PREFAZIONE di Thomas Szasz a “Il pregiudizio psichiatrico” di Giorgio Antonucci
Il pregiudizio psichiatrico, Giorgio Antonucci, ed Elèuthera, 1989.
PREFAZIONE
Giorgio Antonucci non parla inglese e io non parlo italiano. Nonostante ciò, quando ci siamo incontrati, era come se parlassimo la stessa lingua. E infatti parlavamo in un linguaggio più profondo, diverso in ogni caso da quello che comunemente si intende con la parola “linguaggio”. Il nostro non era puramente il linguaggio della reciproca comprensione. Era il linguaggio del rispetto per un gruppo di persone che oggi, in tutto il mondo, vengono trattate in tutti i modi fuorchè con rispetto. Mi riferisco naturalmente alle persone chiamate o classificate come pazienti psichiatrici, che possono essere brutalmente torturate o assurdamente coccolate, private dei più elementari bisogni e diritti umani o fornite gratuitamente di più beni, servizi e scuse di quanti non ne vengono concessi alle persone ordinarie. Ma qualsiasi cosa i pazienti psichiatrici possono ottenere, c’è qualcosa che non avranno mai: il rispetto d’essere considerati semplicemente come esseri umani. Niente di meno e niente di più.
Giorgio Antonucci ed io siamo stati per molto tempo a conoscenza del lavoro reciproco. Ma non ci siamo incontrati fino a quando Antonucci non mi invitò a pranzo nella sua casa di Firenze, mentre stavo visitando l’Italia nell’estate del 1985. Un caro amico comune, Piero Colacicchi, artista e docente nel programma dell’Università di Syracuse a Firenze, era con noi e ci aiutò a comunicare. Ma era più un catalizzatore che un traduttore, per lo meno quando la nostra conversazione toccò i problemi cosidetti psichiatrici. Su questo argomento eravamo in un accordo così armonioso che la traduzione non era più necessaria. Noi crediamo, a differenza della maggior parte dei nostri colleghi – e di molti profani – che i cosiddetti pazienti psichiatrici sono, come noi, delle persone sotto ogni aspetto. Possono, come ognuno di noi, essere giudicati eccentrici, preoccupati, fastidiosi, onesti o disonesti. E in molti altri modi che fanno parte della condizione umana. Non c’è nessuna misteriosa “malattia mentale” che faccia diventare il cosiddetto paziente qualcosa meno di un uomo, bisognoso dell’intervento suppostamente umano dello psichiatra per restituirgli umanità. Al contrario “ciò” è qualcosa contro cui chi è chiamato paziente (e con lui altri del suo ambiente sociale) deve strenuamente lottare. Quanto egli riesca ad opporsi con successo, dipende in parte da lui e in parte da noi, da come lo incoraggiamo o scoraggiamo, gli permettiamo o gli impediamo di agire.
La psichiatria italiana è arricchita in modo incommensurabile da Giorgio Antonucci. Si può ritenerlo un buon psichiatra (qualunque sia il significato del termine): ed è vero. O si può ritenerlo un buon antipsichiatra (qualunque sia il significato del termine): ed è altrettanto vero. Io preferisco ritenerlo una persona come si deve che pone il rispetto per il cosiddetto malato mentale al di sopra del rispetto per la professione. Per questo gli mando un saluto.
Syracuse, (N.Y.)
ottobre 1989