“Crimini di pace: manicomi criminali” e “Alla ricerca del libero transito”: le nostre proposte al “Festival delle culture antifasciste” di Bologna
Festival Sociale delle delle culture antifasciste 2011
Vi segnaliamo due eventi di antipsichiatria libertaria all’ interno del “Festival Sociale delle culture antifasciste” di Bologna:
mercoledì 29 giugno ORE 15.30
presso Aula C, Scienza Politiche, Strada Maggiore 45, BOLOGNA
Crimini di pace: manicomi criminali
Dibattito con Giorgio Antonucci e Vito Totire
Parteciperanno:
Piero Colacicchi
Maria D’Oronzo
Eugen Galasso
I manicomi giudiziari vengono a sparire quando tutti i cittadini vengono giudicati uguali davanti alla legge senza pregiudizi psichiatrici.
Intervista radiofonica: FestAntifa_MariaRosariaDOronzo.ogg
giovedì 30 giugno ORE 16
Iqbal Masih, via Barca 24/3
“Alla ricerca del libero transito”, proiezione video e dibattito con gli autori: Andrea Searle e Franco Gugel
Un viaggio per l’Italia dei migranti alla ricerca del loro libero transito, l’Italia dei C.I.E. “centri di identificazione ed espulsione” veri lager, l’Italia di chi a questa logica razzista si oppone.
vai al sito del Festival
Giorgio Antonucci – Nè psichiatria nè antipsichiatria – Videoconferenza
“Parliamo delle persone – dice Giorgio Antonucci, in videoconferenza – non di psichiatria o antipsichiatria”. Partecipa : Eugen Galasso e Maria D’Oronzo
VIDEO I PARTE
VIDEO II PARTE
Giorgio Antonucci non usufruisce (che io sappia) di un diritto umano: quello all’errore. – Eugen Galasso
Ancora una volta bisogna dire che ogni persona ha diritto a sbagliarsi: Giorgio Antonucci sembra (per quanto ne so) non ne usufuisce, nel senso che è difficile trovare un punto di non accordo con lui su ogni questione. Non voglio dire che il dott. Antonucci ha sempre ragione(ricorderebbe affermazioni pericolose di chi “un giorno ha fatto furore , ma non ha ancora cambiato colore”-da “E la vita, la vita” degli immortali Cochi e Renato) ma quanto sopra per me, fino a prova contraria (la famosa falsificazione popperiana), vale. Anche la sua consuetudine di spulciare i giornali, credo, serve a cogliere lo spirito del tempo. A tal proposito ritrovo un vecchio ritaglio di giornale (del 22 gennaio 2008, “Quotidiano Nazionale”, ossia “IL Giorno”, “La Nazione”, “Il Resto del Carlino”), conservato, a proposito di una dichiarazione del poeta e critico letterario Edoardo Sanguineti, nel frattempo scomparso, che in quel mese aveva rivalutato, da marxista mai pentito, l’odio di classe” perché i potenti odiano i proletari e l’odio deve essere ricambiato. Oggi la merce-uomo, il suo lavoro è la più svenduta e chi dovrebbe averne coscienza, ossia la classe operaia, non ce l’ha, inibita da una cultura dominata dalla TV”. Ancora, contro “i ragazzi di Tien-An-Men”, quegli studenti del 1989 che nella grande piazza di Pechino si batterono contro la polizia cinese, armata fino ai denti, finendo massacrati, con l’aggravio terribile per le famiglie di dover ripagare le pallottole (sic!) spese dai funzionari statali, ossia dai funzionari di polizia: “quelli erano veramente dei ragazzi, poveretti, sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro di Berlino. Ma insomma, erano dei ragazzi che volevano la Coca-Cola”. Giudizi discutibili, cioè alla lettera “da discutere”, sia il primo che il secondo. A modesto parere di chi scrive, la lotta di classe vale ancora, ma non include solo la classe operaia, direi, non è di per sé uguale all’ “odio di classe”; quanto ai ragazzi di Tien-An-Men, può essere anche vero che alcuni (e) di loro erano attratti da miti consumistici, ma ciò non giustifica la violenza della polizia, di un regime che, dopo l’avvento al potere di Deng-Shiao-Ping, si stava trasformando in “turbocapitalista”, reprimendo ogni dissenso, però, anche magari quello di chi si sarebbe mosso in senso analogo alle riforme previste. Nulla di tutto ciò giustifica il giudizio (riportato sempre nello stesso articolo, non firmato né siglato), proveniente dalla Lega Nord , nella persona del senatore (non so se rieletto, si era nella precedente legislatura) Piergiorgio Stiffoni (ma la politica partitica qui non c’entra per nulla). “Ha bisogno di recarsi da qualche bravo psichiatra che gli spieghi che siamo nel 2007, in Italia, e non a Pyong Yang. Basta che lo specialista lo riporti un po’ alla realtà e poi vedremo se i media gli danno tanto spazio”. Lotta e politica, d’accordo, “à la guerre comme à la guerre” (all’epoca Sanguineti era candidato alle primarie genovesi per “Rifondazione comunista”), ma lasciamo fuori causa gli psichiatri, che non spiegano nulla, ma recludono, “puniscono”, esercitano un potere violento , motivo per cui Stiffoni fa anche una confusione di ruolo (a “spiegare” saranno, semmai, altri operatori, non gli psichiatri). Idem per l’uscita di Alberto Asor Rosa, storico della letteratura e critico, quando ha invitato a un “golpe” di sinistra contro Berlusconi. Qui non condivido nulla (lo ammetto, anche per un pregiudizio contro il personaggio, di cui non apprezzo neppure l’impostazione metodologica nell’ approcciare la letteratura), perché un “golpe di sinistra” è un ossimoro, perché non ci sono le condizioni per atti simili, perché l’eversione potrebbe anche essere “fasciocomunista” (c’è chi non lo è consapevolmente, come invece lo scrittore Antonio Pennacchi) e comunque è sempre antilibertaria etc.etc. Diremo allora, però che Asor Rosa sbaglia, che non ha capito nulla di politica, ma non che è senescente oppure che è incapace di intendere e di volere, come pure si può leggere in vari articoli e prese di posizione. Criticare sempre, psichiatrizzare mai (anche farlo sulla carta o come ipotesi accademica non và bene): potrebbe essere questo uno slogan adatto alla bisogna.
Eugen Galasso
Pubblicato il 22 June, 2011
Categoria: Notizie
L’articolo sulla disoccupazione di Giorgio Antonucci – Eugen Galasso
Leggo l’intervento di Giorgio Antonucci (dello scorso 20 giugno) su depressione, dove giustamente Antonucci, contro la psichiatria, sostiene le responsabilità sociali che portano alla tristezza e talora alla disperazione che è facile quanto sciocco etichettare (perché etichettare bisogna, altrimenti che cosa si fa?) come “depressione”. Ma, certo, nella logica dei poteri, che cosa si fa, senza sorvegliare per punire ma anche per vendere psicofarmaci? Ancora, per il violentatore o il molestatore sessuale che cosa fare se non dire “è un malato”, soffre di “turbe” etc. Una logica orribile, che depriva anche il responsabile della libertà che porta alla colpa; deresponsabilizzare è sciocco e colpevole, anche perché (io credo) il responsabile è privato della libertà che porta alla colpa. Punire, se pure in forma adeguata e non discriminata (in questo, credo, la legge Gozzini, rimane uno spunto importante, può servire, mentre spesso le sue applicazioni si staccano dal modello gozziniano), porta con sé la responsabilità e la colpa (nessuno dirà che lo stupro non è un crimine). Anche qui Giorgio Antonucci ha ragione, ma è quasi tautologico ridirlo, perché sappiamo che è (quasi sempre, non diremo sempre, nessuna persona è infallibile) così. Tuttavia il dottor Antonucci non credo abbia mai espresso pareri “sbagliati”, dico la verità. Ora, poi, su “Libero” di domenica 19.06.2011, pag. 21, leggo invece, a fronte dei testi sciocchi giustamente redarguiti da Antonucci, un articolo meramente descrittivo, ma bello e nobile di Cristina Lodi, “La vittoria di Trieste. Dove c’era il manicomio il paradiso dei matti”, nel quale l’articolista, nobilmente (su un giornale di centrodestra, di quel centrodestra che ha in sé proposte come quelle del suo esponente Ciccioli, purtroppo…), virgoletta “pazzi”, mettendo completamente in discussione il concetto, concludendo (o quasi) il suo articolo con “C’erano camicie di forza, elettroshock, manette e neurolettici travestiti da scienza medica. E’ servito molto tempo per cancellare tutto questo. Trieste ci è riuscita”. Un po’ assertorio-troppo semplice, dirà qualcuno. In primis il giornale non si legge come un libro, poi , comunque, è nobile l’intento, è ben scritto, dice cose importanti. Chapeau a Cristina Lodi, che non conosco, che sicuramente si è schierata dalla parte giusta e, cristianamente (non intendo la religione, ma la disposizione di comprensione verso l’altro), in uno dei non tanti articoli cannibalistici sul tema, che in genere è campo aperto per speculazioni neo-razziste, per affermazioni reazionarie gratuite che rimpiange i “bei tempi” quando “i matti stavano al loro posto, cioè al manicomio” e via dicendo sciocchezze…
Pubblicato il 22 June, 2011
Categoria: Notizie
Disoccupato, non depresso! – OraZero – Giorgio Antonucci
In un articolo del l’Espresso di un paio di settimane fa, l’autore, al di là delle buone intenzioni, mostrava evidenti pregiudizi, indicativi di un modo di pensare che può rivelarsi pericoloso. Il giornalista ha infatti raccontato come la perdita del lavoro avesse portato alcuni alla depressione e, in casi estremi, al suicidio. Ma chi si trova senza lavoro e senza speranze di trovarne altri, è ovviamente infelice e non soffre di alcuna patologia. Il problema non è in lui, non è la sua depressione, ma la mancanza di lavoro e di speranze a renderlo infelice. Parlando di depressione o di altri presunti problemi personali si finisce, invece, per sostituire la responsabilità sociale, il diritto ad un lavoro, con una patologia: la depressione. Ma non è stata la depressione a causare il suicidio, bensì la crisi economica che lo ha privato dei mezzi di sussistenza per lui e per la sua famiglia. In una situazione simile, il suicidio non può considerarsi “folle”, ma piuttosto assolutamente “logico”. Visto che non si vedono vie d’uscita si decide di smettere di lottare, dove è la follia?
Purtroppo l’articolo dell’Espresso è solo uno dei tanti esempi propinati quotidianamente dai massmedia. Di recente, in un altro articolo, un intellettuale francese, riferendosi al caso “Strauss-Kahn” definiva gli stupratori dei “casi patologici”. Anche in questo caso si è preferito sostituire con una presunta malattia, la responsabilità individuale. Chi stupra, invece, non è malato, ma è pienamente responsabile dei suoi atti. Così, se prima si sostituiva la responsabilità sociale con la depressione, in questo caso si sostituisce la responsabilità individuale con una patologia. Questo modo di pensare diventa sempre più pericoloso perchè deresponsabilizza sia la società che gli individui, nascondendo tutto dietro a presunti problemi psichiatrici.
Per comprendere meglio il tutto, forse è utile rifarsi alla definizione di depressione: “La depressione è una patologia dell’umore, tecnicamente un disturbo dell’umore caratterizzata da un insieme di sintomi cognitivi, comportamentali, somatici ed affettivi che, nel loro insieme, sono in grado di diminuire in maniera da lieve a grave il tono dell’umore, compromettendo il “funzionamento” di una persona, nonché le sue abilità ad adattarsi alla vita sociale” ?Da questa definizione si deduce che l’incapacità di adattarsi alla vita sociale sia dovuta ad un problema individuale e non, per esempio, alla mancanza di un lavoro. Ma il lavoratore citato dall’Espresso, probabilmente, si sarebbe adattato alla vita sociale più che volentieri, era la mancanza di un lavoro ad impedirglielo, non la sua depressione. La definizione evidenzia anche come ormai venga considerato malato chiunque rifiuti di adattarsi alla “vita sociale”. Dimenticando che fior di poeti, scrittori e scienziati sono stati e sono dei “disadattati”, ovvero gente incapace di conformarsi alla vita sociale del proprio tempo. Non volendo ammettere che chi si adatta alla realtà è banalmente un conformista. Da questo punto di vista, varrebbe la pena chiedersi quali valori abbia oggi la società moderna. Davvero sono da considerarsi “sani” il conformismo e la sottomissione? La libertà va considerata una patologia??Per concludere, se si riflette in profondità sul problema, le diagnosi psichiatriche risultano tutte arbitrarie e ideologiche.
Giorgio Antonucci
Pubblicato il 20 June, 2011
Categoria: Testi
L’Altro – Eugen Galasso
Non occorre certo essere Jabès o Derrida per capire che l’altro ci interroga. L’altro non sarà l’Altro, dirà qualcuno, eppure in una logica di pura antropologia culturale, quindi di confronto tra modelli diversi, di patterns, di abitudini, usi, costumi, strumenti operativi e concezioni del mondo (religiose, politiche, ma anche altre…). Il che non ci fa accettare, benintenso, la tolleranza eccessiva, anzi a tratti addirittura illimitata verso furto e spaccio di droga (dove Rom e Sinti invece, ma non tutti…), verso l’infibulazione (in varie realtà tirbali, non tout court l’Islam, attenzione), ma sicuramente l’esclusione dell’altro in quanto altro deriva dall’assurda introiezione dell'”Occidente cristiano” un concetto che nasce da un poeta, pensatore, mistico “incolpevole” quale Georg Friedrich von Hardenberg, alias Novalis, ma poi assurto a orrendo slogan di Francisco Franco y Bahamonde, di Augusto Pinochet, dei colonnelli greci, di Viola e Videla in Argentina: “Nel nome dell’Occidente cristiano, fucilateli!”, questo lo slogan rivolto contro i non cristiano-borghesi durante la guerra civile spagnola, da parte di coloro (fascisti, nazisti, golpisti) che facevano, come ormai ogni storico serio fa, le prove generali per la Seconda Guerra Mondiale. Nella diversità il confronto o dialettico o per analogia, con la possibilità non di “compatire” in modo scioccamente pietistico, ma di vedere seriamente l’altro, di rispecchiarsi nell’altro quando sta male e ha bisogno. Com-patire, si sa, vuol dire “soffrire insieme”, ma anche sentire assieme, partecipare ai sentimenti dell’altro. E anche in questo, senz’altro, il libro di Paolo di Giosia “Solitudini“, con le fotografie sue e i testi di Antonio Valleriani (filosofo dell’educazione scomparso), ci aiutano a capire, come le pratiche di Giorgio Antonucci e Piero Colacicchi in difesa di Paula Cooper.
Eugen Galasso
Pubblicato il 20 June, 2011
Categoria: Testi
Sul 1° seminario di “Disegno onirico” a Bologna – Eugen Galasso
Da formatore, di gruppi di e in disegno onirico ne ho conosciuti tanti. Ci sono quelli attenti, bravi, ma talora più per “diligenza”, per senso del “dovere”, siano essi studenti, insegnanti, assistenti all’handicap, pedagogisti e altri/e. Poi c’è chi si appassiona, chi prende realmente qualcosa, anzi moltissimo da quel poco che l’operatore cerca di dare, ben sapendo (parlo di me)che è né Socrate né un maieuta e neppure uno sciamano (meglio così? Chissà). Non è per piaggeria (non mi appartiene), ma questo uno è dei pochissimi gruppi in cui, per usare una metafora forse abusata, a chi coordina (non “guida”, sono un libertario, un antiautoritario più per natura che per ideologia, credo) “suonano le campane”, quelle vitali, the bells of Florence, Rome, Paris etc. (anche Bologna, dimenticavo). Impressioni forti, autocritica e critica sempre giusta e amichevole, apprezzamento (ne merito di meno), confronto reale con il “quid disputandum”. Persone diverse, senz’altro, pur se convergenti per formazioni e attività(prevalente l’interesse psicologico, pedagogico, ma anche artistico in tutte/i partecipanti, pur se in forma diversa, ovviamente), riscoprono il sé e anche l’altra persona, in un’ottica, certo di interpretazione e “lettura” dei disegni, ma anche al “lasciar fluire” disegnando, quando molti di noi sono ormai “cauti” nel disegnare, anzi ci vergogniamo di farlo, ma l’atrofizzazione è indotta, da scuola e cultura dominanti… Riscoprire il piacere di lasciarsi andare, di disegnare come ci va, anche magari producendo ghirigori è bellissimo (non come pagare le tasse secondo il compianto economista Padoa Schioppa…), ma tutti i/le componenti del gruppo sono molto più brave/i, con produzioni che vanno ben al di là delle loro capacità manifeste-esplicitate. Ma disegnare liberamente è anche una piccola liberazione complessiva e difatti quando si è in gruppo (in un gruppo accogliente e non giudicante, per meglio dire) anche quando si parla d’altro, come nell’importante introduzione della nostra direttrice (del Centro, cioè) sui problemi della controriforma psichiatrica ventilata (ora anche avallata dal presidente del senato Schifani, purtroppo), sugli psicofarmaci, sul TSO , con riferimenti all’attualità bolognese e italiana -ma non solo – grottesca ma più che altro tragica, inquietante, sferzante, si parla, si dice, si conversa, ci si confronta, come non si fa in noiosissime conferenze e lezioni che spesso si sorbiscono (e non mi esonero dal novero, anzi…purtroppo). Occasioni di confronto, possibilità, ciò che altrimenti si direbbe “gioco” (play, jeu, speel, Spiel), ma “gioco” nel senso corrivo non è mai, in realtà. E sicuramente la cosa prosegue, con una seconda tranche chiesta a breve scadenza, a quanto pare.
Eugen Galasso
Pubblicato il 19 June, 2011
Categoria: Testi
Giorgio Antonucci e Piero Colacicchi contro la pena di morte – Eugen Galasso
Leggendo l’importante intervento di Piero Colacicchi sull’appello, suo ma soprattutto di Giorgio Antonucci, contro la pena di morte a suo tempo (dicembre 1986) comminata a Paula Cooper, allora quindicenne, rea di un gravissimo reato, quella dell’uccisione della sua insegnante di religione (di scuola biblica, dovremmo dire, ma nel nostro ordinamento “cattolico” la Bibbia si studia, quando va bene, solo all’università, in Italia nei corsi di laurea in scienze religiose) per compiere un furto nella casa della stessa. Non certo a giustificazione-discolpa della ragazza (ora una quarantenne, come ovvio) sia detto che la Cooper era stata violentata, da bambina, dal padre, con la correità (assisteva senza intervenire) della madre. Entrambi i genitori erano alcolizzati, le condizioni socio-economiche della famiglia e dello slum in cui viveva spaventose. Sembra un classico “caso” da positivismo (Comte) e naturalismo (Zola, in Goncourt, Hauptmann, in Italia al massimo Capuana più di Verga), ma è cosa di ieri, dunque tragicamente attuale. Credo che il racconto-testimonianza di Colacicchi, prof. d’accademia, artista, che da artista ha operato e opera con i “pazienti psichiatrici”, da sempre amico di Giorgio Antonucci e attivo nel movimento antipsichiatrico e presidente dell’Osservatorio contro la discriminazione, sia estremamente importante , ricordandoci come il movimento per i diritti civili sia insito nella “mission” antipsichiatrica, quindi la rivendicazione della libertà umana, in primis della conservazione e difesa della vita (a scanso di equivoci dirò che essa non ha nulla a che vedere con il terrorismo antiabortista dei clericali, anzi), per cui, dalla tradizione illuminista in poi, quella di Verri e Beccaria che, con “Dei delitti e delle pene” scrisse la prima radicale negazione della pena di morte alle posizioni più recenti quali quelle di Arthur Koestler e Albert Camus, non certo ascrivibili al neo-illuminismo, dalla proibizione della pena di morte ad opera del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, profondamente influenzato dalle idee del Beccaria, nel 1886, nel solo territorio toscano, fino al dibattito odierno, dove le idee dei citati autori sembrano non essere entrate affatto nel patrimonio ideale di popolazioni ancora amorfe sul tema (in Italia, come in generale in Europa, come negli States) se non favorevoli alla pena capitale, segni una rivendicazione di primogenitura importante, con un documento, quello appunto di Colacicchi e Antonucci, che, con una catena che va dall’appello firmato all’epoca dal poeta e storico della letteratura Mario Luzi, dal giurista Paolo Barile, dal mass-mediologo e storico del cinema Pio Baldelli, da padre Ernesto Balducci, filosofo e teologo, tutti scomparssi, (come è scomparsa l’autrice dell’articolo-lettera alla “Nazione”, da cui avevano preso spunto Antonucci e Colacicchi, Maria Luigia Guaita, nata a Pisa ma poi da sempre attiva a Firenze, storica figura della Resistenza fiorentina, come Fiorentini nativi o acquisti erano tutti gli altri personaggi prima menzionati) alla grazia e alla commutazione in carcere a vita, o quasi, della Cooper ad opera del governatore dell’Indiana, subissato da tante e tali richieste, dopo l’appello degli antipsichiatri e degli altri personaggi fiorentini, da dover cedere alla richiesta di “grazia”, almeno quanto alla questione della vita dell’allora ragazzina.
Pubblicato il 14 June, 2011
Categoria: Testi
“A Giorgio Antonucci” – Poesia- Eugen Galasso
A Giorgio Antonucci
Days of remember to my life(1)/
giorni con papà de petit/
jours de tristesse, bien claro/
giorni da tordi, sappiamo/
giorni in nerorosa, aussi Fontana dixit(2)/
Wo bist due Helene, liebe Oma?/
Im Himmel wo du wolltest oder nirgends?/
Todos ninos, gracias a Diòs o quien sabe/ù
Papà forse con Croce parla di storia/
Heinz forse alle prese col sol delll’avvenir/
Tempi dove vorremmo spiegare/
Ne parliamo une autre fois, parbleau
(Eugen Galasso, 03.06.2011)
Note:
(1)Verso di Ray Davies, fondatore dei “Kinks”. Me ne “approprio” perché qui va bene
(2)il fotografo, in una recente dichiarazione.
Pubblicato il 12 June, 2011
Categoria: Testi
Auguri di Umanità Nova a Giorgio Antonucci
Quando il dottor Giorgio Antonucci era ricoverato, a Firenze, in pericolo di vita Umanità Nova ha pubblicato questo comunicato:
“ANTONUCCI
Abbiamo appreso che il compagno Giorgio Antonucci ha avuto dei problemi di salute, agurandogli una pronta guarigione lo abbracciamo forte.
La redazione di Umanità Nova si associa alle tante manifestazioni di affetto e solidarietà che gli sono pervenute.”
Pubblicato il 12 June, 2011
Categoria: Notizie