Elettrochoc – Dibattito nel Regno Unito -Traduzione di Erveda Sansi
Traduzione Erveda Sansi
Ecco la registrazione del dibattito: Radio (MIA)
tratto da: https://www.madintheuk.com/
in relazione a: – Il ritorno oscuro dell’elettroshock
Il manifesto
Questa settimana su Radio MIA rivolgiamo la nostra attenzione alla Terapia Elettroconvulsivante (TEC) o Electroshock, nome con cui è conosciuto negli Stati Uniti. Mercoledì 19 settembre [2018], questo intervento toccante e controverso è stato discusso durante il 57° dibattito dedicato a Henry Maudsley, tenutosi al Kings College di Londra.
E’ stata proposta la mozione: “Questa Assemblea crede che la TEC non abbia posto nella medicina moderna”.
A sostenere la mozione c’erano il Professor John Read, che ha svolto diverse indagini scientifiche sulla letteratura che sostiene l’uso della TEC, e la Dottoressa Sue Cunliffe. La dottoressa Cunliffe era stata pediatra fino a quando lei stessa non fu sottoposta alla TEC. A questo seguì un deterioramento cognitivo, e quindi non riuscì più a lavorare. Ora promuove campagne affinché i rischi della TEC vengano resi più espliciti, e per affrontare direttamente la negazione professionale del danno che la TEC può causare. Contro la mozione si è espresso il Professor Declan McLoughlin e il Dr. Sameer Jauhar.
Sia John che Sue hanno avuto il tempo di parlare del dibattito e dei numerosi problemi relativi alla TEC.
Il Professor Read ha gentilmente condiviso le sue note di dibattito, che di seguito forniamo:
“Ringrazio l’Istituto per averci riuniti tutti qui.
Ricordiamoci innanzitutto che la storia è disseminata da procedure in cui si credeva con la stessa fermezza con cui alcuni psichiatri credono, oggi, nelle scariche elettriche fatte passare nel cervello delle persone con che causano attacchi epilettici, ma che risultarono inefficaci o dannose. L’elenco comprende: sedie rotanti, bagni a sorpresa, far stare le persone in piedi accanto ai cannoni e, più recentemente, le lobotomie.
80 anni fa, nel 1938, Ugo Cerletti amministrò a Roma la prima TEC a un senzatetto. Dopo il prima scarica l’uomo urlò: “Basta, un altro mi ucciderà”.
La teoria di allora era che le persone con epilessia non avevano la schizofrenia, quindi la cura per la schizofrenia era causare l’epilessia. Quindi Cerletti era guidato dalla convinzione genuina che causare convulsioni con scariche elettriche nel cervello, potesse davvero aiutare le persone, con la genuina speranza, che alla fine avremmo potuto trovare un trattamento efficace.
Tuttavia la storia della TEC illustra, ancora una volta, cosa succede quando le nostre convinzioni e buone intenzioni non sono avvalorate dalla buona scienza.
La TEC si è rapidamente diffusa da Roma, attraverso l’Europa e l’America. Finalmente un trattamento efficace! Le persone a cui veniva somministrato venivano dimesse prima… dai medici che lo utilizzavano. Ma non c’erano studi da 13 anni, e in questo periodo tutti credevano che funzionasse, e la loro convinzione potrebbe essere stata molto utile per alcuni pazienti. Il primo studio sulla depressione (che divenne l’obiettivo principale per la TEC), nel 1951, evidenziò che quelli a cui era stato somministrata la TEC, stavano peggio che quelli che non l’avevano ricevuta. Non ha fatto la differenza.
Sono stato coautore di quattro revisioni della ricerca sulla TEC, l’ultima volta l’anno scorso. Esistono solo dieci studi sulla depressione, che confrontano la TEC con il placebo; il placebo nel senso che è stata data l’anestesia generale, ma non l’elettroshock. In cinque di questi dieci studi non sono state riscontrate differenze tra i due gruppi. Gli altri cinque hanno rilevato, rispetto al placebo, un temporaneo aumento dell’umore durante il periodo di trattamento, in circa un terzo dei pazienti. Uno di questi cinque studi ha messo in rilievo che questo miglioramento temporaneo era percepito solo dagli psichiatri, ma non dalle infermiere o dai pazienti.
La maggior parte delle recensioni e delle meta-analisi affermano, sulla base di questi miglioramenti temporanei in una minoranza di pazienti, che la “TEC È EFFICACE”
Ma nessuno di loro non ha mai identificato un singolo studio che ha riscontrato alcuna differenza tra la TEC e il placebo, dopo la fine del periodo di trattamento. Dopo 80 anni di ricerca non ci sono prove a supporto della convinzione che la TEC abbia benefici duraturi
Allo stesso modo, non ci sono studi di placebo per supportare un’altra credenza: che l’ECT previene il suicidio.
Non c’è niente di sbagliato in trattamenti la cui guarigione dipende da speranze e aspettative. Ma passare 150 volt attraverso le cellule cerebrali, concepite per una piccola frazione di un volt, provoca danni al cervello. In effetti, le autopsie hanno rapidamente portato a una nuova teoria su come funziona la TEC. In un articolo del 1941 intitolato “Terapie dannose per il cervello”, l’uomo che ha introdotto la TEC negli Stati Uniti, ha scritto “Forse i malati di mente possono pensare in modo più chiaro con meno cervello nell’effettivo funzionamento”.
Nel 1974 il capo della Neuropsicologia di Stanford scrisse: “Preferirei avere una piccola lobotomia piuttosto che una serie di ECT …. So come diventa il cervello dopo una serie di shock”.
Tutti quelli che ricevono la TEC incontrano alcune difficoltà nell’individuare nuovi ricordi e nel ricordare eventi passati. Ciò che viene contestato è il numero di disfunzioni della memoria a lungo termine o permanente, che potrebbero ragionevolmente essere chiamati danni cerebrali.
I risultati vanno da uno su otto, a poco più della metà. Una revisione degli studi che hanno effettivamente chiesto ai pazienti, condotta qui all’Istituto, ha rilevato una “perdita di memoria persistente o permanente” dal 29 al 55%”.
C’è anche un’altra convinzione, cioè che in passato la TEC causasse di solito danni cerebrali, ma ora non più. Ma uno studio recente ha messo in rilievo che in uno su otto vi fosse una perdita di memoria “marcata e persistente” … e ha anche riscontrato tassi molto più alti tra i due gruppi che lo ricevono più spesso, donne e anziani.
Lo stesso studio ha anche riscontrato che la perdita di memoria non era correlata alla gravità della depressione. Questo è importante, perché un’altra convinzione riguardo alla TEC è che la perdita di memoria sia causata dalla depressione, non dall’elettricità.
Le istituzioni psichiatriche nel Regno Unito e negli Stati Uniti sono convinti della loro dichiarazione che solo “uno su 10.000” muore a causa della TEC, senza che abbiano prodotto un singolo studio per sostenere tale convinzione. Le nostre ricerche documentano studi su larga scala con tassi di mortalità compresi tra 1 su 1400 e 1 su 700, diverse volte superiori rispetto alle dichiarazioni ufficiali, che di solito-prevedibilmente- comporta l’insufficienza cardiovascolare.
La TEC in Inghilterra è diminuita, da 50.000 all’anno negli anni ’70 a circa 2.500. Il numero di psichiatri che ancora ci credono nonostante tutte le prove, sta diminuendo rapidamente.
Potrebbe essere comprensibile che gli psichiatri degli anni ’40 credessero che la TEC funzionasse e fosse sicura. Non conoscevano nulla di meglio.
Ma se la psichiatria vuole essere una disciplina basata sull’evidenza, per far parte della medicina moderna, deve riconoscere quello che, nonostante tutte le sue intenzioni onorevoli, ha ottenuto; come ad esempio la lobotomia, del tutto sbagliata.
Grazie.
Sue Cunliffe:
14 anni fa, 21 shock elettrici sono passati attraverso il mio cervello. Non posso usare la parola terapia perché hanno causato danni al mio cervello che hanno cambiato la mia vita.
Stasera, decidi tu: è un trattamento intrinsecamente pericoloso o una negligenza e una copertura istituzionalizzata?
La perdita di memoria è un danno cerebrale.
Il danno al cervello provoca una riduzione della capacità di una persona di funzionare.
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Pubblicato il 10 February, 2019
Categoria: Notizie
“Cappelli e serpenti boa” di Giorgio Antonucci– Il Piccolo Principe, una storia a fumetti di Enzo Jannuzzi e Antoine de Saint-Exupéry
Excalibur srl
Nelle prime pagine del Piccolo Principe che Vincenzo Jannuzzi ha riproposto a fumetti, il bambino vede il serpente boa, mentre l’adulto vede il cappello. Si evidenza qui il rapporto che il bambino ha con la fantasia, fintanto che non gliela organizzano e non gliela impediscono.
Fin dall’antichità, il conflitto tra creatività e controlla sociale è una costante. Già nell’Iliade incontriamo personaggi che affermano come a volte, per un istante, si sentono oscurati, come se qualche demone impedisse loro di pensare. Dalla concezione dei demoni che impediscono il pensiero, agli inquisitori, fino ai controlli sociali dell’epoca moderna, l’intelligenza creativa si scontra con le regole autoritarie della società.
Socrate rappresentava la forza creatrice attraverso l’intelligenza e il dialogo, ma lo stato ateniese ne fu impaurito e lo condannò a morte. Socrate, ricchissimo d’immaginazione, cercava di stimolare la gente a ragionare attraverso il dialogo, per raggiungere la conoscenza di se stessi, per ricercare la verità, per arrivare alla sapienza. Fu condannato a morte con l’accusa di corruzione della gioventù. Dal punto di vista di chi lo ha giudicato, dare impulso allo sviluppo del libero pensiero dei giovani era quindi considerato corruzione.
“Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle”, scrive Dante (Purgatorio, Canto XXXI, v. 106), che ho sempre citato per la sua indipendenza di pensiero e per la fantasia, era un individualista e riteneva, in un’epoca come quella medievale, che le sue opinioni dovessero essere rispettate sia dal potere temporale, quello di Firenze, sia da quello ecclesiastico di Roma. Basta leggere la Divina Commedia per vedere cosa ha scritto, quando definisce il Vaticano la cloaca del sangue e della puzza e quando mette i papi nell’inferno.
Gli artisti e i pensatori di ogni epoca hanno trovato ostacoli e repressione, con la condanna a morte, con la reclusione e i trattamenti psichiatrici, oppure con l’esclusione. Torquato Tasso è stato rinchiuso nella torre di Sant’Anna, perché il suo modo di pensare era stato ritenuto sospetto. Vincent Van Gogh è stato internato in manicomio, come Antonio Ligabue e Antonin Artaud, che è stato sottoposto all’elettroshock. Charles Baudelaire è stato addirittura interdetto, perché il suo modo di essere e di pensare non corrispondeva alla moralità dei costumi, come la chiama Friedrich Nietzsche, cioè quei costumi che sono stabiliti e imposti con la forza. Ci sono persone che col pensiero sembrano disturbare la tranquillità delle persone perbene, sottomesse al potere costituito.
Ritornando ai giorni nostri, Il Piccolo Principe è un’opera in cui la fantasia prevale su tutto il resto: quello che è simile al reale è scartato, mentre conta quello che è immaginario. Per questo motivo, come pure Alice nel Paese delle Meraviglie o Pinocchio, non possono essere inquadrate; hanno un testo semplice, ma ricco di pensiero, adatto sia ai bambini sia agli adulti. Libri semplicissimi, ma di una ricchezza che non finisce mai: la fantasia. Sono testi che non hanno fine, anche per la figurazione; sono stati, infatti, reinterpretati numerosissime volte.
Il Piccolo Principe fa volare la fantasia: il pilota trascorre la sua vita da solo, senza nessuno con cui parlare, in quanto le persone importanti a cui sottopone il suo disegno vedono solo un cappello – i “grandi” si riferiscono solo alle forme che sono accettate – poi, finalmente, incontra il Piccolo Principe, che gli chiede di disegnare e che capisce i suoi disegni; e, alla fine, il pilota, Antoine de Saint-Exupéry stesso, è scomparso nella vita reale come se facesse parte di questa sua opera.
Anche oggi la fantasia è guardata con sospetto e gli artisti sono sopportati con fastidio. Nel ’68 gli studenti parlavano di fantasia al potere, era un paradosso, una sfida, un modo di dire: la fantasia avrebbe dovuto sovvertire il potere, superarlo, per costruire una società nuova. Tuttavia la fantasia e il pensiero libero, non vanno d’accordo con un sistema che ha bisogno di situazioni prevedibili e controllabili, e vuole mettere limiti precisi. La fantasia, al contrario, non è né prevedibile né controllabile. Questo conflitto, messo in luce dal Piccolo Principe, sta diventando, ora, sempre più pressante, anche perché viviamo in un’epoca in cui la fantasia va scomparendo. Al contrario la fantasia dovrebbe essere presente anche nella politica. Goethe diceva: <io amo chi brama l’impossibile>. Perché chi brama l’impossibile è chi immagina e sogna un mondo nuovo, lavora per una società diversa, vuole fare la rivoluzione per avere una società differente. Ora invece ci si ferma sul dato di fatto, senza andare oltre. Siamo nella civiltà dei supermercati, una civiltà in cui veniamo consumati. I giovani non hanno punti di riferimento e le persone sono scoraggiate, per cui si accetta lo stato delle cose.
L’immaginazione, anche nei regimi per così dire democratici, che sono democratici soltanto in parte, è diventata sempre più estranea ai costumi della nostra società e, anche se a volte viene accettata, è sempre controllata. Lo scontro tra creatività, intelligenza, immaginazione e le regole del sistema che cerca di soffocarli, è presente in tutte le epoche e con metodi diversi a seconda dei tempi, però il conflitto è sempre lo stesso. La qualità particolare del Piccolo Principe è quella di dare un impulso alla riflessione, al pensiero e mettere in luce lo scontro tra l’immaginazione e le organizzazioni del potere, tanto nel XX come nel XXI secolo. Quest’opera, come è stata immaginata da Vincenzo Jannuzzi, ma anche come è stata rivisitata nella traduzione realizzata con Erveda Sansi, è un inno alla poesia. Il lavoro è un trionfo dell’immaginazione, un’esaltazione del libero pensiero non sottomesso contro il conformismo; le persone importanti vedono solo il cappello ma solo chi non è conformista, ci vede altro.
Marzo 2016
Giorgio Antonucci.
Pubblicato il 18 November, 2016
Categoria: Notizie