stazione del Campo di Marte.
Ma era anche questa una fantasia irrealizzabile. Era un altro modo di sognare a occhi aperti, aiutato anche dalla mia passione per i treni che mi s’era sviluppata fin da bambino.
Il professore di anatomia era un ometto opaco che faceva lezioni pignole sugli strati del pelo e che nella sua giovinezza, si diceva, era stato molto fedele al fascismo.
Il custode della sala anatomica era un uomo grasso e grosso che preparava i pezzi di cadavere con l’accetta e si chiamava Dante.
L’istituto di via Alfani era un labirinto di stanze e di chiostri, che a me pareva uno di quei luoghi in cui si entra e poi non si trova più la via d’uscita come succede spesso in sogno.
Una volta lì io mi ero rifugiato in un sotterraneo per sfuggire ai cacciatori di matricole.
L’università degli anni ’50 a Firenze era una istituzione morta con studenti timorosi e conformisti che si preoccupavano di informarsi in anticipo delle domande che i professori avrebbero fatte agli esami legate all’ignoranza e ai pregiudizi che quegli individui nulli di cultura e privi di immaginazione si erano portati in cattedra.
I professori venivano tutti dalla cultura anteguerra basata esclusivamente sulla sottomissione alle autorità e sulla chiusura totale a ogni tipo di emancipazione sociale. Leggi l’articolo completo »
Pubblicato il 15 November, 2014
Categoria: Testi
Giuseppe Gozzini e il diritto di disobbedire – Giorgio Antonucci
Non complice – Giuseppe Gozzini. Ed L’asino
“La Chiesa Valdese di Firenze, la Coop. La Riforma, un Tempio per la Pace, il Centro Internazionale La Pira, La rivista Testimonianze, il Centro Studi Umnaistici (Ti con Zero) invitano alla presentazione e lettura di pagine del libro di G. Gozzini “Non complice. Storia di un obiettore” per ricordare la figura del primo obiettore di coscienza alla leva militare obbligatoria che abbia motivato tale gesto per una posizione di fede, Giuseppe Gozzini, in risposta alla quale si creò un movimento di appoggio sostenuto anche da Don Milani e Padre Balducci. ” La testimonianza di Giorgio Antonucci.
Giorgio Antonucci ricorda l’amico Beppe Gozzini
http://youtu.be/UXPLllcGWl0
Pubblicato il 13 November, 2014
Categoria: Testimonianze
ADHD: La posizione dei pedagogisti – Eugen Galasso
“Al congresso mondiale dei Pedagogisti clinici” il 25 ottobre scorso a Firenze (Palazzo dei Congressi) dal tema “IL divenire della pedagogia clinica. Nutrire la persona” il prof. Federico Bianchi di Castelbianco ha letteralmente infiammato la platea con la sua relazione, brillantissima, al Congresso Mondiale di pedagogia clinica. In essa, dove l’assunto principale il titolo era “Bes e DSA: troppa sanità, poca pedagogia”, Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta, spiega come in realtà tutte le diagnosi, ora proliferanti quasi in dimensioni elefantiache, di ADHD, siano in realtà dovute a un fraintendimento: i bambini e in seguito i ragazzi, lasciati soli dai genitori – vale per la madre ma anche per il padre, entrambi impegnati nel lavoro – per gran parte della giornata risentano di una carenza affettiva, non certo “rimediabile”con le medicine normalmente prescritte per il famoso (quasi “misterioso”, dovremmo dire) ADHD. Al contrario tali “medicine”, “farmaci” (qui varrebbe l’ètimo della parola, che significa prima di tutto “veleno” in greco) sono notoriamente dannosissime, come nel caso del Metilfenidato (nome commerciale Ritalin, ma poi con varianti, ossia prodotti analoghi…), di cui si conoscono gli esiti anche cancerogeni. La tesi dello studioso, frutto di anni di studio anche e soprattutto sperimentale, spiega ancora una volta in modo autorevole e documentato come molti medici, pediatri, genitori, insegnanti, si adattino per comodità e quieto vivere (una sorta di “così non rompono le scatole” in riferimento al comportamento quotidiano)alla medicalizzazione di qualcosa, che non è propriamente un “disturbo” ma piuttosto una maniera di comportarsi, che irrita ed è considerata molesta in una società quale quella attuale, improntata alla massimizzazione del profitto e all’orientamento attivistico-produttivistico della vita in ogni settore. Il fatto che la relazione, molto brillante e condita di deciso umorismo, abbia riscosso molto successo, dimostra come almeno in certi ambienti (“pedagogisti clinici”, ma anche altri educatori, persone comunque interessate) certe tesi stiano prendendo finalmente piede.
Pubblicato il 1 November, 2014
Categoria: Testi