Colpevoli di essere donne – GIORGIO ANTONUCCI

Sabatoseraonline,29 aprile 2009


di Giorgio Antonucci


Il primo reparto di cui mi occupai al manicomio di Imola era il reparto 14, quello delle “agitate”. Le pazienti erano ridotte in pessime condizioni da anni di immobilità, imbottite di farmaci, abituate a convivere con la camicia di forza. Alcune di loro avevano subito lobotomie ed elettroshock, non possedevano vestiti propri, non avevano oggetti personali o armadi. La loro era una vita solo a livello biologico, erano completamente aboliti i rapporti con loro. Solo ordini e repressione. Passare i giorni legati al letto, imboccato ad attendere iniezioni non è vivere, ci si scorda anche che cosa significhi.Entrando dissi che avrei cambiato tutto. Che non ammettevo metodi repressivi e ho incominciato ad instaurare un rapporto diretto con ogni singola persona. Restando con le pazienti giorno e notte, in attesa che passassero paure e incubi per trovare il momento giusto per poter parlare con loro. Incominciai a distribuire abiti, oggetti personali ed armadietti. Col tempo, cambiando atteggiamento verso di loro sono cambiate anche loro, hanno incominciato a uscire, hanno ripreso a vivere.

Anche le cartelle cliniche non dicevano nulla di queste donne, c’erano dati generici, origine sociale (quasi tutte povere) e altri dettagli che non corrispondevano alla loro vita. Quando hanno incominciato a uscire dal reparto, camminando in giardino e poi in città, è incominciato il dialogo con loro e con i loro parenti.Ho conosciuto le loro storie e ho saputo che i problemi erano spesso legati alla sfera sessuale. C’era la giovane donna che prima del ricovero aveva ricevuto le “attenzioni particolari” di un padre o di un altro membro della famiglia, altre erano stato ricoverate a seguito di una gravidanza “indesiderata”. I ricoveri erano spesso utilizzati per eliminare una testimonianza, per coprire la famiglia. Mi accorsi che troppo spesso proprio l’essere donne era alla base del loro ricovero.

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Pubblicato il 29 April, 2009
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo