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Testimonianza di Eleftherio Tzirarkas sul lavoro di Giorgio Antonucci al manicomio di S.Lazzaro

“Eleftherio Tzirarkas
Un saluto affettuoso,rispetto ed ammirazione, da una persona che dal lontano 1970 ricorda il tuo lavoro, la tua lotta presso le comunita’ montane (Reggio Emilia-Ramiseto-Castelnuovo Monti ) ove si sono organizzate mobilitazioni e manifestazioni per la chiusura dei manicomi e per il riconoscimento dei diritti civili per le persone affette da disturbi mentali. Personalmente e’ stata un’ esperienza sconvolgente, ed ammiro la tua abnegazione e dedizione in questa causa che ancora oggi ha bisogno di persone come te, perche’ la strada da percorrere e’ ancora lunga.”


La testimonianza scritta nella pagina pubbica del dott Giorgio Antonucci, sulla piattaforma sociale FACEBOOK il giorno 19 maggio 2011, si riferisce ai fatti raccontati nel libro del dottor Giorgio Antonucci: “I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria” ed Coop. Apache, 1986, capitolo 8 “Le calate, visite popolari al manicomio di S. Lazzaro”, e-book http://www.spunk.org/library/health/sp001619/.

foto:

Le visite popolari al manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia

http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2008/12/02/le-calate-al-san-lazzaro-di-reggio-emilia/

Pubblicato il 21 May, 2011
Categoria: Notizie, Testimonianze

“Solitudini” di Paolo di Giosia – Eugen Galasso

In questo bel volume “Solitudini” di Paolo di Giosia, troviamo, con i testi importanti del compianto filosofo dell’educazione Antonio Valleriani e di altri, una documentazione ricca su come ci sia emarginazione, anzi meglio, di come l’emarginazione venga creata. Concezione dicotomica del mondo, nata con e da (almeno, personalmente credo anche da prima) Parmenide e Platone, con il mito cui tutti/e (compreso chi scrive, ma oggi con riserve) indugiamo di “Hellàs”, della filosofia greca dove “il pensiero vede finalmente terra” (G.W.F.Hegel), dove c’è la “ragione” e la “sragione”, la verità e la sua negazione e…tertium non datur. Concezione poi confermata da Descartes, Kant, da Hegel, che pure ci pone di fronte alla complessità, da una concezione miope ed escludente del marxismo (di cui Marx ed Engels non furono in alcun modo né colpevoli né correi), dalla grande parte del pensiero dell’Occidente, magari “cristiano” (definizione coniata da Novalis, poeta romantica che ingenuamente rincorreva il Medioevo, poi statuito in ogni fascismo, in quello spagnolo “In nome dell’Occidente cristiano fucilateli”, in quello greco dei colonnelli e di Pattakòs, in quello cileno di Pinochet o salvadoregno di D’Aubisson, in quello in salsa argentina di Viola e Videla, nella superiorità del WASP (White Anglo- Saxon Protestant) à la Ku-Kux-Clan, nel razzismo di Piek Botha in Sudafrica etc.. Ma anche nel razionalismo “democratico”, “tollerante” (aggettivo che già dovrebbe far riflettere, infuriare chi lo legge!) le sacche di “emarginazione” vanno represse, se c’è bisogno, anche “a ferro e fuoco”…  Idem con tanti altri, tante altre manifestazioni orribili, dove il “matto”, l’ “extracomunitario”, il “deviante”, chi parla altre lingue o ha altre culture (in accezione antropologica, cioè usi, costumi, abitudini, modi di pensare) viene ripreso/represso/disperso, “emarginato” e…scegliete voi quale termine sia più adatto, a seconda delle situazioni e dei contesti.  “Follia”,  dunque, miseria, diversità, da vedere in queste foto e da leggere in questi testi, dove, con riferimenti a Ricoeur, a Lévinas, a Maria Zambrano, a Galimberti (filosofo e psicoanalista, sia detto inter cetera), a Cambi etc., si documenta e si riflette sul “Monde comment ça va”,  come diceva Franòois Marie Arouet, id est Voltaire e cioè, per dirla solo con un avverbio: “male”, finché il rispetto non la vincerà sulla pelosa “tolleranza”, la giustizia sociale non avrà la meglio sulla pelosa “carità”etc.

Eugen Galasso

Pubblicato il 20 May, 2011
Categoria: Libri, Testi

– DENTRO FUORI: “Teresa B.” – Roberta Giacometti e intervista a Giorgio Antonucci su Teresa B. –

Dentro Fuori. Testimonianze di ex-infermieri degli ospedali psichiatrici di Imola” di Roberta Giacometti, ed Bacchilega editore, 2009.

“Il dottor Antonucci era stato l’unico medico, che io abbia visto, che entrasse nel suo camerino senza camice, la toccasse, le rivolgesse la parola, stesse seduto accanto a lei sul letto a parlare senza timore. Lei lo aspettava con trepidazione e mi diceva che anche lui aveva delle belle mani.

TERESA B.

La storia di Teresa è incredibile, per questo la scrivo a parte, per farne un quadro più preciso.
Mi raccontano di lei le infermiere Giuseppina Pelliconi, Anna Piancastelli e Ileana Mingotti.
“Teresa era la donna con la museruola. Aveva subito una depressione post-parto, quindo poco dopo i vent’anni arrivò da noi. Aveva una bellissima voce, era un usignolo, quando spuntava il sole cantava le canzoni romagnole. Stava nel primo camerino al pian terreno del reparto 14. Giorno e notte teneva le braccia incrociate bloccate davanti e il corpetto allacciato dietro. Aveva cinque fascie di contenzione e i “zamparelli” di cuoio alle caviglie. Aveva un gran forza e faceva del male anche a sé: si metteva le mani “dentro” e tentava di tirarsi fuori l’utero. Prima che la tenessero legata per l’intero giorno, menava le altre malate: una volta rientrò dal cortile con le mani insanguinate e volle che la mettessi subito a letto legandola ben bene. “Cosa hai fatto?” le chiesi. Andai fuori e vidi una malata con la faccia pesta di sangue: le aveva quasi cavato un occhio. Da quel giorno fu legata.
Quando arrivava sera, e io stringevo le fasce per la notte, lei mi diceva: “tira, tira più forte.”. Io tiravo più che potevo, aiutandomi con i piedi appoggiati al letto. La tenevamo legata stretta perchè non muovesse neppure la testa, perchè mordeva il lenzuolo, la coperta, il materasso. Faceva così tutto il giorno, se la slegavi, il tempo che ti voltavi, un attimo, lei mordeva qualsiasi cosa. Non si sa come facesse, non ce lo siamo mai spiegate. La slegavamo solo per lavarla e stavamo accanto a lei sempre in due o tre, perchè mollava dei bei ceffoni. E poi sputava, bisognava stare attenti. Ma andava alzata, non poteva restare così, stava facendo le piaghe da decubito e allora in sartoria idearono per lei un vestito imbottito che, come un albero di Natale, stava in piedi da solo. Ma lo ruppe lo stesso, dove passava “sbragava”. Allora i medici decisero di far eseguire dal calzolaio dell’ospedale una maschera in cuoio con un telaio di tubolare di ferro, che noi allacciavamo dietro con cinghie di cuoio, affinchè non arrivasse a mordere nulla e non ci sputasse addosso, e le prime volte la portammo fuori così……Ricordo che il dottore non poteva vedere Teresa in quel modo, si guardava sempre le scarpe, erano comunque pochi i medici che guardavano i malati in faccia, specie se erano messi male. E così quando c’era la visita dovevamo metterla a letto, legarla e toglierle la maschera. E pensare che era lui che l’aveva ordinato….Poi misero un’infermiera che si prese cura di lei, gentile e paziente, con lo scpo di portarla fuori. Poco alla volta ci è riuscita”.
Ileana è la giovane infermiera di cui parla Anna. E’ lei che continua la storia di Teresa, con la quale ha passato quasi otto mesi nel tentativo di recuperare in lei un pò di dignità. Quando nel ’71 venne affidata a Ileana, Teresa era rinchiusa in manicomio da tanti anni e abbandonata nel suo camerino perchè, dopo tanti tentativi, tutti erano scoraggiati dal suo comportamento. Era considerata la paziente donna più pericolosa, un’irriducibile, forse l’unica che non si sia mai rassegnata alla sua condizione.
“Prova, mi aveva detto la capa. Io non sapevo nulla di Teresa. Mi fece entrare nel suo camerino e mi chiuse dentro. Il camerino era circa 3 metri per 4, con il letto al centro fissato a terra e un finestrone alto dal quale neppure io vedevo fuori, solo la cima degli alberi. Il pavimento di cemento aveva un avvallamento sotto il letto nel quale si concentravano i bisogni della malata. La puzza era pungente, perchè il cemento aveva assorbito negli anni la pipì. Le quattro pareti della stanza erano pieni di sputi, non c’era un centimentro libero; erano macchie rosate in quanto, in mezzo alla saliva, c’era del sangue, perchè Teresa si mordeva le guance. Teresa era legata al letto, strettissima, e aveva imparato a sputare anche attraverso la maschera. Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 15 May, 2011
Categoria: Libri, Testi, Testimonianze

La demolizione di Villa dei Fiori – Massimo Golfieri

http://vimeo.com/23678411

“Video realizzato con la documentazione fotografica della demolizione dell’ex centro di diagnosi e cura Villa dei Fiori a Imola.
In questa clinica venivano decisi i trattamenti psichiatrici a cui sottoporre gli internati, i ricoveri TSO le le lungodegenze.
I trattamenti e il giudizio psichiatrico arbitrario continuano ad essere applicati nonostante la demolizione o chiusura dei manicomi…

Una riflessione sulla rappresentazione delle nostre macerie interiori”  Involves massimo golfieri


http://vimeo.com/demolizione


Pubblicato il 15 May, 2011
Categoria: Video

Psichiatria e antipsichiatria – Eugen Galasso

Parliamo delle persone, diceva Giorgio Antonucci, in videoconferenza con Tolè, sabato scorso,  non di psichiatria o antipsichiatria. Sacrosanto, quando invece gli psichiatri parlano di “casi”. Di un “borderline”, di uno “schizofrenico”, di un’ “isterica” (sì, persino questa diagnosi, sempre contra mulieres, vale ancora, per taluni “strizzacervelli”), di un paranoico etc. Casi, da risolvere(neanche fossero Sherlock Holmes, questi men and women), per incasellare-inquadrare-classificare. Senza i loro schemini non sanno far nulla. Talora verrebbe da rimpiangere epoche più crudeli (?) nelle quali almeno si usava la violenza senza troppa pre-meditazione. Ora, trovano la signora o ragazza che è scomoda per lasciarle l’eredità, il tipo che è troppo artista per assumersi “la responsabilità” e allora avanti, badabing-beng-bong (è in una canzone, anche bella, francese, non preoccupatevi… ); lo sbattiamo in “RP” (Reparto psichiatrico) con un bel “TSO” per “scioglierlo”/”liberarlo”/sollevarlo dagli impegni-impacci del “quotidiano”… Psichiatria d’assalto, altro che storie… Se volete, trovate parole e frasi più adatte, per “travestire”, metaforizzare etc., ma in realtà il succo della cosa è questo… Un ginepraio, se vogliamo, anche di leggi e cavilli giuridici, dove invece sarebbe molto meglio “en sortir”, con un’abolizione di tutto quanto limita la libertà. Un conto è il delinquente che uccide, che va recluso (esprimo al maschile solo per comodità, non è disprezzo della par condicio), per evitare che ricada nel delitto, ma chi è ingiustamente “accusato” (vale quanto detto prima) di “pazzia” sia libero, oltre e contro i pregiudizi degli sciocchi.

Eugen Galasso

Pubblicato il 14 May, 2011
Categoria: Testi

CONFERENZA NAZIONALE TELEFONO VIOLA


21 MAGGIO 2011
ORE 9.00 – 17.00

“I Vent’anni del Telefono Viola”
Contro gli abusi e le violenze psichiatriche
da Davide Catalano a Francesco Mastrogiovanni

http://telviolaroma.blogspot.com/

Pubblicato il 13 May, 2011
Categoria: Eventi

“Conversando con Lovecraft” Baggiani – Eugen Galasso



Howard Phillps Lovecraft (1890-1937), the lonelyman of Providence (il solitario di Providence), il “terribile” autore del fantastico (leggetelo in un locale almeno un po’ illuminato), con i suoi miti di Ctulhu, le sue saghe infinite e mai concluse (in/finite, appunto, cioè non finite, sempre che il latino sia ancora un riferimento…), la sua anglofilia, il suo razzismo sostanziale, temperato però dal suo matrimonio con un’intellettuale ebrea, tanto che lo scrittore provò orrore di fronte alle prime notizie sui campi di concentramento nazisti, il suo razionalismo positivista che parte soprattutto da Darwin, contrastante solo apparentemente con i “Grandi Antichi” e la mitologia-rigorosamente pagana-dell’autore, rivive in questo libretto di  Leonardo Baggiani, “Conversando con H.P. Lovecraft”, Lucca, Mermaid editore. In meno di 6o pagine, Baggiani, laureato in economia e commercio, pisano (è l’unico neo-scherzo, pur se…), musicista, musicologo, giornalista economico, ci mette di fronte, con un’intervista immaginaria (il genere che in Italia celebrava i suoi fasti con Alberto Arbasino e pochi altri) a una riflessione sul senso delle opere dell’autore, dove, accanto a qualche elemento accennato sopra, alla difficoltà di leggere l’autore senza “occhiali” paralizzanti, ci fa recuperare il piacere del testo, soprattutto senza ricorrere a psichiatrizzazioni indebite, care invece agli idola tribus, per dirla con Bacon, il grande pensatore seicentesco, forse meglio idola vulgi, cioè a dire quelli del “volgo”, degli orecchianti che pretendono di sapere; manca anche il tentativo di posare Lovecraft sul sofà non delle muse ma dello psicoanalista… Meno radicale di Michel Houellebecq, scrittore francese contemporaneo che in “H.P.Lovecraft. Contre le monde, contre la vie”(in italiano Milano, Bompiani 2005) ne fa il corifeo del nichilismo gnostico (appunto contro il mondo e contro la vita, dove bisogna però ricordare che Lovecraft è materialista, cfr.anche sopra), Baggiani è però attratto dal carattere anti-moderno di questo grande autore, dove (senza che il Nostro vi accenni mai) qualcuno ha, forse improvvidamente, perché non ci sono influenze dirette, forse però fecondamente, proposto parallelismi con il grande pensatore e artista italiano di origini spagnole, reazionario-aristocratico,  Julius Evola.

Eugen Galasso

Pubblicato il 10 May, 2011
Categoria: Notizie

Philip Dick, FBI e psichiatria – Eugen Galasso



Philip Kindred Dick (1928-1982), grande scrittore di Chicago, autore di testi “profetici” (“Il mondo come Ubik lo creò”, “La trilogia divina”, “L’occhio della sibilla”, “Gli androidi  sognano montoni elettrici”, che diviene poi il film “Blade Runner” di Ridley Scott), è uno di quegli autori che, tra critiche e riduzionismi “eterni”, ha attraversato fasi di scoperta-riscoperta, di valutazioni oscillanti, di sottolineatura polemica, tanto che qualcuno lo aveva definito “schizofrenico”….sic! In realtà la vita difficile di Philip (detto Phil da tutti, con la “mania” yankee di ridurre all’osso i nomi-noto il fatto che  Ronald Reagan tutti i cittadini lo chiamavano Ronnie, che Clinton, che in Francia nei libri e nei giornali sentirete sempre chiamare William, era sempre Bill in patria), tra la morte della sorella gemella poche settimane dopo la nascita, il divorzio dei genitori quando aveva appena quattro anni, restando solo con una mamma autoritaria, “buttato” dalla facoltà filosofica di Berkeley per filo-comunismo (era l’epoca maccartista, la contestazione studentesca era ancora lontana), passando per sperimentazioni con droghe varie (LSD in primis, arriva Tim Leary, lo psichiatra e antropologo che studia e sperimenta ogni ambito della psichedelia), lo porta a quello che i “piccoli borghesi”, timorosi pur anco della propria ombra, chiamano “depressione”. Dick (le cronache lo accertano) era stato perseguitato dall’FBI, era finito in clinica psichiatrica… Nel corso degli anni non ho mai potuto leggere sistematicamente le opere di Dick (cosa che invece ho fatto, per es. con Ray Bradbury), ma vari romanzi e racconti “fantastici” li ho letti, tra cui anche questi  testi giovanili, recentemente ripubblicati in francese(Paris, Gallimard-Folio) come “Colazione al crepuscolo” (“Breakfast at twilight”), “Small Town” (“Una piccola città”) e “Dove c’è igiene…” (“The Cromium Fence”), racconti scritti a metà anni Cinquanta. In tutti questi testi quale la chiave? La bellezza dell’arte, della creatività, che si scontra contro la bruttezza del mondo (un tratto gnostico, certo), ma anche la teoria delle realtà parallele, che dopo la teoria della relatività di Einstein si impone. Ma si nota anche, senza dover far neppure tanta attenzione, la polemica contro la psichiatria che riduce quanto non sa spiegare a “follia” o peggio “pazzia”. Leggendo Phil Dick capirete ancora di più la colossale (e quasi sempre letale) truffa della psichiatria e di coloro (tra gli psicoanalisti, gli psicoterapeuti e altri) che vi si accodano…    Eugen Galasso

Pubblicato il 8 May, 2011
Categoria: Testi

“LA QUESTIONE PSICHIATRICA: dalla paura della diversità ai muri di protezione” Incontro pubblico – Giorgio Antonucci, Maria D’Oronzo, Eugen Galasso – presso ass. GEART

Incontro Pubblico:

dibattito: Centro di relazioni umane di Bologna

Video-conferenza con Giorgio Antonucci : “Nè psichiatria nè antipsichiatria”
presso ass. GEART

 

Reading e proiezioni: Collettivo “Ayde”

Foto:Paolo di Giosia

sabato 7 maggio 2011

ore 16

via Vedegheto 1096/c, Savigno, Bologna

Pubblicato il 5 May, 2011
Categoria: Notizie

La pedagogia clinica e A.D.H.D. – Eugen Galasso


La pedagogia clinica: disciplina e prassi nata almeno 37 anni fa, con Guido Pesci e Sergio Gaiffi. E’ormai una realtà vivo e importante, tanto che sia il congresso nazionale di fine ottobre 2010, sia il recente, importante, convegno di Orvieto (16 aprile 2011) su “Multidisciplinarietà come trama educativa. Professioni, Scuola, Famiglia, Istituzioni”, organizzato ad opera dei pedagogisti clinici dell’Umbria, con un’importante lectio magistralis del presidente-fondatore Guido Pesci, hanno segnato una partecipazione importante, appunto pluridisciplinare, con tanti apporti di sociologi, psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti, logopedisti, operatori vari, educatori etc.. Rimane però  una questione insoluta: quella del rapporto psichiatria/antipsichiatria, mai esplicitamente tematizzata ufficialmente. Peccato, perché grava sulla categoria un’affaire insoluto che pesa come un macigno: certo, si può dire che la pedagogia clinica non è quella speciale, che questioni come quella della psichiatria non afferiscono all’ambito specifico (“noi facciamo opera educativa”), eppure la questione rimane. Al convegno di Orvieto, dove non sono intervenuto direttamente, con relazioni o altro, ho sentito parole alte e importanti, probabilmente le più importanti degli ultimi dieci anni o poco più, ma la querelle rimane: resta quando si parla di ADHD (una “sindrome” inventata di recente, che categorizza bambini/e ragazzi/e “iperattivi”e”disattenti”…ovviamente trattandoli farmacologicamente).

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Pubblicato il 3 May, 2011
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo