FREUD E LA PSICHIATRIA – Giorgio Antonucci Atlantica – Grande Enciclopedia universale – Annuario Enciclopedico 1991 – European Book Milano
FREUD E LA PSICHIATRIA – Giorgio Antonucci
Atlantica – Grande Enciclopedia universale – Annuario Enciclopedico 1991 – European Book Milano
Poiché in questi anni, alla fine del millennio, non si può in nessun ambiente parlare di psicologia senza pensare a Freud, questo lavoro si propone di iniziare una riflessione sulle relazioni che si possono individuare tra le ricerche di Freud e i primi nuclei di pensiero critico nei confronti delle dottrine psichiatriche.
Certamente le contraddizioni teoriche della psichiatria vengono notate spesso anche prima di Freud, ma con lui, più che con ogni altro, nasce un nuovo modo di ragionare, che può precludere alla critica sistemica di tutte le opinioni tradizionali.
Il concetto fondamentale freudiano che tutto quello che appare frammentario in un panorama psicologico rimanda necessariamente a dei nessi più profondi da ricercare e scoprire; permette di applicarsi nella riflessione sulle caratteristiche unitarie della personalità, al di là dei pregiudizi con cui gli psichiatri liquidano sommariamente le persone.
Il giudizio di schizofrenia, ad esempio, non sembra più avere significato e sussistenza, se si può dimostrare di vedere una logica al di là delle apparenze immediate, e lo stesso si può dire di tutti gli altri giudizi di classificazione psichiatrica.
Con questo criterio la psichiatria può essere metodicamente smantellata, con vantaggio per la conoscenza degli uomini e anche per la loro incolumità.
Le contraddizioni psicologiche, parlando in termini freudiani, non sono effetto di una disgregazione della personalità, come ritiene lo psichiatra, ma al contrario sono la rivelazione e l’espressione di un conflitto strettamente legato con l’intelligenza.
Già infatti nella prima opera importante per la fondazione della psicanalisi, “Studi sull’isteria”, scritta in collaborazione con l’amico Josef Breuer, Freud dichiarava a mo’ di meditazione autobiografica: ” Non sono sempre stato uno psicoterapeuta. Come gli altri neuropatologi, avevo imparato a impiegare diagnosi locali e elettroprognosi, e ancora mi sembra strano che i casi da me descritti sembrano, alla lettura, delle storie immaginarie e che, come qualcuno potrebbe dire, manchino di una seria importanza scientifica. Debbo consolarmi con la riflessione che più di qualsiasi mia preferenza è responsabile di ciò la natura dell’argomento. Il fatto è che le diagnosi locali e le reazioni elettriche non conducono ad alcun risultato nello studio dell’isterismo, mentre una descrizione dettagliata dei processi mentali quali siamo abituati a trovare nelle opere di narrativa, mmi mette in grado, con l’aiuto di alcune formule psicologiche di ottenere per lo meno un certo tipo di visione entro il corso di tale disturbo. Casi di questo genere debbono essere giudicati come psichiatrici; essi hanno, comunque, un vantaggio sugli altri, cioè una connessione intima tra la storia delle sofferenze del paziente e i sintomi della sua malattia; connessione che cerchiamo ancora invano nella biografia delle altre psicosi”. (“Studien on Hysteria, 1893-1895, Standard Edition, Hogarth Press e Istituto di Psicanalisi di Londra. Volume secondo. Breuer e Freud, pagine 160-161).
In queste parole di Freud ci sono in fermento molti problemi e molte contraddizioni.
E’ chiaro che Freud ha capito che le situazioni riferite dalla tradizione con il giudizio dell’isterismo non sono né spiegabili né affrontabili con i concetti e con i metodi della neurologia, e suppone che anche altri quadri di riferimento della psichiatria possano trarre vantaggio da ricerche psicologiche e biografiche, sia a livello di comprensione che a livello di risoluzione di conflitti.
Però rimane legato al concetto di malattia e alle classificazione psichiatriche, avviandosi così in un labirinto dalle uscite apparentemente irraggiungibili.
L’ambiguità su questo punto genera il concetto vuoto di malattia funzionale, che da una parte serve alla medicina per nascondersi le sue lacune e i suoi errori, dall’altra serve agli psicologi per invalidare qualunque comportamento o pensiero non conforme alla moralità dei costumi.
E’ per noi di particolare interesse seguire per un momento di giovane Freud, quando nell’allargare le esperienze tradizionali e nel rinnovare il pensiero scientifico diviene perturbatore della moralità e si conquista tutte le ostilità relative, evitando certe conseguenze solo per la sua posizione di neurologo abbastanza affermato.
Singolare è la diffusione del concetto di isterismo maschile, al ritorno da Parigi, dopo aver studiato con Charcot, il quale certe verità scottanti, per ragionevole prudenza, da buon scienziato, le comunicava solo agli amici più fidati o agli specialisti.
Invece Freud, almeno allora, era piuttosto scapestrato e correva i suoi rischi, tra cui quello di contraddire persone intelligenti, come quel medico che gli disse: “Mio caro signore, come potete dire una tale assurdità? Hysteria significa utero; come può un uomo essere isterico?”
In seguito Freud scriverà, con una certa malinconia, nella sua “Storia del movimento psicoanalitico”, che innocentemente aveva preso la parola in un convegno dell’Associazione Viennese di Psichiatria e Neurologia, con Krafft-Ebing in cattedra, “aspettandomi che le perdite materiali cui mi ero volenterosamente sottoposto sarebbero state ricompensate dall’interesse e dal riconoscimento dei miei colleghi. Trattai le mie scoperte come ordinari contributi della scienza e sperai che fossero accolte col medesimo spirito. Ma il silenzio che seguì alle mie comunicazioni, il vuoto che si formò attorno a me, i commenti, mi fecero realizzare che l’introduzione della sessualità nell’eziologia della nevrosi non poteva contare su di una accoglienza dello stesso genere di quella avuta da altre comunicazioni. Compresi che da allora in avanti sarei stato uno di quelli che avevano “disturbato il sonno del mondo” e che non potevo contare sull’obbiettività e la tolleranza”. (History of the Psychoanalitical Movement, 1914-1916, Standard Edition. Volume XXV, pagine 21-22).
Certamente, la vita degli innovatori, sia pure medici relativamente affermati, nel vecchio secolo come nel nuovo, sembra giustificare i timori di Charcot, specialmente se si pensa alla fine di Semmelweis, che per aver scoperto le cause della febbre puerperale, e i metodi per combatterla, si era guadagnato tante umiliazioni da indurre gli amici a ricoverarlo in manicomio, luogo della sua morte (13 agosto 1865).
Meno male che Freud avrebbe avuto maggior fortuna, nonostante la conquista di Vienna da parte dei nazisti.
La minaccia che molti sentono nel pensiero di Freud non è solo legata alla scoperta dell’importanza della sessualità, sia negli adulti che nei bambini, ma anche al fatto che le contraddizioni e i conflitti psicologici non vengono più attribuiti a un difetto neurologico ma cominciano a essere riferiti alla storia dell’individuo e alla sua collocazione nelle strutture sociali.
Come si leggeva prima, la ricerca comincia a diventare biografia.
E Freud come si è visto, afferma con precisione e con ammirabile chiarezza: “Debbo consolarmi con la riflessione che più di qualsiasi mia preferenza è responsabile di ciò la natura dell’argomento”.
Cesare Lombroso, ai giorni nostri ancora così popolare presso sociologi e giornalisti di fama, era solito affermare, anche a sostegno della necessità dei manicomi giudiziari, che un eccesso di intelligenza è di per se stessa una pericolosa forma di pazzia, e se questa affermazione può lasciare ragionevolmente tranquilla la maggior parte degli psichiatri e degli psicanalisti, poteva essere micidiale per un uomo come Freud, che veniva da ogni parte sospettato, come è logico negli ambienti più qualificati.
Si racconta ad esempio che, in un congresso di neurologi e psichiatri tedeschi nel 1910 ad Amburgo, un certo professor Wilhelm Weygandt abbia detto, interrompendo una discussione nella quale erano state menzionate le teorie di Freud: “Questo non è un argomento per un dibattito in un convegno scientifico: è cosa che riguarda la polizia”.
E un altro neurologo, il professor Oppenhaim, allora molto famoso e ascoltato, chiese che gli scritti di Freud fossero censurati in tutte le istituzioni psichiatriche rispettabili.
Così, proprio in rapporto all’intolleranza e al fanatismo che accompagna l’odio per le novità, dobbiamo a Freud alcune osservazioni importanti che rimandano a molti problemi della nostra epoca, gravi e tutt’altro che risolti: “Era una situazione analoga a quella del medio evo, allorché un malfattore, o anche soltanto un avversario politico, veniva messo alla gogna e abbandonato ai maltrattamenti della plebe. Forse non vi renderete conto fino a quale livello della nostra società arrivi la volgarità, e di quali eccessi le persone siano capaci qualora esse si sentano parti di una massa ed esonerate dalla responsabilità personale. A quei tempi io ero abbastanza solo, e riconobbi ben presto che il polemizzare non dava alcun risultato, che anche il lagnarsi e l’invocare spiriti migliori era assurdo, poiché non esistevano istanze cui presentare lagnanza”. (New Introductory Lectures and Other Works. 1932-1936, Standard Edition. Volume XII, pagine 137-138).
Aveva proprio ragione Hume a dire che la stabilità della conoscenza dipende solo dall’abitudine, infatti gli animali umani, specialmente quelli delle istituzioni scientifiche, sono attaccati alle vecchie abitudini con tutta la profondità delle loro radici.
Così Freud, uomo diverso, non piaceva a nessuno. Tanto meno piaceva ai suoi colleghi.
Lo storico statunitense Daniel J. Boorstin nella opera “The Discoveres” (1983) in italiano “L’avventura della scoperta – Una storia della ricerca umana per conoscere il mondo” (Edizioni Mondadori, 1985), parla della predilezione di Freud per la cultura classica, per l’archeologia e per la storia, e rivela come le sue intuizioni e le sue ricerche siano più stimolate dalla filosofia di Goethe che non da quella di Helmoholtz.
“Quando – scrive Boorstin – passati i quarant’anni, spostò l’attenzione dal mondo di Helmholtz e dalla neurologia al mondo della cultura e della storia, si dedicò all’archeologia dell’anima, “la psiche”. Il suo terreno di scavo furono gli strati mai esaminati dell’esperienza, sia della società che dell’individuo” pagina 533 dell’opera citata).
Però, quando cominciò a raggiungere il successo, ci si affrettò a ridurre la sua opera nei confini impropri della medicina.
D’altra parte Jung dice che la genesi della teoria di Freud reca il marchio inconfondibile dell’esperienza ambulatoriale. Eppure, quando i medici degli Stati Uniti chiesero che la pratica della psicanalisi fosse riservata soltanto ai laureati in medicina, Freud si manifestò decisamente contrario non volendo che la psicanalisi si riducesse a una semplice ancella della psichiatria.
Anche Giano, come raccontano le storie, si offriva per allontanare gli incubi della notte.
In ogni modo, fino agli ultimi anni della sua vita, i conservatori gli furono contro.
Le sue opere erano state messe al rogo dalla Germania nazista, non erano mai arrivate nell’Unione Sovietica, e risultavano all’indice per la Congregazione dei Riti Vaticana.
La cultura esplicitamente autoritaria lo respingeva senza mezzi termini.
Contemporaneamente, come riferisce Carlo Belihar nella sua “Vita di Freud” edita da Peruzzo nel 1986, alcuni scrittori importanti tra cui Thomas Mann e Romain Rolland gli scrivono: “Noi sottoscrittori non possiamo immaginare il nostro mondo mentale senza l’opera ardita e coraggiosa di Sigmund Freud”.
Nell’ultimo periodo della sua vita, poco prima della sua partenza per Londra, era divenuto obbiettivo della gioventù hitleriana, che maturava il proposito di aggredirlo, sicuramente non solo per antisemitismo.
Secondo noi i nuovi modi di vedere sostanziali dell’opera freudiana son in primo luogo il collegamento di tutte le tensioni interiori con le possibili motivazioni, in secondo luogo la possibilità di acquisire metodicamente un sempre più attento controllo di se stessi, per divenire il più possibile autonomi.
Il premio Goethe del 1930 è il riconoscimento di uno scrittore chiaro ed essenziale, diverso da tutti quei sofisti ingarbuglia-idee che si ritengono suoi seguaci e continuatori.
Non a caso a Vienna, a fine secolo, si discute molto di problemi di linguaggio, in rapporto ai significati e al non senso.
Si cerca intensamente una nuova chiarezza del linguaggio per rinnovare la propria comprensione della realtà, e per ritrovare se stessi.
“Solo nella voluttà della creazione linguistica il caos diventa mondo” scrive Karl Kraus, e in questa stessa ricerca lavorano nei loro campi rispettivi Wittgenstein e Schoberg, in parallelo naturalmente con Freud.
Infatti anche le scoperte di Freud sono prima di tutto un problema di linguaggio e di chiarezza di pensiero, e non certo un problema di medicina.
Ora, dopo un secolo, il problema della comunicazione e del linguaggio è divenuto ancora più urgente.
I mezzi di comunicazione di massa come il cinema, la radio e specialmente la televisione, hanno la possibilità di aumentare le informazioni e allargare la conoscenza, così come, per contro, la possibilità di diffondere la confusione e accrescere la superficialità e la disposizione a sottomettersi.
Gli intellettuali hanno perso ogni rigore di linguaggio e ogni rigore di ragionamento, diventando scrittori da autogrill.
Reggono solo se sono al servizio di qualcuno.
La dipendenza da una qualche autorità è ritenuta, nonostante tutto, una specie di legge di sopravvivenza.
Scriveva Freud ad Einstein riflettendo sulle possibilità di costruire un mondo senza guerra: “Richiamandoci a questa realtà si dovrebbe dedicare maggiori cure, più di quanto si sia fatto finora, alla educazione di una categoria di persone dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibile alle intimidazioni”. (Lettera ad Einstein su ‘Perché la guerra?’, settembre 1932, Edizione italiana Bollati Boringhieri, 1989).