Scomparsa del dottor Giorgio Antonucci (Lucca 24 febbraio 1933 – Firenze 18 novembre 2017) – Eugen Galasso
Del dottor Giorgio Antonucci e della sua scomparsa ci sarebbe da parlare per decenni (ora non solo le mie condizioni di salute ma anche la tristezza, legata anche al fatto di non aver potuto partecipare alle esequie, mi impediscono di farlo), volendo essere in qualche modo obiettivi rispetto alla sua opera e al suo agire: non c’è nessuno in Italia e neppure in Europa (neppure Basaglia, pur con tutti i suoi indubbi meriti), credo nessuno al mondo che abbia fatto tanto per abbattere il pregiudizio psichiatrico (su ciò un suo libro, assolutamente fondamentale) che nella nostra cultura è invece sempre vivace per colpa del modello economico-sociale dominante (chi non lavora non mangia, S.Paolo ma poi anche Karl Marx, peraltro entrambi fraintesi) e di pregiudizi che le religioni storico-positive, di per sé (se non esaminate criticamente) latrici di ignoranza hanno alimentato, favorito, in certi casi semplicemente consolidato. Antonucci partiva da una constatazione che è semplice solo in apparenza, che in realtà cozza contro una congerie di pregiudizi: nessuna persona può essere giudicata e tanto meno “repressa” nel suo pensiero e nel suo agire a causa delle proprie opinioni, idee, concezioni della vita e del mondo, ma neppure in nome della propria “condotta”, espressione che comunque sa ancora molto di pregiudizi e di un modo di “sorvegliare e punire”, citando un autore (Foucault) che Antonucci amava e di cui riconosceva la grandezza, pur pensando in modo autonomo anche rispetto a un suo (in parte, almeno) “maestro”. Non è qui il luogo adatto per parlare delle opere di Giorgio(lo chiamerò così, per nome, riferendomi a un amico, la cui presenza sento ancora viva, comunque), ma dirò semplicemente che la gentilezza, la disponibilità, l’apertura mentale di Giorgio rimangono uniche e in qualche modo assolutamente irripetibili. Mi sovviene il valore di ogni sua parola, teorica come anche legata alla produzione poetica, dove la teoria si fonde con la “prassi immaginativa” (sono conscio del limite di questa definizione, ma al momento non me sovviene un’altra, anche considerando anche proprio quanto è specifico dell’opera di Antonucci, dove per me “opus”-“opera” include anche la dimensione dell’agire). Dispiace che nessun movimento politico o culturale, nessuna organizzazione umanitaria (non meramente assistenziale, dove queste associazioni hanno in genere ispirazioni e intenti di ordine moralistico ben più che “morale”) abbia fatto suo il pensiero e l’azione di Giorgio, salvo qualche appropriazione: che dunque si rimproveri di tutto a chi organizza da anni il “Premio Antonucci” appare segno di viltà e comunque di scarsa coerenza. Eugen Galasso
Pubblicato il 28 November, 2017
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