Recensione: Foucault in California, Simeon Wade – di Eugen Galasso



Succede che qualche libro attiri-sconcerti-dopo qualche “ragionevole dubbio” torni ad attrarre l’attenzione. Personalmente mi è successo con questo “Foucault in California. Un viaggio filosofico e lisergico” di un oscuro professore di storia in alcuni atenei californiani, moto nel 2017 a 77 anni,  uno dei protagonisti, a quanto pare, della scena gay di quel particolare Stato “autonomo” degli USA e “di sinistra” (ma ha avuto come governatori Ronald Reagan, prima che diventasse presidente della Federazione e anche Arnold Schwarzenegger piu’di recente) e promotore di tips lisergici (ossia, per chi non se ne occupa, a base di acido lisergico). Ora, chi scrive, da un  lato ha divorato tutti i libri di Timothy Leary, teorico-profeta dell’LSD a livelo teorico (sul piano chimico chi lo ha isolato è stato Albert Hoffmann), dall’altro è contrario a tutte le droghe (per convinzione, ma forse anche perchè a suo tempo vittima di un “atroce scherzo” da parte di ex-comapgni di scuola), e poi, ancora, quando si tratta di Foucault, come di Deleuze, “stravede” considerandolo colui che ha demistificato i meccanismi del potere, ma anche e soprattutto  come il pensatore che, come ha scritto qualcuno, “si è occupato  di follia e di carceri, mettendo in soffitta le questioni metafisiche” . Ed ecco che il libro di Simon Wade, riscoperto da Heather Dundas (cfr. il libro citato, Miano, Blackie Edizioni, 2023 e relativa prefazione della Dundas) ci conferma il sincero impegno di Foucault (non avevamo dubbi, peraltro) per la demistificazione del sistema psichiatrico e di quello carcerario, votato il primo alla condanna di chi pensa e agisce in modo non conforme a quello della maggioranza piu’o meno silenziosa quanto funzionale al potere e il secondo, di conserva, votato non alla rieducazione ma alla mera condanna in carcere, senza attenuanti neppure per chi “ruba un pezzo di pane per fame”. Così Foucault (conversazione con gli studenti della Claremont Men’s College, a pp.132-151 -l testo/conversazione è del 1975, quando  Foucault era visinting prof. negli USA) rifiutando di definirsi “filosofo” o “storico” (e implicitamente anche antropologo culturale o sociale, come si dice negli USA, o sociologo) afferma: “non credo che il problema sia sapere chi abbia osservato questo discorso, quale fosse il modo di pensare o di percepire la follia da parte della coscienza delle persone durante un periodo particolare , ma piuttosto di guadare il discorso sulla follia, le istituzioni legate alla folla, il modo in cui le persone sono state escluse perchè non avevano un lavoro o erano omosessuali e via dicendo” (op.cita, p.134) e ancora: “Allla fine del diciottesimo secolo, la società ha elaborato un sistema di potere non piu ‘basato sull’esclusione , ma sull’inclusione all’interno di un sistema in cui  tutti si trovano collocati, controllati, osservati giorno e notte, in cui ognuno è legato alla propria identita'”(ibidem, p.135).    Ecco come Foucault ci mostra i meccanismi del manicomio e quello della prigione, partendo dal panopthicon di Jeremy Bentham, inserendosi nella piccola ma importante schiera di autori come Deleuze, Guattari (con qualche contraddizione, però come noto…), Szasz, Antonucci, Cooper, Laing (ma, rileva Foucault in questo testo, più discorsivo, quest’ultimo era rientrato quasi in senso alla psichiatria tradizionale) che, con diverse competenze e partendo da diversi angoli visuali, demistificano i meccanismi di controllo del pensiero. Chiarisco quanto avevo affermato sulla metafisica: essa è sempre stato strumento normativo, di potere, mentre la mistica e l’intuizione, anche creativa (arti etc.)s fuggono al controllo.  Eugen Galasso

Pubblicato il: 1 April, 2023
Categoria: Notizie

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo