Author Archive

‘Giorgio, Noris e Dante’ – disegno di Vincenzo Iannuzzi (Janù)



Pubblicato il 25 July, 2015
Categoria: Immagini

‘I Tempi Supplementari’ di Vincenzo Sparagna – di Giorgio Antonucci




Vincente Van Gogh


Se penso alle iniziative vivaci e penetranti di Vincenzo Sparagna la mente mi si affolla di ricordi, sia a proposito di vicende personali importanti, sia a proposito del campo più largo della nostra cultura di questi anni.
Ricordo il sarcastico commento di Arthur Shopenhauer a proposito della ‘Monadologia’ di Leibniz e del ‘Migliore dei Mondi Possibili’ quando afferma, maliziosamente, che per fortuna le cattive opere hanno il merito di provocare la nascita di capolavori, se si pensa che Voltaire riflettendo su Leibniz scrisse addirittura ‘Candido’, questa immortale creatura dell’umorismo.
E pensando al ‘Dizionario filosofico’ io dico che le nostre speranze di miglioramento del genere umano, che ancora non sono sparite, dipendono da intelligenza, che, similmente a quelle di Voltaire, non accettano i dogmi e il fanatismo, non venerano le autorità, non credono nell’assoluto, e sanno ridere degli altri e di se stessi, lanciando lampi d’improvviso chiarore nello stanche nebbie della vita quotidiana dei periodi di crisi.
L’umorismo, in ogni caso, è un’arte difficile sia per gli artisti, sia per i critici della cultura, perchè richiede ‘tempi supplementari’ di creatività.
Appunto ‘Quei Tempi’ a cui si riferisce il Nuovo Mensile di Vincenzo Sparagna, che, come tutti sanno, nasce ora, ma deriva da una lunga e avventurosa esperienza giornalistica, a cui qualche volta ho avuto anch’io la fortuna di partecipare.
C’è in questo giornale uno sguardo aperto sul senso più profondo e più genuino degli avvenimenti con una immediatezza e una sincerità che ci permettono ancora di credere nelle possibilità comunicative del linguaggio, e nella funzione liberatoria di una riflessione e di una critica indipendenti.
E’ un giornale che sarebbe piaciuto a Karl Kraus.
C’è la solidarietà autentica per le persone più emarginate, derivata dalla coscienza del destino comune.
Ma c’è soprattutto la voglia e la capacità di ridere e di divertirsi, che sembra divenuta sempre più rara, nel mondo grigio dei sottomessi al potere.
“Lanimale che più soffre sulla terra – commentava Federico Nietzsche – ha scoperto l’arte del ridere”.
E le burocrazie del potere di ogni colore sono sempre state e ancora continuano a essere nemiche dell’umorismo.
Così noi auguriamo a ‘Tempi Supplementari una lunga durata e una larga diffusione e ne consigliamo vivamente la lettura.
Anche perchè vogliamo risolvere a nostro favore quella partita che per ora sembra restata ferma sul pareggio, nel conflitto tra la schiavitù e la libertà, il privilegio e l’uguaglianza, la pace dei giusti e la guerra dei prepotenti.
Per tornare a guardare verso il futuro nei termini solari dei delicati versi di Cristoforo Sparagna, padre di Vincenzo. /Quale risplende talora glio cielo/ all’apparì o scomparì del sole/ che te sembra vedè ‘nu nunnu ‘ntero/ ‘ntra nubi vive de fiamma e de ore/.
Nel regno degli uomini.


Firenze 25 novembre 1991

Pubblicato il 25 July, 2015
Categoria: Testi

Il complesso di Cleopatra – Giorgio Antonucci



per Senza Confine



Gustav Klimt




Volano le idee


come stormi
di uccelli
nel tramonto.


Secondo alcuni studi recenti approfonditi sembra davvero che Shakespeare fosse un poeta, e non solo un attore giramondo in compagnia di allegri pellegrini, e pare che scrivesse lavori discreti con personaggi fantasiosi e divertenti.
Alcuni dicono che era di talento eccellente e aggiungono perfino che non era un bigotto e un baciapile.
Aveva scritto sonetti d’amore con mano sicura.
Tutti dicevano – che bellezza -.
Ma non erano dedicati a una donna.
I vittoriani non sapevano come prenderla, e cercavano di nasconderlo.
Sulla sua opera famosa ‘Amleto’ molti ingegni si erano misurati, con alterne fortune e sorprendenti trovate.
Gli attori di teatro ci giocavano la carriera.
Ma il bello doveva ancora venire. Mancava il cinema di qualità, o il cinema d’arte.
Il regista fiorentino, che dalle meditazioni su san Francesco ha ricavato l’idea brillante di proporre la pena capitale per le donne violentate che scelgono di non partorire un figlio indesiderato, ha anche scoperto, a scapito di Shakespeare, che non si esprimeva bene, che la vera storia di Amleto è la storia di un incesto, come dice Freud nei suoi commentari, confermato da psicologi autorevoli.
Uno Shakeaspeare confuso, che non leggeva libri di psicologia, viene finalmente riscattato da uno Zaffirelli attento, sempre al corrente e sempre creativo, lucido e sicuro di sè.
Così ora finalmente si capisce chi diavolo era Amleto, e perchè la mamma era preoccupata, e perchè il babbo lo odiava, e perchè tutti nel dramma si tormentano furiosamente a vicenda.
E perchè Ofelia si è suicidata.
Meno male che Ofelia non era incinta altrimenti avrebbe dovuto interrompere la gravidanza per evitare il figlio di un padre incestuoso.
Ma i nostri grandi registi sono il succo della cultura.
Giustamente la folla li ammira.
Il fiorentino Franco Zeffirelli approfitta di tutte le occasioni per chiedere vivacemente il ritorno della pena di morte, proprio a Firenze e in Toscana, dove fu abolita per la prima volta nel mondo nel lontano 1786, tre anni prima della rivoluzione francese, che invece con la ghigliottina aveva scoperto l’esecuzione democratica, uguale per i signori e per i pezzenti.
Da cui abbiamo imparato che quando c’è qualche bruttura basta saperla fare da democratici.
Il romagnolo Federico Fellini sogna il ritorno dei casini di Stato con le donne schedate e controllate per la salute dei clienti, oltre a rimpiangere i manicomi, proprio nella terra libertaria di Andrea Costa e del Passatore.
Lui da giovane in casino ci mangiava le uova al tegame.
Generazione beata.
Le strade della cultura, dobbiamo dire, sono più difficili e misteriose di quelle della provvidenza, e questi nostri registi sono di sicuro dei chiaccheroni maledetti, sempre pronti ad aprir bocca senza pensare.
Ora aspettiamo delucidazioni sul complesso di castrazione di Don Chisciotte o su quello di Don Giovanni.
O su l’invidia del pene di Cleopatra.
Noi che a volte siamo preoccupati del complesso degli schiavi.
Ma ci rallegriamo perchè gli artisti, nella gara di conformismo, arrivano sempre troppo tardi, subito dopo gli scienziati.
Sportivamente, nel più completo disinteresse.


Firenze 3 maggio 1993

Pubblicato il 21 July, 2015
Categoria: Testi

Il sole – racconto di Giorgio Antonucci




Marc Chagall

Il sole dorato lasciava questo cielo per entrare nei suoi giri nascosti. Le scintille della notte apparivano una dopo l’altra come lampade di pellegrini.
Il campo, oramai silenzioso, era pieno di figure immobili e di ombre leggere: i resti della battaglia e del bombardamento.
Lui si guardava dintorno con calma e lentezza, come vedesse tutto da grandi distanze.
Si erano visti corpo a corpo dietro l’angolo di un rudere.
Allora lui lo aveva strozzato e scavato nella gola.
Aveva gli occhi fissi verso le nubi.
Poco dopo nell’affanno del respiro si era chiesto il perchè.
Aveva detto: “Ora finalmente mi devi rispondere.”
Si sentiva lontano il mormorio delle acque, e l’alito del vento.
Cominciavano le voci del buio. Allora lui si era sparato con la pistola.
Ora, dopo l’alba, canta la fanciulla, e canta l’usignolo.


Firenze 19 aprile 1993

Pubblicato il 20 July, 2015
Categoria: Testi

La macchina uomo – Giorgio Antonucci


per Senza Confine



Kandinskij


Io da solo
ti accuso

Nessuno
ode
il mio
grido.

Nel museo delle cere dei grandi criminali a Londra a un certo punto si presentano simpaticamente in un angolo due giovani robusti e prestanti che, si racconta, nei tempi d’oro della ricerca medica e biologica, in momenti di penuria per l’istituto di anatomia umana della metropoli, uccidevano per pochi scellini mendicanti, barboni, e altri cittadini sconosciuti o smarriti, per fornire cadaveri da dissezionare agli studiosi.
La prima volta che li vidi, quei due, mi sembravano tipi d’altri tempi, o fenomeni rari di una città misteriosa, celebre per i suoi intrighi bizzarri in onore di detective e esperti particolarmente acuti, e di ambienti polizieschi raffinati, invece in seguito ho capito per esperienza che non avevo abbastanza pratica di medici medicine e ospedali, e, più che altro, ignoravo profondamente la cultura e i metodi scientifici, e la consolidata mentalità universale della nobile tradizione umanistica, a cui abbiamo la fortuna e la gioia di appartenere.
Non si tratta qui, almeno da parte nostra, di tirar fuori le solite inopportune proteste moralistiche sul fatto che in alcune grandi città o metropoli civili dei nostri continenti si cavano gli occhi e i reni ai bambini randagi per le strade e per i vicoli per fornire il necessario materiale di trapianto alle cliniche di lusso, né si vuole tirar fuori di nuovo a sproposito la notizia che gli indigeni dell’Amazzonia sono serviti e servono spesso anche come selvaggina speciale per i safari etnologici o per le partite di caccia delle persone perbene del nostro mondo privilegiato.
Né ci pare strano che un bambino ferito della Bosnia sia morto in Germania perché la burocrazia non aveva ancora capito chi e che avrebbe pagato le prestazioni sanitarie – questi sono fatti così comuni da risultare perfino banali – in ogni circostanza i poveri muoiono più presto, più facilmente e più alla svelta degli altri, tra il disinteresse e l’indifferenza della autorità, che hanno da pensare a problemi più gravi, più urgenti, e più pertinenti alle loro funzioni.
E non vogliamo nemmeno occuparci di scienziati e ricercatori che fingono di aver trovato vaccini per l’AIDS o terapie per i tumori per accaparrarsi speciali finanziamenti di Stato o particolari riconoscimenti danarosi, fecondi di gloria e di fama internazionale.
Inoltre ignoriamo del tutto i fabbricanti di armi chimiche, biologiche e atomiche, e i fisici delle centrali nucleari che dicono che il progresso della scienza ha dei rischi inevitabili a cui dovrebbe essere obbligatorio sottomettersi per amore della specie.
Ci preme piuttosto occuparci degli ospedali impropriamente definiti civili dove si va per essere provvisoriamente riparati o restaurati, ma anche spesso per morire in solitudine.
In medicina il concetto di uomo come macchina, che deve servire rendere e funzionare, ha del tutto sostituito l’uomo come essere vivo e come protagonista della sua effimera esistenza sensibile, che è una breve ma preziosa parentesi creativa nel silenzio inutile del mondo.
Uomo macchina significa uomo produttore di beni, uomo merce, uomo consumatore di merci, e naturalmente anche e soprattutto uomo carne da macello.
Di qui la barbarie degli ospedali, organizzati come caserme, diretti come fabbriche, tristi come obitori.
Nella preparazione del medico la sala anatomica non è un momento di conoscenza, ma è la base di una cultura, il segno distintivo di una professione servile mortale alienata e disumana, che si spaccia e si fa passare per filantropica, e si vende a caro prezzo come arte terapeutica, togliendo in realtà dignità e valore agli esseri che respirano.
Le cavie umane le hanno inventate i dottori.
Negli ospedali, notoriamente dannosi alla salute, tutto è possibile, tolto che ottenere sensibilità e rispetto.
L’ospedale deriva dal lazzaretto e dal lebbrosario, che sono anche il modello delle prigioni e dei campi di sterminio, e deve essere abolito come molte altre brutture della nostra tradizione.
Un uomo deve vivere essere curato e morire nel suo ambiente e nel suo mondo di interessi e di affetti, e non essere rapito e aggredito quando sta male per essere isolato e mortificato e manipolato in un luogo di orrori, anticamera dolorosa del cimitero.
Ma gli ospizi servono anche a far credere ai sani che per loro la malattia e la morte sono un fantasma lontano.

Firenze 23 agosto 1993.

Pubblicato il 15 July, 2015
Categoria: Testi

La Promessa di un Mondo Migliore – Giorgio Antonucci


per Senza Confine




“Sono nato da un ventre
per cantare e ripetere
a chi deve ascoltarmi
di miserie, di poveri
e di terra”
da Miguel Hernandez


Il razzismo sistematico è un’invenzione della scienza accademica dell’ottocento, alimentata fortemente dalle presunzioni illuministe, che ponevano il progresso tecnologico e l’espansione imperialistica degli Europei e degli Americani al centro del mondo, e al culmine della storia universale.
Troviamo questa idea guida già nell’ – Enciclopedia – di Diderot.
Non si deve dimenticare che la nuova cultura si fa avanti a colpi di ghigliottina e di massacri militari.
E’ una nuova forma di fanatismo.
La sopraffazione organizzata viene teorizzata come trionfo dello spirito e come affermazione della civiltà dei più giusti.
Poeti e musicisti inneggiano alla gloria della armi.
Hegel identifica il potere dello Stato con lo spirito universale.
Napoleone Buonaparte è il modello dell’uomo riuscito.
Pure i teorici della rivoluzione adorano la forza e l’autorità.
Il razzismo è uno dei figli della storia del potere.
E’ stato coltivato anche da molti socialisti e non ne sono estranei artisti di prim’ordine come Dostoievskij e Wagner.
Il popolo che aspira al dominio deve sentirsi il migliore.
E’ il popolo che salva il mondo, con la religione, con la politica, con l’arte, con la conoscenza scientifica, con la gloria e l’antichità delle sue origini.
Così accanto al razzismo genetico dei medici e dei biologi nasce il razzismo culturale degli storici e dei linguisti, e il razzismo mistico degli psicologi, degli antropologi e degli artisti.
I professori universitari in collaborazione tra di loro fabbricano armi di ogni natura e elaborano teorie razziste di tutti i tipi.
Se le risorse sono scarse se le devono scippare i superuomini, se le devono godere gli eletti, se le spartiscono i più riusciti.
Questa è l’etica.
Specialmente in un mondo troppo piccolo e troppo popolato.
Gli altri non c’entrano perché non fanno cultura, sono, come diceva Churchill , insignificanti e trascurabili espressioni geografiche, incapaci di valore storico.
Infatti per Churchill Gandhi era un fastidioso piccolo avvocato mentre Mussolini era uno degli uomini più intelligenti del secolo, e Stalin un uomo di profonda saggezza.
Ora però, siccome non fa immagine e non è di moda e non sembra fine, nessuno si dichiara razzista così su due piedi.
L’immagine di Auschwitz è uno spot che non giova.
Allora sono tutti aperti al mondo e nemici del provincialismo.
Anche i missini e quelli della Lega.
Ma i più illuminati storcono il naso.
Salvo incitare i naziskin a bruciare i turchi o a picchiare i neri, o invitano il sindaco di Milano a espellere gli stranieri non legalizzati o non ancora riconosciuti che sono la maggior parte, o a chiamare la polizia per arrestare il barbone che dorme sulla panchina.
O a rimpiangere i casini con le donne schedate o i manicomi con i cittadini internati squalificati e privi di diritti civili.
O a chiedere la condanna a morte ogni volta che capita.
O a proporre, come a Firenze, l’affidamento dei bambini zingari a famiglie borghesi perbene, magari di fede fascista.
O a fermare una bambina straniera che affoga mentre chiede soccorso dichiarando che non ha diritti perché clandestina.
Quello che voglio dire è che il razzismo non è un fenomeno marginale né un frutto di ignoranti e di analfabeti, ma va cercato proprio dentro la cultura, nel nostro Pantheon, tra i cervelli più preparati.
E quando si parla di nazismo conviene partire da Martin Heidegger e da altri professori come lui, espressioni rivedute e corrette di Socrate ateniese, maestro dei giovani.
Dobbiamo leggere – I Diari – di Anna Frank insieme ai suoi discorsi politici universitari a favore di Hitler.
Invece di rifarsela sempre e solamente con i fanatici ingenui, per nascondere la propria complicità, secondo l’ipocrisia e la malafede dei farisei.
Probabilmente deve ancora nascere una scienza dell’uomo che sia anche rispetto della libertà.


Firenze 6 settembre 1993

Pubblicato il 14 July, 2015
Categoria: Testi

“Sanity” di F. Leiber – Eugen Galasso



Tra gli scrittori (e non occorre definirli con un riferimento determinato al genere, ma si parlerebbe, comunque, di “anticipazione”, futurologia, SF, come si voglia) che si sono maggiormente occupati, nel 1900,  di “pazzia”, oltre ai casi più noti ed espliciti, c’è certamente Fritz Leiber, di Chicago, vissuto dal 1910 al 1992: ne parla in varie sue opere (racconti e romanzi), ma è nel racconto”Sanity” (1944, “Sanità mentale”nella traduzione italiana) che la trattazione si condensa ed esplicita maggiormente:  “Sono certo che capirai. Il problema centrale è quello della sanità mentale. Cos’è la sanità mentale…oggi, o nel Ventesimo secolo, o in qualunque altro periodo storico? L’aderenza a una norma. La conformità alle norme basilari della condotta umana. Nella nostra epoca l’allontanamento dalla norma è diventato la norma. L’incapacità di adattarsi è diventata lo standard. E’chiaro, no?… Per un lungo periodo di anni tu hai voluto a ogni costo aderire a una norma, conformarti a certe convenzioni di base. Non sei mai riuscito a adattarti alla società che avevi attorno. Potevi solo fingere…” (trad.it., in F.Leiber, “Il libro dello spazio”, p.32, Milano, Mondadori, 2015). Come si vede, il discrimine tra “sanità” e “malattia” mentale è solamente nell’adattamento o meno ai canoni di una certa società e cultura, dunque discrezionale dal punto di vista dei poteri dominanti; può essere dato dai “padroni del potere”, anche “mentale” e dunque, fatalmente “dannare” chi non raccoglie certe indicazioni, chi, già precedentemente era/ è inviso/a ai poteri di cui sopra. Considerazioni del tutto in sintonia con le tesi esposte da famosi a-psichiatri e anti-psichiatri come Thomas Szasz e Giorgio Antonucci, tra gli altri.  
Eugen Galasso  

Pubblicato il 6 July, 2015
Categoria: Testi

Libertà di scelta, fulcro di ogni… medicina – conversazione con Giorgio Antonucci


Conversazione con Giorgio Antonucci
‘I Gazetin, maggio-giugno 2015-07-04



Paul Klee

Riprendiamo il filo… Tempo fa un gruppetto di amici decide di andare a Firenze per incontrare il Dr. Giorgio Antonucci, intrattenendo con lui una conversazione ‘a ruota libera’, come si suol dire. Il giornale già ne ha riportato stralci, in due parti ( G. Antonucci, “L’importanza di Dante“, giugno-luglio 2014 e “Si fa presto a dire follia“, novembre 2014) e, prima che cessi la pubblicazione non intende mancare di proporne la conclusione. Qui di seguito trovate la terza puntata – incentrata su libertà di scelta, aiuto e auto-aiuto – mentre nella prossima edizione troverete l’ultima, che si soffermerà, sempre in questa formula colloquiale, su figura e ruolo del Dr Antonucci nell’ambito della critica alla psichiatria.


Quand’è che bisogna iniziare ad aiutare? Cioè, una persona che si trova completamente focalizzata su una piccola porzione della sua coscienza potrebbe dimenticare di mangiare, di pulirsi, non riuscire più a dormire…

Primo punto: se una persona ha bisogno di aiuto lo chiede lei e non deve esservi costretta. Il nocciolo della psichiatria, da cui nascono i manicomi, è il fatto di obbligare una persona a sottoporsi a dei trattamenti. Ma poi io non capisco, ci sono tanti modi di vivere. C’è chi sceglie, o si trova nella condizione di scegliere di trascurarsi, di mangiar poco; c’è chi sceglie di mangiar troppo. Ci sono tante possibilità, ma non c’entra nulla la malattia mentale. Se uno vuole aiuto lo chiede, e allora uno che ha l’insonnia può andare da un medico e chiedergli qualcosa che serva per dormire. Questo non è psichiatria e non c’ una malattia di mente da curare.


Ok, ma possono rompersi una gamba, o la testa…

Eh bé, me la sono rotta anch’io: bisogna che vada dal chirurgo, se no muoio; ma non c’entra nulla la psichiatria. La psichiatria è un giudizio sul comportamento. La neurologia, le malattie del cervello del cervello sono come le malattie delle gambe. Non a caso si chiama il neurologo, non lo psichiatra. Il neurologo si occupa delle malattie del cervello e se io ho un’emorragia alla testa, come m’è capitato, si vede l’emorragia, con la TAC; ma se io invece decido di fare l’eremita e qualcuno dice che non mi funziona la testa, questo è un arbitrio.

Uso di nuovo la parola schizofrenia, perché nel corso degli anni ’50 c’è stato l’avvio di una terapia utilizzata per una categoria di schizofrenia.


Susa, ma schizofrenia non corrisponde niente in testa. Io avevo un’emorragia, e questo è un disturbo neurologico, un altro ha l’Alzaheimer e le cellule del cervello sono in distruziione, queste sono malattie del cervello, e nessuno mette in discussione le malattie del cervello. Quello che si mette in discussione è la psichiatria.

E la psicosi? Il fatto che non c’è più nessun controllo sui neurotrasmettitori…


Psicosi non vuol dir nulla. Psicosi è un termine inventato dai tedeschi che vorrebbe dire degenerazione della psiche. La psiche non è un organo e non degenera, per cui non vuol dire niente. Ma comunque è così semplice! Io sono un medico, perbacco! Lo so che ci son le malattie del cervello, ma che c’entrano le malattie del cervello con l’omosessualità? Che c’entrano le malattie del cervello con l’isterismo della donna che soffre, perché ha una vita sessuale sbagliata? Questo non lo dico io , lo ha detto Charcot, all’inizio del secolo. Quando Freud è andato a Parigi per studiare con Charcot, il più grande neurologo d’Europa, Charcot aveva cinquemila donne ricoverate in manicomio ed era anche professore alla Sorbona in anatomia patologica. Prendeva queste donne dal manicomio e le portava lì, davanti ai suoi studenti, e diceva, siccome era fine: “Probabilmente hanno dei disturbi nei nervi”. Poi a Freud, che era uno dei suoi allievi prediletti, e agli altri che andavano con lui all’osteria o a casa sua a discutere, diceva che non hanno nulla i nervi, il problema è la repressione sessuale. Freud ha fondato la psicanalisi su questo fatto e, all’inizio del ‘900, ha detto che non è una malattia. Noi non abbiamo fatto altro che riprendere il suo discorso, la malattia è una lesione biologica, ma essere omosessuale non è una lesione biologia; essere religiosi fino a vedere gli angeli non è una lesione biologica, per cui questi sono comportamenti e pensieri. I comportamenti e i pensieri non c’entrano nulla con la malattia. La malattia è un fatto biologico che si vede. Se io ho un tumore al fegato, si vede. Si osservano le cellule e si vede che c’è il tumore, se ho un tumore alla testa si vede, se ho una meningite si vede, se ho l’epilessia si vede, ma essere in un modo invece che in un altro è una questione morale. Ai tempi di Freud dicevano che le donne che fanno all’amore con molti uomini sono malate. Malattia mentale è come dire malattia dell’anima. O c’è una malattia del cervello o non c’è nulla. Ma la malattia mentale non vuol dire nulla, è una metafora, perché la mente non è un organo.



Io abito in Spagna. In Spagna c’è una Società Spagnola di Psichiatria e una Società di Psichiatria Biologica. La mia domanda è: dato che esistono la psichiatria e la neurologia, qual è lo spazio attribuito a qualcosa che si chiama Psichiatria Organicista? Se non c’è malattia della mente, la psichiatria può essere considerata parte della medicina?


No. La medicina si occupa delle malattie degli organi, delle malattie reali. La malattia è un processo biologico che prende le cellule del cervello, del fegato, dei muscoli, delle ossa, quello che volete, della milza, del sangue, che si modificano, e se il processo va avanti senza essere fermato porta a un progressivo squilibrio dell’organismo e alla morte. Oppure porta alla guarigione se si ferma questo processo biologico. La psichiatria biologica è una bischerata, lo dico alla fiorentina, nel senso che non c’è niente di biologico nell’essere eterosessuali, omosessuali, poligami, o monogami. Ma vi rendete conto che in America hanno detto che sono malati di mente i neri che scappavano dai campi per non fare più gli schiavi? Allora, i comportamenti non sono sani o malati.

Ancora due domande. Che cosa hai fatto durante questi anni come dottore? E che ruolo dobbiamo avere noi come volontari ex-utenti, nella nostra organizzazione di utenti della psichiatria?


Io ho incominciato a fare il medico in un ospedale e il medico condotto, cioè il medico generale. Poi dopo anche a Imola, in un grande manicomio, facevo il medico perché, a prescindere da fatto che le persone erano rinchiuse lì per i loro problemi di pensiero, avevano i reumatismi, il fegato che non funzionava, poi tanti guai perché erano stati rinchiusi e immobilizzati per anni interi. Per cui ho fatto il medico e come medico so distinguere una malattia quando c’è o quando non c’è. Ho curato le malattie di tutti gli organi, come fa un medico. Ho fatto il medico anche durante il terremoto, in Irpinia e in Sicilia, o anche in condizione di emergenza. Questo per dire della mia esperienza di medico. Per la seconda domanda, prima di tutto: voi siete utenti perché qualcuno vi ha fatto una diagnosi psichiatrica, se no che utenti siete?


Io sono scappato via dalla psichiatria, ho dovuto farlo da solo, ma sapevo che avevo bisogno di aiuto. Sono scappato via perché loro, i dottori, avevano un’idea su cui non ero d’accordo. Potevo scappare, intendo legalmente, e infatti ho attuato un modo mio per guarire. Penso però che qualcuno possa aver bisogno di aiuto in certi momenti.

Sì, sì, in ogni modo il problema è questo; infatti il nocciolo del mio discorso è: non accetto che le persone siano obbligate. Perché se io ho u tumore alla prostata che mi porta al cimitero in una settimana e il medico mi dice che va operato e io gli dico che non mi opero e muoio, sono libero di farlo. Tutto il mio lavoro è stato contro: nei manicomi per tirar fuori quelli che vi erano stati obbligati; fuori per evitare che vi fossero obbligati. Per cui, poi, il problema dell’aiuto mi interessa secondariamente. Io ho le mie idee, ma se uno vuole andare dallo psichiatra volontariamente, non ho niente in contrario. Il punto è che lo psichiatra non debba avere il potere di obbligare.


Qual è il ruolo delle organizzazioni degli utenti?

E’ difendere la loro libertà di scelta. Ognuno ha il diritto di chiedere aiuto a chi gli pare. La domanda è se si è obbligati ad andare da qualcuno. Cioè il mio problema è la libertà: deve essere la persona a scegliere dove andare e anche che cosa fare. Eventualmente lo psicanalista o il medico danno consigli, non direttive.


Questo è chiaro per me, infatti ho l’impressione che la depressione, per esempio, così come il trauma, non siano veramente biologici.

Se noi due parliamo è un fatto biologico: siamo due esseri viventi; le scimmie parlano tra di loro, questi sono fatti biologici; non siamo mica anime. Il problema è che si dice “patologico” solo quando c’è un processo patologico nell’organismo. Punto e basta.


La depressione è o non è una malattia, allora?

La depressione non è una malattia, perché non c’è niente di biologico; è una condizione umana. Uno può essere felice o infelice, sentirsi entusiasta o non avere più voglia di vivere.
Di solito l’unica risposta che gli viene offerta è quella psichiatrica.
Una risposta che poi non serve a niente. Tu puoi anche scegliere la pastiglietta, ma non ti aiuta a risolvere il problema. Per capire che cosa significa bisogna ragionarci sopra insieme, non che io dico:; quello lì è depresso, va curato. Si ragiona insieme per vedere cosa ci rende meno tristi. Se a una persona gli si nega la scelta, la libertà, altro che depressione!


Infine lo stigma… Come evitare lo stigma sociale?


Lo stigma deriva dal fatto che se si prende una persona con la forza e la si costringe ai trattamenti, si comunica agli altri che questa persona non è capace di decidere da sé. E’ questo lo stigma. Perche se tu dici: “sono depresso”, posso dirti: “lo sono anch’io; vediamo un po’ cosa si può fare per uscire dai guai, per essere meno tormentati; alla pari, eccetera”. Ma se io penso che devo decidere per te e ti squalifico davanti a tutti, questo è lo stigma. Lo stigma è che quella persona, e questo è ufficiale, viene presa con la forza, dunque non è capace di decidere da sola, non è più un cittadino.


http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2015/08/12/il-ruolo-misconosciuto-di-antonucci/

Pubblicato il 5 July, 2015
Categoria: Testi

Giorgio Antonucci – La testa fra i ceppi – Poesia

Francisco Goya



La testa fra i ceppi

li hanno modellati
per i pazzi

a forma
concava

sul modello del cranio

Certamente non possono
essere precisi

Ce ne vorrebbero
troppi

Ce ne vorrebbero
troppi

Ce ne vorrebbero
a molte dimensioni

Bisognerebbe tagliarli
con curvature
diverse

Non so se mi intendi
il nostro
lavoro
è un pò complicato

Però io non c’entro
sono
un semplice
sorvegliante

io faccio il mio mestiere

faccio il mio mestiere
e basta!

Ma anch’io ho una testa
per riflettere!

Anch’io
ho un’esperienza

Sono qui da vent’anni
e so
molte cose

Bisognerebbe tagliarli
con curvature
diverse

Non so se mi intendi
il nostro
lavoro
è un pò complicato

Si tratta
di matti!

La testa
capisci?

La povera
testa
malata!

Mi parlava
con aria competente
con atteggiamento da lunga esperienza
con qualche
sguardo
malizioso
con occhiate
d’intesa

La testa
capisci?

La povera
testa
malata!

Se vieni
ti porto
a vedere

ti porto
a vedere
Vincenza

“la nostra
bimbetta”

La chiamiamo così
in tono affettuoso
perchè ci fa pena

perchè l’abbiamo
accolta
qui
da bambina

aveva quattro anni

Ebbene è malata
è molto malata

ti porto a vedere
vedrai la sua cella

vedrai che è legata

La testa fra i ceppi
a capo del letto

E poi se la sleghi
(ci abbiamo provato!
ci abbiamo provato!)

ti guarda impaurita
(lo sai non capisce)

e cade per terra

e batte la fronte

e grida

e non parla

Mi ha detto il dottore
(un grande scienzato
un grande scienzato
che sa quasi tutto)

tenetela ferma!

perchè la slegate?

Ha male qui dentro
Ha male alla mente
Ha male al cervello

tenetela ferma
tenetela fissa!

Guardate il suo sguardo

Lo sguardo è smarrito

Ha male qui dentro
Ha male alla mente
Ha male al cervello

tenetela ferma
tenetela fissa!

La testa fra i ceppi.


http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2009/08/22/trattamento-sanitario-obbligatorio-francesco-mastrogiovanni-muore-legato-a-letto/

Pubblicato il 28 May, 2015
Categoria: Testi

La devianza come malattia – A-rivista anarchica n°398 – Recensione “Fra diagnosi e peccato” di Chiara Gazzola – Estratto

 

 

…”L’autrice di formazione antropologica,dimostra attraverso un approccio storico, sociologico, antrpologico come la diversità sia considerata indice di irrazionalità e insensatezza, una minaccia al corretto funzionamento dell’ordine morale e sociale. Sottolinea il carattere ambiguo, soprattutto nell’ambito della classificazione delle malattie mentali in psichiatria: l’anomalia, come antitesi di normalità, è irretita di attributi morali. L’ambito psichiatrico contribuisce ad alimentare il nostro pregiudizio rispetto a ciò che per noi è alienazione mentale, follia. Per altre culture, invece, rappresenta l’esternazione di uno spirito che porta ad agire al di sopra della volontà delle persone, l’anomalia sociale è interpretata in funzione del bene della collettività e inserita in un contesto di credenze condivise”….


…”Per un approccio alla terapia, la fiducia è indispensabile all’efficacia della cura stessa. Nella voce corale delle testimonianze raccolte, ricorre la richiesta di ascolto, conforto alla sofferenza. Si chiede Gazzola: “Quando la relazione tra individui è disturbata da burocrati, agenti di controllo e giudici o si attua all’interno di progetti nei quali il poter fare si basa su poteri di forza, può avviarsi un rapporto di reciprocità?” Le ingiustizie evitabili generano un dolore spesso impossibile da accettare.”


…”C’è una sottile e discriminatoria linea di confine fra prendersi cura e gestire l’aiuto, come ben dimostra l’analisi su etnopsichiatria e flussi migratori……L’assistenzialismo è il volto buono delle istituziioni totali. L’esclusione viene attuata ogni volta in cui si crea una categoria o una situazione che susciti scandalo, un risentimento sociale al quale si abbina una giustificazione “scientifica”. Le aree di studio dell’etnopsichiatria pongono attenzione ai fattori ambientali e sociologici, ma giustificano una cura farmacologica chiamando ogni conflitto con il nome di una patologia. Pertanto si esclude una soluzione attraverso un approccio culturale e relazional.”


…”Nelle coversazioni riportate a conclusione del saggio – pregevole quella con Giorgio AntonucciMichela Zucca, antropologa, commenta: “La condivisione, la solidarietà, la spinta ideale collettiva aiutano a superare le sofferenze individuali. Se una persona è coinvolta e impegnata in un progetto riuscirà più facilmente a non cadere nel malessere: in questo senso la lotta è terapeutica”.


Giorgio Antonucci, medico, in Diario dal manicomio (qui) scrive: “Non è detto che una persona debba attenersi per forza alla vita empirica invece che essere fantasiosa, specialmente se il sognare a occhi aperti le è utile per vivere, e non è detto che debba rispettare i pregiudizi e le convenzioni della società quando queste le divengono intollerabili.)


L’articolo completo di Chiara Piccinelli, su Arivista anarchica, 398, maggio 2015


Fra diagnosi e peccato. La discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione.Chiara Gazzola (qui)

 

Pubblicato il 25 May, 2015
Categoria: Notizie

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo