Del suicidio – Eugen Galasso
Sappiamo come gli psichiatri, sempre in cerca di tassonomie atte a giustificare le loro “condanne”, che si traducono in “terapie” quasi sempre coattive (TSO et similia), come il TSO si “affannano” (invero non troppo) attorno a “sindrome suicidaria” o a “pulsioni suicidarie”, dove comunque una curiosa sintesi tra creatività e pressapochismo (si fa per dire, perché rispetto a un “dogma psichiatrico” comunque instabile, fluttuante) non si sa come classificarla, oscillando la stessa tra un pietismo di maniera (“eh certo, nella sua condizione, poveretto/a, c’è il rischio che…”) e una tendenza curiosa, decisamente tendente alla condanna già prima dell’ “evento” (“In quelle condizioni, sa, può fare delle sciocchezze. E poi…”), quasi la scelta “de vita aut de morte” fosse prerogativa dello psichiatra (a proposito, per chi condanna a priori, “sorvegliando e punendo”: quanti psichiatri suicidi? Non pochi, ma…sarebbe interessante avere in mano una statistica attendibile, pur con tutte le riserve anche di chi scrive questa nota, verso tale strumento d’indagine quantitativa). Le religioni e le chiese, poi: quella cattolica, che condanna di più (la vita appartiene e pertiene a Dio) delle altre la teoria e prassi del suicidio pratica una teoria e prassi della doppia verità: condanna a livello di dogma, ma nella pratica i funerali religiosi si celebrano, sempre omettendo di dire il motivo del decesso(ciò è particolarmente ipocrita quando il motivo è noto o almeno intuibile, quando il parente del suicida è magari il prete officiante il rito etc.). Si legga (?Si fa per dire, certo) dal”Catechismo della Chiesa cattolica”: E’ lui (Dio che l’ha donata, sottinteso) che ne (della vita, sottinteso) il Sovrano Padrone…Non ne disponiamo” (1)(1) Catechismo…, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1992, p.561, paragrafo 2280. E ancora: “Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente”(2)(2, ibidem, paragrafo 2281). Solo in fondo alla breve trattazione del tema (è il Catechismo, non è uno studio specifico) si dice, molto ipocritamente, che “La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita”(3)(3, ibidem, par.2283).
Ad onor del vero, bisogna pur dire che sul tema si esprimono ben diversamente “teologi morali” quali Bernhard Haering ed Enrico Chiavacci, ma lo facevano, anzi meglio erano/sono, in quanto Chiavacci è ancora vivo, costretti a farlo con molta prudenza, per timore di gravi reprimende, sospensioni a divinis e altro. Ciò vale per tutto l’ambito della sessualità, della bioetica etc., su cui gli ultimi papi sono intervenuti con particolare durezza, ma in campo cattolico (resteranno nell’alveo, però, di “sancta mater ecclesia?” Chissà) si sta profilando quello che Chiaberge (ma non solo lui) ha chiamato uno “scisma sommerso”. Come nel suo bellissimo “Pensieri sul suicidio“(4)(4) Giorgio Antonucci, Pensieri.., op.cit., Milano, Eleuthera, 2002 rileva Giorgio Antonucci , sono le religioni monoteistiche ovvero “del libro” (ebraismo, cristianesimo, Islam) le più arroccate nel condannare il suicidio, ma , se abbiamo rilevato differenze e contraddizioni in ambito cattolico (quelle feconde , intendo, capaci di far saltare il banco, i.e.le chiese), esse vi sono a fortiori in ambito cristiano-riformato/”protestante”, dove non c’è prescrizione gerarchica del dogma, non essendoci una gerarchia vera e propria, non c’è in ambito ortodosso (ma gli Ortodossi su questo sono molto rigorosi); inoltre, se l’Islam proibisce il suicidio, lo ammette se nell’ambito della jamajria; più tollerante, ça va sans dire è l’Ebraismo, ma qui non vorrei incorrere nella consueta apologia… Il libro di Antonucci, che in un paese civile gli varrebbe una docenza universitaria in filosofia o almeno l’invito fisso quale esperto in TV, dove Giorgio “preparava”/affinava il suo stile aforistico, di stampo nietzschiano, che si afferma con prepotenza in “Diario dal Manicomio”, dove il ductus della prosa si feconda però poeticamente, richiama anche una vera e propria storia del suicidio, dall’inevitabile Socrate ma anche persino dai Presocratici agli Stoici (che lo misero in atto e come!) al “quieto Epicuro”, che forse era morto suicida, ai moderni Levi, Pavese, Amery, senza trascurare Werther e il wertherismo, Nerval e Schumann, e io mi permetto, da socialista libertario ingiustamente considerato “reazionario”, da ricordare il grande Drieu La Rochelle… quello di “Le feu follet”… E Drieu reazionario lo era per davvero e (non ma…) un grande scrittore. Il libro antonucciano sarebbe da citare tutto, ma, ovviamente, ciò è impossibile; dirò, dunque, semplicemente, come Antonucci attacchi le filosofie religiose ma anche quelle “laicamente onnivore”, dove “la Chiesa, lo Stato, il Partito inglobano la vita nella società totalitaria”(5)(5)op.cit., p.38, dove l’antipsichiatra (ma ogni etichetta appioppata allo scrittore, che antipsichiatra lo è, inequivocabilmente, rischia però di limitarlo), foucaultianamente ci mostra come manicomi e istituti di pena servano a punire l’individuo, già da sempre colpevolizzato dalle istituzioni, “sacre”o “pro-fane” che siano… “Rovesciando” poi e usando con vera intelligenza machiavellica lo Zilboorg (G.Zilboorg, “Storia della psichiatria”, ora in italiano, Nuove Edizioni Romane, 2010), mostra come il culto della morte diventi culto della morte in Giappone(kamikaze) ma anche in certe correnti dell’Islam (Al Queida, ma non solo), ma tutte le virtù guerriere sono, appunto, come nota sempre Antonucci, potentemente “messe in atto” dall’Occidente cristiano dai martiri (chapeau, ma…) alle Crociate, alle”guerre sante”, a Francisco Franco y Bahamonde, a Pinochet( altro maniaco dell’Occidente cristiano), al fascismo (laico-cattolico, con contraddizione irrisolta), mentre il nazismo, sostanzialmente pagano-veterogermanico, esalta il “Walhalla” come télos dell’eroe. Ho voluto ampliare un po’ le riflessioni antonucciane, convinto del fatto di non averle tradire.
Eugen Galasso
Pubblicato il: 25 April, 2011
Categoria: Testi