L’antipsichiatria: “Malattia mentale? Non esiste” – Articolo/Intervista di Ilaria Ulivelli a Giorgio Antonucci
La Nazione, martedì 7 febbraio 2012
“Depressione è un termine sbagliato: le persone possono essere più o meno tristi, possono avere più o meno voglia di vivere. Ma non per questo devono essere ‘bollate’ come depresse”. Giorgio Antonucci, medico e psicoterapeuta, un faro dell’antipsichiatria (“La psichiatria è fatta apposta per togliere la libertà agli altri”, è il suo pensiero), ribalta gli assiomi. Un rivoluzionario, per sempre. Fin dal 1963, quando inizia la sua formazione come psicoanalista con Roberto Assagioli (fondatore della psicosintesi) e comincia a dedicarsi alla psichiatria cercando di risolvere i problemi dei pazienti evitando i ricoveri e qualunque metodo coercitivo. Niente etichette, niente manicomi, niente forzature perchè <la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che a volte possono essere insolubili>. Ma allora come si possono curare le persone che soffrono? “Se ci sono problemi da discutere, si discutono: la persona non deve essere curata con la clinica ma deve essere ascoltata per quello che è. Le malattie sono un’altra cosa. Anche Freud ha detto che i problemi psicologici non sono problemi clinici. Partendo da qui, ogni caso si affronta a sè”.
Antonucci lavora sul pensiero: “E il pensiero non può mai essere sano o malato, può essere solo giusto o sbagliato: gli organi sono malati o sani”. Il suo lavoro, sul piano teorico, è la negazione del pensiero psichiatrico. Si avvicina alla corrente esistenziale-umanistica di Carl Rogers e alle correnti di critica alla psichiatria (di Goffman, Laing, Cooper e Szasz) e alla critica all’istituzione manicomiale di Franco Basaglia con cui collabora nel 1969 a Gorizia. “Quando lavoravo con Basaglia, che contrastava le istituzioni psichiatriche, gli dicevo che per criticare le istituzioni bisognava mettere in discussione anche il pensiero che le ha create”. Quindi la psichiatria.
“Gli uomini possono essere felici o infelici, pensare che la vita valga o non valga la pena di essere vissuta – spiega Antonucci – e sono liberi di cambiare opinione: i problemi devono essere affrontati sul piano del pensiero critico, devono essere discussi, perchè sono problemi filosofici e non hanno nulla a che vedere con la medicina e con la malattia mentale. Per questo motivo non si può classificare la depressione e non si può dire quanti depressi ci sono, perchè il termine non ha nessun significato”.
Riassumendo, Antonucci è il fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica che si basa sui seguenti assunti:
1) Il trattamento sanitario obbligatorio non può essere un approccio scientifico e medico alla sofferenza in quanto basato sulla forza contro la volontà del paziente.
2) L’etica del dialogo viene sostituita all’etica della coercizione. Il dialogo non può avvenire se non fra individui che si riconoscono come persone in un confronto alla pari.
3) La diagnosi viene negata in quanto pregiudizio psichiatrico che nega di intraprendere il vero lavoro psicologico alla sofferenza degli uomini per le contraddizioni della natura e della coscienza e per le contraddizioni della società e per i conflitti della convivenza.
4) Gli psicofarmaci o droghe psichiatriche servono per sedare, drogare la persona e per migliorare le condizioni di vita di chi si deve occupare dello psichiatrizzato. Vengono negati tutti gli altri strumenti che danneggiano la persona dalla lobotomia, alla castrazione (proposta da alcuni in Italia in rapporto ai reati sessuali) e tutti i tipi di choc.
5) Per criticare le istituzioni bisogna mettere in discussione anche il pensiero che le ha create.