Il Sogno di Bruna – Vincenzo Jannuzzi – Prefazione di Giorgio Antonucci
Il Sogno di Bruna
di Vincenzo Jannuzzi 2014
Prefazione
Com’io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu l’sai, chè non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran di sarà si chiara.
Dante Alighieri
Purgatorio I Canto
Nel fumetto c’è, come problema centrale, il problema del suicidio. Si parla del problema del suicidio. A proposito di questo prima di tutto voglio dire che quando lavoravo a Imola, nel Reparto 17 Uomini, il terzo reparto che avevo preso, dopo averne preso due di donne, quando lavoravo lì liberando tutte le persone, che erano state rinchiuse per anni, liberai anche una persona di parecchi anni, che era stata ricoverata molto tempo prima, dopo la guerra. Era un uomo che aveva fatto la guerra nell’esercito italiano, dopo aveva fatto il partigiano e infine, ritornando a casa, dopo questa lunga esperienza tragica, si trovava in condizioni anche economicamente difficili e non era stato capito quello che lui voleva dire, fu internato in manicomio e vi era stato per anni interi con tutte le condizioni del manicomio: dalla camicia di forza, alla cella, al cortile, a tutto quello che c’è in manicomio, e al silenzio di tutti intorno a lui. Quando arrivai insieme agli altri, io entrai in contatto con ognuno di loro per ristabilire la loro storia, mentre loro si liberavano, e acquistavano la possibilità di tornare a casa se volevano e se potevano, nel senso che io ristabilivo tutti i rapporti con quelli che erano restati, dopo tanti anni, in modo tale che se loro se ne volevano andare se ne andavano e per andare via dovevano naturalmente avere un posto dove andare,delle persone che le accoglievano. Non ho mai mandato via qualcuno mettendolo in mezzo alla strada, che sarebbe stato un delitto uguale a quello che hanno fatto mettendolo dentro. Allora lui, che era molto intelligente tra l’altro, molto sveglio, si
mise in contatto con i parenti che gli restavano. Siccome poteva, era libero, anche con me andò da questi parenti. E poi andò anche da solo, poteva andare quando voleva. In
dialogo con loro, si rese conto che non lo volevano, cioè che lui era rifiutato. Allora dopo una vita intera di rifiuti, nel momento in cui arriva qualcuno che gli dà la possibilità di essere libero e di avere rapporti con altri, si accorge che ancora una volta questo rapporto gli veniva negato. Allora si buttò nel Santerno, che è il fiume che passa da Imola, si seppe che si era buttato nel Santerno e morì. Questo è il discorso del suicidio di una
persona che sa che non ha più nessuna prospettiva, che nessuno lo considera come dovrebbe considerarlo. Quindi è un suicidio per la sua dignità, esattamente uguale a quello di cui parla Dante all’inizio del Purgatorio, cioè quello che riguarda Catone Uticense. Perché Catone Uticense si suicida perché non aveva più possibilità di esprimere la sua personalità, perché sarebbe stato sottoposto al tiranno, oppure sottoposto a uomini che non lo consideravano nulla, e Dante, facendo eccezione su tutte le regole della chiesa cattolica, come fa spesso, lo mette non solo all’inizio del purgatorio ma ne esalta la scelta. Questo è l’aspetto essenziale, il fatto che uccidersi significa dire
che se la mia vita non è più corrispondente alla mia dignità, io preferisco morire. Questo riguarda tanti suicidi.
Per confermare questo discorso c’è la testimonianza di un soldato americano che era stato in Vietnam, mi ricordo di aver letto la sua testimonianza in un libro. Questo soldato,
tornato dal Vietnam, raccontava che nel macello terribile che era il Vietnam, dove si massacrava la popolazione, si ammazzavano donne e bambini, si bombardava dappertutto, ci si uccideva giorno per giorno in continuazione, però quando accadeva che uno dei soldati americani si suicidasse, i comandanti che erano sempre tranquilli anche di fronte al macello e alla distruzione di un intero villaggio, entravano in grande crisi quando sentivano parlare di suicidio. Nel senso che loro che concepivano qualsiasi macello, però
non concepivano che uno decidesse per conto suo di togliersi dal mondo. Questo è l’altro aspetto. Cioè un aspetto è il significato che ha il suicidio per il singolo individuo, l’altro aspetto è il suicidio come minaccia del potere. Ecco queste sono le cose che io vorrei dire all’inizio di questo discorso.
In antico i suicidi non li seppellivano negli stessi cimiteri per i cristiani, per la religione il suicidio era inammissibile. Questo rende ancora maggiore la testimonianza di Dante che se ne infischia, pur essendo cattolico, come in altri momenti se ne infischia completamente, come quando parla con Brunetto Latini, che è stato il suo maestro, che
era un uomo di cultura che si è occupato di Dante nella giovinezza del poeta; lui trova Brunetto Latini e in questo caso, rispettando le regole, lo mette all’inferno tra i sodomiti, questa è la prima parte. Nella seconda parte c’è il fatto che quando lo vede lo tratta con affetto, e non solo con affetto ma gli dice “tu mi insegnasti come l’uomo si eterna”, cioè come l’uomo diventa immortale, tu mi hai insegnato l’essenziale della cultura, per cui il
personaggio di Brunetto Latini diventa un personaggio di grandissimo splendore, anche se si trova nel girone infernale. Perché poi tra l’altro Dante non ha mai considerato migliori quelli che sono in paradiso rispetto a quelli che sono nell’inferno. Delle persone di cui ha stima, che siano da una parte o l’altra, la stima la mantiene lo stesso. Questo nel discorso di Dante che va letto vedendo quello che c’è di originale, oltre a quello che c’è di
formale; come succede a tutti, c’è una parte formale e una parte originale. Questo per dire che il suicidio nel mondo cristiano, ma anche nel mondo musulmano, ma anche nel
mondo della bibbia, cioè nel mondo degli israeliti, non è ammesso perché viene considerato come una violazione della volontà di dio, nel senso che è dio che ha deciso
che sono nato ed è lui che deve decidere che io muoio. Il fatto invece che un essere umano lo decida da sé è una violazione delle grandi religioni, cosa diversa si trova solo in altre tradizioni diverse come nel buddismo, ma questo è un altro discorso. Il riferimento a Dante è importante perché attraversa i secoli, cioè si discute ancora su che cos’è il suicidio quando lui nel ‘200 aveva già detto la cosa chiara, trasgredendo tutta la dottrina e
il potere.
Dopo che è stato considerato un reato, quando arrivano gli psichiatri, come in antico succedeva che considerassero un reato e mettessero l’omosessuale, quando si arriva in
un epoca più moderna l’omosessuale invece che fare un reato va a finire in manicomio.
Si passa sempre da un discorso antico, che è quello direttamente della prigione, a un discorso diciamo meno antico in cui lo psichiatra sostituisce anche il carceriere. La colpa diventa una malattia. Qui si entrerebbe nel discorso che gli psichiatri fanno e che va rifiutato completamente, perché non ha nessun fondamento. Basta pensare che l’omosessualità per anni interi è stata considerata una malattia e alcuni la considerano
ancora malattia. Poi ad un certo punto è successo, alla riunione che fanno gli psichiatri americani per fare quel loro catalogo delle malattie mentali come dicono loro, che un
giorno uno di loro disse, quando si parlava di omosessualità: “…ma come si fa, quando so che molti tra noi psichiatri sono omosessuali? Allora togliamo l’omosessualità dalle malattie!…”. Se si trattasse di malattie non si mettono – e – si tolgono… Non è che si fa un
congresso di medicina in cui si decide che il tumore al polmone non è più una malattia. E’un’idiozia. Soltanto gli psichiatri si inventano delle cose che chiamano malattia e le
possono anche abolire. Questo fa vedere che la psichiatria non ha nessun fondamento scientifico, è una pseudoscienza, si spaccia come medicina ma non è medicina, per il
fatto che la medicina è un’altra cosa, la medicina si occupa di squilibri biologici dell’organismo, che sono reali perché sono testimoniate da esami, sono oggettivi, mentre
dire che un obiettore di coscienza, per esempio, è un malato di mente, è il giudizio moralistico di qualcuno. Come dire che l’omosessuale è un ammalato di mente, come dire che la donna che ha molti uomini è una ninfomane, come la donna che non sopporta più il marito è un isterica. Sono tutte invenzioni della psichiatria, come ha dimostrato
benissimo Thomas Szasz, sono invenzioni punto e basta, non hanno nessun significato di nessun tipo. Il discorso è molto semplice: gli psichiatri cercano di eliminare la persona
che viola quelli che da loro sono ritenuti i costumi: la rinchiudono o la uccidono. Fatto attuale: Francesco Mastrogiovanni, dei nostri giorni, è stato ucciso. Per quelli che sono i criteri moralistici della società in cui vive. Cosa che passa inosservata, perché è ben
mascherata dal fatto che, si dice, tutte le persone, anche ora se si parla di Francesco Mastrogiovanni, non pensano che ogni clinica psichiatrica sia un luogo di uccisione o di
eliminazione, ma pensano che sia stato un momento sbagliato di alcuni che non ce la fanno, non pensano che tutto l’insieme deve essere sottoposto a critica. Per quello io dico sempre che il discorso basagliano del superamento dei manicomi non ha nessun significato. Come il discorso che si potrebbe fare del superamento dei campi di
concentramento. Bisogna abbattere il nazismo, perché se ci sono i nazisti ci sono i campi di concentramento, perché non si eliminano i campi di concentramento lasciando in giro i
nazisti. Certo, i campi di concentramento non ci devono essere, ma non ci deve essere chi mette le persone nei campi di concentramento, e questo vale anche per la psichiatria.
Non è il manicomio il problema. Il manicomio è una conseguenza. Non è il campo di concentramento il problema, ma è la conseguenza di un impostazione… Se io penso che
lo zingaro deve essere tolto dal consenso civile, anche se non lo mando in un campo di concentramento la cosa è simile. Se io penso che l’ebreo non è come gli altri, o lo
zingaro, o il napoletano, o l’africano … perché cambia sempre ma non importa, allora insomma si può mettere al posto dei rifugiati chiunque. Ognuno ci mette gli altri. Però se si continua così, si continua con la violenza, non c’è niente da fare, e si continua anche con i pregiudizi. La psichiatria è violenza. Si comincia a prendere una persona con la forza, e portarla via perché il suo pensiero non ci piace, per cui è violenza fin dal principio, per cui la critica al manicomio, se non si abolisce il diritto dello Stato di prendere una persona e metterla dentro con la forza per il suo pensiero, non si abolisce niente.
Bisogna cambiare la struttura del potere. Siamo in lotta contro il potere, non c’è niente da fare, fintanto che il potere stabilisce che certi vanno eliminati e la gente gli va dietro.
Giorgio Antonucci
Pubblicato il 29 January, 2015
Categoria: Testi
SI FA PRESTO A DIRE FOLLIA Intervista con Giorgio Antonucci
‘l Gazattin – novembre 2014
Lo scopo attuale del Dr. Antonucci è quello di tirar fuori dai manicomi, dagli ospedali e dai reparti psichiatrici la gente che vi è rinchiusa perché rifiutata dalle logiche dominanti. L’argomento di questa intervista è la violenza, che sempre più spesso i media e l’opinione comune fanno risalire alla cosiddetta malattia mentale, anziché sottoporre ciò che la genera all’analisi della ragione.
Qualche decade fa c’era bisogno di spaccare i muri. E’ successo…Ma oggi, per aiutare una persona in difficoltà, cosa si può fare?
Innanzitutto si sono sì eliminati dei luoghi dove c’erano le persone rinchiuse, ma ce ne sono altri anche ora, per cui il lavoro non è finito. Poi il problema non si riduce ad essere rinchiusi. Il problema è che si fraintende il pensiero degli altri, a tutti i livelli e si prendono alcune persone con la forza e si portano in clinica psichiatrica. E’ un problema della cultura. Per esempio: è successo questo fatto in Norvegia (il caso Breivik, autore del massacro di 77 persone nel luglio del 2011, ndr) e tutti i mezzi di comunicazione parlano di follia dell’attenzione. Follia non vuol dir niente, significa soltanto non cercar la spiegazione. Cioè, le spiegazioni possono esser tante.
Questo attentatore, intanto, risulterebbe essere uno di estrema destra che ce l’ha con gli immigrati, e in particolar modo con gli islamici, e ha fatto quest’azione perché ritiene che il governo norvegese li accoglie, mentre lui vorrebbe buttarli fuori. Ma definirlo un folle non vuol dir nulla. Lui ha fatto delle cose per un motivo, e allora in tutta la nostra cultura quando non si vuole o non si sa spiegare una cosa, si usa questa parola priva di significato che è “follia”. Che senso ha, come è accaduto e accade ancora, dire che Hitler era un folle? Hitler era uno che ha organizzato mezza Europa in un certo senso, e purtroppo ha fatto un sacco di guai prima di essere sconfitto. Ma se Hitler è stato un folle allora il grande maestro di musica Furtwangler, che gli andava dietro e Heisenberg che era un grande scienziato, e tutti i tedeschi che gli son andati dietro, gli italiani, Mussolini, son tutti matti? Con il discorso degli psichiatri non solo si emarginano delle persone facendo finta di non capire o non comprendendo chi siano, ma si costruisce una cultura del nulla.
E’ vero. Si è sentito dire, da psichiatri francesi, che Breivik fosse malato… Qual è l’opinione di Giorgio Antonucci a proposito della linea che demarca crimine e follia?
Il fatto è che la psichiatria non fa altro che confondere le idee. Cioè gli uomini, con i progetti che hanno, da Caino in poi, uccidono. Si tratta di vedere, di discutere cosa significhi. Cioè, uno uccide per un motivo, un altro uccide per un altro motivo. Nella Bibbia non è scritto che Caino non aveva la testa a posto. Caino ha ucciso Abele perché riteneva che Abele fosse un privilegiato nei suoi riguardi. Se ne può discutere.
Per capire le nostre azioni, i nostri pensieri, bisogna togliere completamente la psichiatria, che confonde le idee, perché non significa niente, non ha nessun fondamento. E’ una cosa completamente arbitraria, perché io posso dire, se sono uno a cui piace vivere nel mondo pratico, nel mondo sensuale, che l’eremita è matto. L’eremita può dire che io mi disperdo nel mondo e sono un matto. L’aggettivo matto che si dà al pensiero degli altri, diverso dal nostro, è un aggettivo sbagliato. Nel senso che ci sono tanti modi di pensare, tanti modi di agire, che vanno esaminati senza questi pregiudizi. Infatti io sono completamente d’accordo, con Thomas Szasz, che la psichiatria non debba esser riformata: deve sparire, perché è un attentato alla cultura.
S’era parlato di Dante (‘l Gazetin, giugno-luglio 2014), parliamo ora di Szasz. Thomas Szasz è un ungherese nato nel 1020, di famiglia ebraica. I suoi genitori sono venuti via dall’Europa nel ’33, quando Hitler è salito al potere, prima quindi di arrivare a organizzare lo sterminio degli ebrei. Sono andati in America con il figlio. Szasz si è poi laureato in fisica e in medicina e io una volta ho avuto occasione di chiedergli: “Ma perché la laurea in fisica? Che c’entrano le due cose insieme?” Uno può laurearsi in quello che vuole, ma io volevo saper perché…Allora mi ha detto che si è laureato in fisica perché, giunto in America, non trovava un’università americana che accettasse gli ebrei per gli studi di medicina e ne ha trovata una che l’ha accettato in fisica. Così si è laureato in fisica. Poi, a Cicinnati, ha trovato una facoltà di medicina che lo ha accettato anche se era ebreo e ha conseguito la seconda laurea.
Ora, perché dico questo? Perché mi sembra interessante il fatto che sia stato un ebreo, per la prima volta al mondo, ad aver capito che la psichiatria sia una truffa e un crimine. Mi sembra che sia interessante, se si pensa a quello ch’è successo! I campi di concentramento sono stati imitati e organizzati sulla base di com’erano fatti i manicomi, non il contrario. Szasz, dopo aver esaminato attentamente il mito della malattia mentale, della psichiatria, dice che i giudizi psichiatrici sono arbitrari e falsi. Arbitrari perché? Perché se di uno si può dire che è matto o non è matto come si vuole. Per esempio l’omosessualità: da Freud in poi gli omosessuali sono stati considerati malati di mente e questo è continuato anche nel manuale americano, il famoso DSM Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Per tanto s’è scritto che l’omosessualità fosse una malattia, poi un giorno, a una riunione degli psichiatri americani, uno di loro si alza e dice: “Ci sono molti tra di noi che sono omosessuali”. Allora hanno discusso e hanno cancellato l’omosessualità dalle malattie. Ora è chiaro, è intuitivo che l’omosessualità non sia una malattia, però l’hanno cancellata per interesse loro. Ma vi immaginate a un convegno sui tumori che ad alzata di mano decidono se un tumore allo stomaco è una malattia o no? E’ una cosa che fa ridere, e invece lì, nelle riunioni per il DSM, ultimamente, hanno deciso che il narcisismo è una malattia, per alzata di mano, a maggioranza.
Poi usano sempre parole che non si sa che cosa vogliano dire. Non si sa cosa vuol dire, però comunque… se uno mi sembra troppo affezionato a se stesso, gli do il cartellino di “malato mentale”, lo sbatto dentro, gli faccio l’elettroshock. Mi ricordo quando sono arrivato a Imola nel 1973: Edelweiss Cotti era già arrivato qualche mese prima e aveva tolto la macchina dell’elettroshock. Lì, fino ad allora, al reparto osservazione facevano l’elettroshock agli omosessuali. Ecco che cos’è la psichiatria: un giudizio arbitrario. E allora smettiamola e ragioniamo in termini concreti sul pensiero e le azioni degli uomini cercando di capirne il significato. Se uno uccide ne risponde alla legge, che decide perché l’ha fatto, se ci sono le aggravanti o le attenuanti; se uno ruba è lo stesso. La psichiatria non c’entra nulla coi tribunali, deve sparire. Perché fintanto che c’è, confonde le idee e rende tutto più difficile.
A volte si dice: “Questa persona ha commesso questo crimine perché quando era bambino ha subito degli abusi” (prendi l’esempio della pedofilia). E per questo viene giudicato come ammalato mentale. Perciò possiamo distinguere due gruppi: le vittime di crimini e gli autori di crimini, che a loro volta – vien detto – possono aver subito abusi… Si crea un po’ di confusione: la psichiatria tratta “vittime” ma tratta anche soggetti che commettono crimini…
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Pubblicato il 27 January, 2015
Categoria: Testi
“A chi lo fanno il TSO” – Eugen Galasso
In una (bella, ben curata, peraltro) antologia di testi del grande poeta e scrittore romantico Gerard de Nerval (1808-1855) trovo tuttora, nella nota biografica, l’indicazione “les crises de folie se font plus fréquentes” (non c’è bisogno di traduzione, direi) e la nota è replicata in tutte le altre edizioni di opere nervaliane che possiedo (sono recenti, ben curate, della “Gallimard”, casa editrice di grande importanza). Sarebbe il motivo (per gli estensori di introduzioni a opere letterarie e altre) che l’avrebbe spinto al suicidio, come Schumann, ma anche altri, romantici e non. Un vero scandalo, per la nostra sensibilità anti, a-psichiatrica, ma proseguono le barzellette (di livello sottozero, ammesso che l’espressione regga…) sui “matti”, la volontà di controllare i/le pazienti psichiatrici/che, che sarebbero potenziali assassini(e)… Una società che impone il massimo del profitto, il “pareggio in bilancio”, lo Stato Forte, il controllo onnipervasivo, ha paura di tutto ciò che sfugge o può sfuggire al suo controllo: chi pensa e si comporta “diversamente”, come ricorda sempre molto opportunamente Giorgio Antonucci, è sempre a rischio di internamento, di reclusione, dove in Italia, nonostante i “passi avanti” (molto relativi e discutibili, certo) della legge 180, erroneamente denominata “legge Basaglia”, rimane la “spada di Damocle” del TSO, che prevede il ricovero coatto in struttura psichiatrica… Di recente, una persona non del tutto disinformata mi chiedeva: “Ma a chi lo fanno il TSO?”sottintendendo “a nessuno, praticamente”, il che non è vero. Ma pregiudizi e disinformazione sono duri ad essere sradicati e su ciò “marcia” e continua a proliferare il potere (strapotere) psichiatrico.
Eugen Galasso
Pubblicato il 20 January, 2015
Categoria: Testi
L’ infinito – Giorgio Antonucci
Pubblicato su “Senza confine”, 1992
Dire 1000 anni luce per un matematico è come dire un chilo di pane.
L’ astrazione è la stessa e anche il processo mentale. Ma se invece uno pensa in termini che una volta si sarebbero detti di filosofia naturale, o se uno corre con la fantasia o naviga con l’immaginazione, allora arriva la vertigine, quella che afferrava Pascal e Leopardi, o che preoccupava Cartesio e Spinoza.
Allora girano nella testa ‘le fughe’ di Bach.
Ora dicono che a 1300 anni luce vi sono altri pianeti che ruotano intorno a una stella lontana, che pulsa negli spazi.
E io corro col pensiero e trovo la solitudine, e mi perdo.
Eppure la solitudine più grande è l’odio tra gli uomini, con la nostra ferocia di assassini, con il nostro fanatismo di ottusi, paurosi di ogni novità e chiusi alla luce come sepolcri.
Assistiamo all’esecuzione di un uomo che brucia sulla gratella come una bistecca, o al bombardamento di una metropoli che invoca soccorso dal cielo come Gerusalemme nei giorni di rovina, e torniamo a parlare di affari, di realismo politico, e di ordine costituito, come custode della nostra tranquillità di privilegiati, soddisfatti di vivere sulla morte degli altri.
Tra le persone da me liberate dalle celle psichiatriche a Imola ricordo una donna che, come gli psichiatri volevano, aveva identificato la sua femminilità e i suoi desideri con una forma di alienazione o malattia di mente, e diceva con candore “Io sono schizofrenica perché mi piacciono gli uomini”.
La storia vera è che era stata internata per coprire lo scandalo e salvare l’onorabilità della famiglia dopo essere stata violentata dal padre con la madre silenziosamente complice.
E ormai da anni pensava con la testa degli altri.
Prima del mio arrivo era vissuta in cella per trent’anni di continuo.
Anche ora i ricoveri nei ‘Centri di diagnosi e cura’ nascondono storie come questa, o altre storie di moralismo, che una volta erano nascoste dai roghi delle streghe.
Il fatto è che le società moralistiche non possono sopravvivere senza ipocrisia, e l’ipocrisia ha bisogno di vittime come capri espiatori.
In una visita di un mese fa a ‘Santa Maria della Pietà’ a Roma, insieme al presidente del Centro di ecologia umana della Lega Ambiente, Alessio Coppola, ho veduto nel grande recinto del vecchio manicomio della capitale persone abbandonate o sorvegliate, terrorizzate o legate ai letti, seguite a vista o rinchiuse, dopo più di dieci anni da una legge che pretendeva di dare il via e aprire la strada al superamento dei manicomi.
Dopo siamo andati a trovare in una borgata della periferia un giovane di ventidue anni mutilato a una gamba per essere rimasto immobilizzato in un letto di contenzione che ha preso fuoco.
La sua storia psichiatrica era cominciata a diciassette anni con la tristezza naturale e fisiologica di una delusione d’amore.
Così mi ha raccontato lui stesso e mi hanno confermato i genitori.
Nella malinconia delle metropoli, tra uomini opulenti e disoccupazione, non solo non è ammessa la rivolta, ma è vietata ogni forma di sensibilità, perché tutto funzioni a perfezione.
Intanto i legislatori puntano su nuove forme di controllo e i farmacologi su nuove sostanze per paralizzare il cervello, e il desiderio di libertà è considerato pericolosa utopia.
Scriveva Daniil Charms (morto in un ospedale psichiatrico nel 1942 per mano di Stalin): ‘Komorov e l’artista Michel Angelo si siedono sull’erba, e se ne stanno seduti sull’erba come dei funghi. Si tengono per mano e guardano il cielo. In cielo intanto prende forma un enorme cucchiaio. Cos’è mai? Nessuno lo sa. La gente corre a chiudersi in casa. Chiudono porte e finestre. Ma può forse servire a qualcosa? Macchè! Non serve a niente”.
Vedo una terra
dietro la luna
che risplende
in un sogno di gioia.
Giorgio Antonucci, Firenze, febbraio 1992
Pubblicato il 14 January, 2015
Categoria: Testi
Psichiatria come repressione giustificata – Incontro di Lucha Libri
Proiezione: “Gli occhi non li vedono” di Maria D’Oronzo
Pubblicato il 11 January, 2015
Categoria: Notizie
Il pregiudizio spacciato per verità – Eugen Galasso
Chi scrive, essendo anche “critico letterario”, riceve molte pubblicazioni, anche di poesia e varia umanità. In una di queste, “Il Convivio”, Anno XV, luglio-settembre 2014 n.58, p.95, una notizia dalla Sicilia (Motta Camastra) parla della depressione, con un convegno colà svoltosi, con la citazione testuale seguente, da una relazione della responsabile del centro “Lanterna bianca”, che pare opportuno riportare per esaminarla: “(si deve prendere coscienza di quanto) sia importante prendere coscienza e conoscenza di cosa sia la malattia psichica e delle devastanti conseguenze all’interno della famiglia”. Seguono roboanti descrizioni, riferite al “baratro della totale solitudine interiore” etc. Ma, in questa sequela di pregiudizi spacciate per verità, non si dice che “le devastanti conseguenze all’interno della famiglia” come anche nel singolo derivano solamente dai pre-giudizi invalsi, di origine sempre e unicamente sociale. C’è una falsa “norma” inculcata e tutto ciò che ne sta al di fuori è “anormale”, magari “aberrante”: facile che a tale visione inculcata si adattino le famiglie, microcosmo sociale sempre e comunque tendenzialmente repressivo (“Famiglie, vi odio” diceva non certo sempre a torto Jean-Paul Sartre), se non in casi eccezionali e come tali felici ma anche i singoli “depressi”, costretti ad adattarsi da “congiure” più o meno “soft”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 3 January, 2015
Categoria: Testi