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Bevilacqua, Hoelderlin, Schizofrenia – Eugen Galasso



Rimango abbastanza atterrito leggendo, su “Belfagor”, anno LXVI, n.4,giugno 2011, la conversazione di Giuseppe Bevilacqua, grande germanista, con Mattia di Taranto, quando il notevolissimo studioso e traduttotre di poesia (peraltro l’ “intervista” verte su ciò, quasi unicamente) ribadire, anche in forza del fatto di avere dietro di sé, prima degli studi letterari, il biennio di medicina:”Qualche anno fa ho pubblicato un libro intitolato “Follia e poesia nel tardo Hoelderlin”, FIrenze, Olschki, 2007) e ho polemizzato con l’establishment germanistico perché nel considerare l’opera di un grande poeta non ha dato il dovuto rilievo alla sua infermità mentale in rapporto ai contenuti e alle modalità della sua vita e della sua opera. Si è parlato quasi esclusivamente di Umnachtung, ottenebramento, quando bisognava parlare di una gravissima schizofrenia” (Belfagor, cit, p.462). Da ex-allievo anche di Bevilacqua, sostenendo con lui l’esame proprio su Hoelderlin (non dirò quante lune fa…) non mi ero mai accorto di quest’insistenza sulla “follia”, un tratto che invero viene sottolineato fin troppo, a differenza di quanto ritenga lo studioso.   Due possibili interpretazioni: A)forse così Bevilacqua polemizza con Pierre Bertaux, forse il più grande studioso di Hoelderlin, che parla di “leggera schizofrenia”,  dove fra l’altro ci sarebbe qualcosa da dire (nella nosografia psichiatrica corrente si direbbe “tendenza schizoide”, piuttosto);  B)forse riscopre così la sua primigenia passione medica, ma…   Sicuramente, invece, il campo della creazione poetica rimane intangibile dall’invasione psichiatrica, ma la psichiatria di incursioni anti-poeitche ne ha fatte comunque tante: Dino Campana, Antonin Artaud,  Ezra Pound, ovviamente  Alda Merini; a Hoelderlin,  1770-1843, le cose erano andate meglio, con la piccola reclusione nella torre, che di fatto reclusione vera e propria non può essere considerata -i poteri, allora, punivano meno intensamente comportamenti “EXTRA-VAGANTI”,  modi di pensare alieni da quell’orrendo “minimo comune denominatore” che chiamiamo norma o normalità.  Spiace per Bevilacqua, rimasto forse preso da un tardivo ri-amore per Hoelderlin, poeta che ha tradotto e commentato-studiato-insegnato per tutta la vita…  Dispiace, ma può accadere, nel nostro piccolo mondo di illusioni psichiatrizzanti…

Eugen Galasso

Pubblicato il 13 September, 2011
Categoria: Testi

Esproprio per “follia” – Eugen Galasso



In una realtà multietnica e molto conflittuale del Nord-Est italiano, dove si scontrano (pur come “fuoco che cova sotto la cenere”), qualche anno fa si era prodotto un vulnus grave, nel senso che un’associazione culturale era stata espropriata, quanto a denominazione e ragione sociale, a una pittrice, tacciandola di pochezza culturale e di “follia”. Sulla seconda accusa non si può neppure discutere, trattandosi di un puro pregiudizio; sulla prima si dovrebbe riflettere più a lungo, dovendo esaminare una pluralità di fattori che non sempre emergono in modo chiaro; sarebbe una discussione troppo lungo da proporre, in questa sede, che richiede anche una certa brevità (non tanto la lettura in rete, ma quella nel sito richiede una certa brevitas, associata alla necessaria velocità di lettura). Certo dire a qualcuno “sei pazzo/a” vuol dire bypassare i suoi argomenti, non volerli considerare, il che è grave. Pregiudizi forti quanto radicati, in certe realtà. Ma veniamo al rovescio della medaglia: le ritorsioni della pittrice in questione sono dure e spiacevoli, con sms di natura anche (a tratti) antisemita,  il che è molto grave. Allora, quali conseguenze trarne? Chi l’ha estromessa dall’associazione, appropriandosene, ha fatto qualcosa di illecito, di ingiustificabile, di arbitrario, ma la pittrice, con la sua insistenza spesso colpevole, non può barricarsi dietro il suo abuso di consumo alcolico, le sue difficoltà finanziarie etc. per nascondere il problema: deve rispondere delle sue manchevolezze come i suoi “espropriatori”, dato che, appunto, appellarsi all’essere un “minus habens” per ragioni psichiche è una sciocchezza e la “malattia mentale” è un fantasma, non una  realtà. La pittrice divenga consapevole, i suoi espropriatori si rendano conto di quanto ha fatto. Utopia? Forse, ma in una realtà culturale deprivata, dove la corsa al risparmio (l’ossessione dei “conti pubblici non in ordine” ) impedisce una life-long-education, un approfondimento delle proprie capacità psico-fisiche-sociali( includendo in questo ambito quelle motorie, ovvio), senza quei pregiudizi che derivano in genere dal fanatismo religioso, in certe realtà territoriali ancora diffuso, dall’arretratezza socio-culturale.  E qui la colpa è di tutta la società, anzi meglio di tutto un modello di società.

Eugen Galasso

Pubblicato il 13 September, 2011
Categoria: Testi

Su “Svelando e rivelando”, video con Giorgio Antonucci – Eugen Galasso



Straordinario, questo video di Alberto Cavallini (regia) e Laura Mileto (montaggio), con la collaborazione di Massimo Bartalucci, attore, che legge, insieme all’autore un’ intensamente “straordinaria” (nell’accezione letterale del lemma) poesia, “A Lionello Mannelli”, che il poeta-antipsichiatra Giorgio Antonucci scrive per un uomo analfabeta, poi recluso a San Salvi (allora manicomio di Firenze), dove il réfrain “Gelo del vento/Gelo delle acque del Don”, letto anche dall’autore, appunto in alternanza con Bartolucci, commenta, anzi meglio integra, il “Mi hanno mandato in Russia ad uccidere”, che poi, però, diviene “Mi hanno mandato in manicomio a morire”. Un Antonucci-day? No, una testimonianza (un documento, non un documentario, per dirla un po’ semplicemente, ma, credo, non del tutto equivocandosi ed equivocando) di chi ha lavorato nelle strutture del potere psichiatrico, facendolo saltare (non del tutto, sarebbe impossibile, è troppo resistente, per la forza economica ma anche culturale o meglio pseudo-culturale di cui dispone – se intendiamo “culturale” nell’accezione antropologica, però, il lemma va bene), un documento dove un “eroe dei nostri tempi”, un pioniere, ci spiega come la psichiatria non abbia nulla di scientifico, (come a suo parere anche la psicologia), cercando di spiegare qualcosa che riguarda altre persone, limitandosi all’indimostrabile, al non-oggettivo, mentre la medicina, basandosi su test clinici, rilevamenti sperimentali etc. è oggettiva. La psicologia, per Antonucci (qui è meglio chiarire il concetto) è astratta, parla più di quanto attiene agli psicologi che alle persone, conducendo (talora) alla funesta conseguenza di non capire le persone (come il paziente di San Salvi della poesia, per es..che parlava al muro solo perché nessuno si era premurato di ascoltarlo), di limitarsi a delegare il “paziente” che non capisce alle strutture “delegate”, id est manicomi e poi cliniche psichiatriche o reparti psichiatrici degli ospedali – Summum Jus, summa injuria, viene da dire, ossia la formalità del diritto rispettata al massimo, compiendo la somma ingiustizia versus homines, verso le persone o meglio gli individui ( “persona”, in latino, non ha ancora il significato attuale, homines vale sia per persona di genere maschile sia femminile sia altro). Meglio dunque la poesia (o il romanzo o altro), l’arte in genere (poièin significa=creare).   E per questo, già a Imola negli ultimi anni e poi quando il maggior “tempo libero” a disposizione ha consentito a Giorgio, poeta da sempre, di esprimersi in poesia, non esprimendo direttamente le esperienze delle persone, ma le proprie in rapporto con queste ultime. Straordinario, questo iter antonucciano, così ben ripercorso. Ho detto “eroe” (anche senza virgolette). “Beato il popolo che non ha più bisogno di eroi”, diceva Bertolt Brecht , ma intendeva in una condizione ideale, progettuale, praticamente nella “quinta stagione dell’utopia”. Ora ciò, purtroppo, non si dà per ora (e chissà per quanto). Beato quindi, e non mi scuso per l’enfasi retorica, chi ha un eroe coraggioso pur se schivo e lontano dal chiasso delle sciocchezze mediatiche come Giorgio, che ha il coraggio (qui cito un’espressione cara a Freud, condividendo le critiche antonucciane a Freud, però) di “chiamare gatto un gatto”.


Eugen Galasso

Pubblicato il 1 September, 2011
Categoria: Testi

“Vasco Rossi e il male di vivere” Blasco y no solo – Eugen Galasso



Vasco Rossi alias “Blasco” squarcia il velo, parlando non di “depressione” ma di “male di vivere”.  Termine che troviamo in Pavese, in Montale (“spesso il male di vivere ho incontrato”), ma il concetto è quello di Baudelaire dello “spleen”. E’, ancora, l’ennui filosofico (da”La nausée “sartriana alla “Noia” di Moravia), per non dire di ciò che il cristianesimo condanna come peccato (l’accidia), in un ‘imposizione iper-lavoristica introiettata (per altre religioni le cose sono molto diverse, ma il  cristianesimo fattosi chiesa è così; contro Max Weber che vede solo il protestantesimo calvinista come fonte del lavorismo potremmo dare agevolmente la colpa anche al cattolicesimo, anzi, oggi, forse di più che ad altre chiese e ideologie).  E ancora altro: non “depressione”, invenzione psichiatrica diventata di uso comune-popolare.   In musica, a parte i grandi “segnati” dal male di vivere, come i Romantici, in specie Schumann e E.T.Hoffmann, anche scrittore e pittore, certi componimenti di Bach, assolutamente chiaro è il concetto in Jacques Brel,  che parla di “mal d’e^tre moi” (male di essere me), significativamente.  Sembra di rileggere le pagine migliori (difficile dire quali, in quanto tutte lo sono) di Giorgio Antonucci, che smonta la “depressione” come ulteriore (e abbastanza recente, peraltro) invenzione della psichiatria.
Se quindi la testimonianza di “Blasco” sembra andare nel senso “nostro”, del “Centro”, quasi un “quod erat demonstrandum” (come volevasi dimostrare – chi abbia un minimo di dimestichezza con la geometria ma anche con la logica formale ricorderà), in direzione quindi di Giorgio e di altri, contro la confusione che regna somma nei manuali di psichiatria, dove “grande è il caos sotto il cielo”, appunto… ciò che sconcerta e contrasta con la prima parte è quando lo stesso cantautore viene a ringraziare il cocktail di farmaci che lo “aiutano a vivere”. Sembra quasi che il neo-cantore rock (neo, perché i padri del rock sono altri, soprattutto inglesi e made in USA) si diverta a sfidare fan (non chi scrive, che, semmai preferisce decisamente Ligabue) e persone interessate ad altro (lettori/lettrici e chi scrive questa nota) con una conclusione che sembra “voler spiazzare”. Dire di più rischia di iper-interpretare, di sfidare inutilmente Blasco su un terreno che, oltre a tutto, non è il suo, ma…la considerazione complessiva, già tratteggiata qui, ritengo sia valida comunque.    


Eugen Galasso

Pubblicato il 16 August, 2011
Categoria: Testi

Brejvik, un grande norvegese, sulle orme di Ibsen? – Eugen Galasso



Temo  che per qualcuno, anche di altra provenienza (l’iper-Padano, l'”iperboreo” Borghezio che per questo è stato sospeso dalla Lega), sia così o possa essere così.  In realtà,  questo confusionario, nemico di Musulmani e altri, razzista ma a modo suo (è filo-Ebreo, per es., antinazista etc.), ha un programma vasto quanto confuso,  decisamente pieno di elementi diversi, affastellati, “di varia disumanità” (scherzo sui titoli di certe riviste culturali con sottotitoli  d’antan quanto generici, dove “varia umanità” non si sa mai bene che cosa voglia dire, esprimendo “un po’ di tutto e un po’ di niente”-citazione da “La canzone intelligente”di Cochi e Renato). “Al netto della violenza” sarebbe accettabile, il suo programma, per l’eurodeputato ora in sonna Mario Borghezio. Plausi purtroppo neppure troppo mascherati provengono da altre fonti, nascoste o meno, silenti o vociferanti.  Chissà, vedremo. Altro che “lucida follia”, come vorrebbero criminologi patentati o improvvisati… Un disegno  perseguito in molte realtà, forse andato a male o fallito parzialmente, una condizione di fondo per creare paura e “ansia” nella popolazione/nelle popolazioni, probabilmente, nel quale Brejvik forse è una pedina. Altro che “folle” o “delirante”, forse un protagonista (mancato?) malgré soi…


Eugen Galasso

Pubblicato il 5 August, 2011
Categoria: Testi

Matej Curko, “cannibale” slovacco e tutto il dibattito che se ne fa – Eugen Galasso



Il “tranquillo cittadino” slovacco, che si è scoperto essere un cannibale, che avrebbe consumato il suo macabro pasto anche su una donna italiana, era (e in parte ancora è) completamente alieno alle cronache. Frammenti di un dibattito TV su RAI 1 dove gli si attribuiva la denominazione di “psicopatico”: tassonomie utili per giuristi (avvocati in specie, che chiedono dunque l’infermità mentale o il corrispettivo slovacco della stessa) e, naturalmente, psichiatri, come il valente giovane dottore di Chieti che spiegava candidamente potersi trattare della persona della porta accanto “che però poi si rivela” etc. Bene così? No, piuttosto che cercare “psicopatici a colazione”, roba che va bene per “Psycho” del compianto scrittore Robert Bloch e per il più geniale Alfred Hitchock, che ne trasse un film straordinario quanto non “realistico” (“Che cosa importa la verosimiglianza?”
diceva il grande regista inglese), non sarà meglio parlare di criminali che vanno a caccia di emozioni forti, di persone che si rifanno a modelli (emulatori, dunque) à la Jack the Ripper (Jack lo Squartatore), con l’aggiunta di qualche fosca inserzione di elementi etnograficamente interessanti?

Eugen Galasso

Pubblicato il 5 August, 2011
Categoria: Testi

Anders Brejvik – La strage di Oslo – Eugen Galasso



Anders Breivik, assassino. Questa, forse, l’unica definizione “certa” e in qualche modo attendibile dell’attentatore di Oslo, mentre commentatori di destra (per distanziarsene), di centro(per dire, parimenti: “era un protestante, non un cattolico”) e di sinistra hanno voluto accentuare la sua “pazzia”, “follia” (con quel pelo di riconoscimento in più che il lemma offre…). Qualcuno, “psichiatricamente” più “acculturato” (voglio dire, che crede d’essere più addentro nelle “segrete cose” di quella pseudoscienza che è la psichiatria, che invece si vuole scienza a tutti gli effetti) parla di “paranoia”, ma questi insulti (veri insulti a qualunque essere umano) rischiano di essere argomenti a favore della difesa, che vuole parlare di “persona turbata”, arrivando ad argomentare di “infermità” o “semi-infermità” (le denominazioni norvegesi sono altre, ma qualche corrispondenza c’è). Meglio per Breivik farsi il suo “bel periodo di carcere” che, purtroppo, pare essere abbastanza confortevole, reclusione a parte, certo…Frutto di ideologie di destra mal digerite (Jukio Mishima, grande scrittore giapponese, vero samurai fuori tempo, nel 1970, fece seppuku – suicidio rituale per le classi elevate, non il semplice harakiri- certo….non uccise nessuno; rimpiangendo l’Impero nipponico e maledicendo la modernizzazione). Il fatto è che non si tratta, per Breivik come per altre persone che non hanno il coraggio di “andare fino in fondo” (per nostra fortuna, sarebbe da aggiungere) di “ideologie deliranti”, ma di ideologie pericolosamente ancorate a un dettato: quello di non spartire i “beni della terra” con le “razze inferiori” (così si esprimono neonazisti, razzisti, Ku-Kux-Clan aderenti etc.), quindi di volersi accaparrare ciò che considerano loro… Egoisti di bassa qualifica, non “egoisti nobili” (Max Stirner, Nietzsche), persone che travestono il loro volgare “particulare” in missione mondiale…  Roba da far accapponare la pelle, questo sì, roba da gore-movie (i film orrorifici ultra-violenti), da letteratura ad effetto, pallide imitazioni di chi un tragico disegno lo perseguiva, con campi di concentramento e altro, anche prima ( il dottor Mengele non è l’invenzione di qualche espressionista di passaggio),  ma ancora più vili. Sarebbe invece da indagare, la presunta “intelligenza” di questo “personaggio”, sciocco e tragico (senza esser degno di alcuna tragedia) esemplare di quella “blonde Bestie” (sì proprio= bestia bionda) che in Nietzsche viene usato con perfida geniale ironia (contro i pangermanisti Nietsche rivendicava sempre la propria origine, dalla piccola nobiltà rurale polacca), ma che nella stolidità degli adepti di sempre del “Terzo Reich millenario” assurge a figura “santa”, a emblema del maschio ariano (nessuna “contaminazione semitica”, ovvio).  Peggio che mai poi Mario Borghezio, esponente leghista che, con dissociazione tardiva e parziale dei suoi, afferma che “Al netto della violenza molte delle argomentazioni di Breivik sono condivisbili”. Da operetta Borghezio? Forse, ma da operetta che rischia sempre di rovesciarsi, tragicamente, in qualcosa d’altro….


Eugen Galasso

Pubblicato il 29 July, 2011
Categoria: Testi

Ivan Bormann -“Sconfinato. Storia di Emilio”- Eugen Galasso



In un articolo di Ivan Bormann (“Sconfinato. Storia di Emilio”, a pag.19 del periodico libertario “Germinal“, n.115) si trova la storia di Emilio Coslovi, istriano, uomo, per molti versi “s-confinato”, come scrive lo stesso Bormann. Di umili origini, vissuto in campo profughi, poi in seminario, poi prete, prete operaio, vicino alla teologia della liberazione; scomodo e originale nelle sue posizioni teologiche e nella sua pastorale (i suoi atteggiamenti concreti, cioè), Coslovi viene punito dalla Gerarchia ecclesiastica che lo fa ricoverare in cliniche psichiatriche dove subisce camicia di forza, elettroshock, tutto l’armamentario ben noto a chi frequenti anche solo sporadicamente questo sito. Viene da dire: don Emilio così, altri preti “più famosi” vengono anch’essi allontanati, ma rinchiusi in case protette non prettamente psichiatriche, di rieducazione teologica: una logica sempre e comunque funzionale al “surveiller et punir” foucaultiano,  pur  se usando almeno due pesi e due misure (per il secondo aspetto cfr. un difficile film di Damiano Damiani degli anni Settanta, “Il sorriso del grande tentatore”, 1974). In seguito, Emilio viene non sospeso a divinis ma messo “in quarantena”: non può dire messa ma confessare (una delle pratiche più controverse del cattolicesimo, sacramento di puro comodo, tardivo, meno che scarsamente ancorato nei Vangeli, molto duro per don Emilio), negli anni Novanta subisce un TSO, né l’incontro con l’antipsichatria basagliana lo aiuta, perché ormai don Coslovi ha interiorizzato un quadro oltremodo negativo di ogni istituzione, in specie psichiatrica (la differenza con la teoria e la prassi  basagliane gli sfugge, ormai).  Diviene una vittima non tanto di sé, quanto dei Poteri convergenti nell’escluderlo: autobarricato in casa, morirà per un incendio casalingo, causato da una stufa mal funzionante.  A parte la citazione iniziale di un celebre titolo foucaultiano, mi permetto di farne un’altra: Charles Fourier, il grande “socialista utopista” (definizione che trovo riduttiva, perché imbriglia un grande, lo “intruppa” indebitamente) diceva, da grande teorico e sostenitore dell’Armonia tra gli Esseri, tra uomo e natura etc., che spesso c’è un problema che impedisce a priori l’Armonia: la fame. Ora, che in Emilio come in  tanti altri la causa della repressione della persona, in specie con strumenti psichiatrici, sia stata la fame, è innegabile. Ciò vale, come insegna anche la pratica (direi la clinica, ma l’espressione  non è amata da Giorgio, a ragion oltremodo veduta) di Giorgio Antonucci, in tanti casi. Ogni “caso” è diverso (meglio dire ogni vicenda umana, altrimenti si ricade nello “psichiatrichese”, ovvio) ma le condizioni socio-economiche di partenza giocano un ruolo-chiave.


Eugen Galasso

Pubblicato il 15 July, 2011
Categoria: Testi

Eugen Galasso-gruppo antipsichiatrico libertario-pomeriggio antifascista con Giuseppe Bucalo



Umanita Nova,

Giuseppe Bucalo, attivo nel settore antipsichiatrico da 1/4 di secolo, ha  relazionato, a conclusione della settimana “Fest Festival Antifa”, presso il circolo “Iqbal Masih” di Bologna, su “La malattia mentale non esiste”, titolo, tra l’altro, di un suo libro. Partendo sempre da esempi, argomentando quindi induttivamente, cioè a partire dai fatti, “senza fare filosofia”, Bucalo ha raccontato le sue esperienze in Sicilia, precisamente nel Messinese, con comunità dove si trovano persone con problematiche tra loro diverse (“pazienti psichiatrici”, ex-detenuti in OPG, ossia Ospedali psichiatrici giudiziari, alias Manicomi criminali, persone di genere femminile, in genere extra-comunitarie, che hanno dietro di sé un vissuto difficile, in quanto quasi sempre erano state in carcere per prostituzione). Rifiutando l’approccio psichiatrico, mirante a dare -somministrare ai “pazienti” psicofarmaci e quello psicologico, che viene ad essere -in genere – una stampella per giustificare o preparare il paziente ad accettare gli anzidetti farmaci, a farli assumere, in qualche modo, ove siano stati rifiutati, Bucalo ha parlato di esempi quali quello della ragazza di origine africana che pratica il vodoo, per liberare il suo ambiente circostante da entità malefiche, di un uomo che crede nella presenza di extra-terrestri con cui sarebbe in contatto, ma anche di Pippo, personaggio pittoresco quanto considerato estemamente pericoloso nella realtà territoriale nella quale Giuseppe Bucalo opera, in quanto “violento” etc. Bucalo ne ha ricordato le esperienze pregresse quando Pippo era stato invitato a una riunione pubblica, appunto di un quarto di secolo fa, con sindaco, parroco etc., quando si “temeva il peggio”. Contrariamente alle aspettative, il “personaggio” non aveva né inveito contro qualcuno né aveva “dato in escandescenze”, limitandosi a parlare di quanto gli era stato negato, cioè a dire quanto gli averebbe fatto bene, come per es. buttarsi a terra, in certi momenti. Ecco allora la “ricetta Bucalo”, volendo esemplificare: partire dalle esigenze reali delle persone, senza, appunto, “filosofeggiare”, quali il mangiare, l’avere sopra di sé un tetto, il sesso (le comunità coordinate da Giuseppe, che, per motivi pratici, sono “monosessuali”, composte cioé da sole donne e soli uomini, garantiscono tuttavia l’incontro amoroso), senza tabuizzare l’uso del farmaco, ma tantomeno promuovendolo. Un’esperienza, quella di Bucalo, che rimane assolutamente fondamentale in campo europeo e non solo italiano, forse “unica e irripetibile”, anche perché si rapporta criticamente con le istituzioni , in parte “gabbandole”, come quando le relazioni provenienti dalle comunità sono comunque a favorevoli agli “ospiti di OPG”, qualunque cosa gli stessi facciano; certo, poi, ha aggiunto Bucalo stesso, sarebbe comunque opportuno che gli stessi detenuti non si mettano in condizione di peggiorare la loro condizione, cosa che invece, regolarmente o quasi,  fanno… Se dall’approccio bucaliano emerge comunque un quadro più che interessante, c’è eventualmente da fargli un solo appunto: spiace, cioè, che abbia menzionato l’opera del compagno dott.Giorgio Antonucci, che ha iniziato la sua opera molto prima di Bucalo, solo una volta, anche se quasi all’inizio della sua relazione.

Eugen Galasso per il Centro di relazioni umane-Gruppo antipsichiatrico libertario

Pubblicato il 12 July, 2011
Categoria: Testi

Seconda tranche disegno onirico – Eugen Galasso



Considerando anche la seconda tranche di disegno onirico, lo scorso 9 luglio 2011, presso lo H.U.B.,  non ripeterò frasi già usate nel breve testo a suo tempo redatto per la prima tranche, ma cercherò di enucleare alcuni elementi specifici: A) la capacità del gruppo, di persone di formazione spessa differente, che l’11 e 12 giugno non si conoscevano, ma che ora hanno ampiamente “rotto il ghiaccio”, di mettersi in gioco, anche esponendosi sia con dichiarazioni verbali, sia con lo scritto, è assolutamente chiara; B) in particolare il disegno di gruppo o collettivo finale, che comportava la rappresentazione della figura umana (la più difficile e problematica) non ha comportato alcun problema, anzi l’esecuzione si è svolta felicemente e in un clima di sostanziale allegria; C) la circostanza che la seconda tranche si sia svolta in un afosissimo sabato di luglio (neppure più d’inizio luglio, sottolineo!), quando tutto le previsioni del tempo, una volta tanto (o spesso? Non è qui il luogo per discuterne, né credo sia assolutamente nelle corde della mia competenza farlo), dove sappiamo che, senza in qualche modo indulgere a un basso comportamentismo o a una psicologia di tipo meccanicistico, circostanze “empiriche” o meglio “esterne”, quali il clima, almeno nelle punte estreme , alterando l’equilibrio bio-chimico, alterino in realtà anche il nostro comportamento, quindi le nostre reazioni agli stimoli di ogni genere. Lungi dal poter liquidare circostanze come il clima come “qualità secondarie”, come faceva la psicologia rudimentale del 1700 (Locke e non solo), oggi sappiamo come il clima influisca anche pesantemente sui comportamenti umani, certo non come unico fattore scatenante; D) il clima di collaborazione e condivisione, prolungatosi anche dopo la sessione prevista (post factum, diremmo), con scambio di mail etc., dimostra come questo “scavo nell’autoconoscenza” non sia stato considerato come un’esperienza non dirò “dolorosa” ma neppure “fastidiosa”. Come ha osservato la direttrice del Centro di relazioni umane, dott. Maria R. D’Oronzo, che gentilmente ha partecipato al gruppo, tracciando segni nel disegno onirico ci si lascia guidare dal “principio di piacere”. Verissimo e questo vale per tutti/e i/le partecipanti, che non hanno esitato a disegnare-creare-dire. Nella fase dell’interpretazione, però, veniamo spinti a riportarci alla realtà (riprendo la dicotomia freudiana, appunto, prima evocata, tra principio di piacere e di realtà) e ci “costringiamo” a vederne il décalage rispetto al “sogno”, peraltro molto virgolettato, alla libera (anche qui le virgolette ci vorrebbero, ma non voglio precipitare nel facile impasse della contraddizione -apparente o reale? Non mi esprimo in questa sede-del “libero guidato” ) creazione.  Le domande poste, gli scambi di risposte e di accenni di risposta (su ciò vale, credo, il lacaniano “Chi mi interroga mi comprende”) attestano la coesione e le capacità di un gruppo (composto da due psicologhe, una pedagogista dell’handicap, due organizzatori culturali, una persona seriamente interessata a quanto avviene nella realtà culturale e della cultura politica) cui forse chi scrive, “conduttore”-coordinatore del gruppo stesso, troppo logorroico e impegnato a spiegare le dinamiche intervenute in chiave junghiana e comunque di disegno onirico, dove invece avrei dovuto lasciar spazio all’emergere di altre proposte interpretative, provenienti dal gruppo e dai suoi membri, non ha sempre “reso ragione”.   Il ringraziamento reciproco tra tutti(e) i (le)componenti il gruppo, di cui mi sento in pieno di far parte, ma anche le considerazioni su quanto detto sopra meritano senz’altro ulteriori riflessioni, che, a tempo debito, stenderò in altra sede.

Eugen Galasso

Pubblicato il 12 July, 2011
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo