Il concetto di follia messo in discussione già all’inizio del 1600 – Eugen Galasso
Già nel 1600 il concetto di certezza riguardo alla follia era tutt’altro che assodato: la rigida partizione (dualismo) di René Descartes (Cartesio) tra anima e corpo, chiaramente, comporta che vi siano malattie del corpo, ma…dell’anima? Più difficile riscontrarle, quantomeno. C’è poi un testo, che tutti (o quasi)considerano giustamente il primo romanzo dell’età moderna, il “Don Quijote”di Miguel de Cervantes Saavedra, nel quale la “follia” presunta del protagonista è invece la riaffermazione di un’epoca e di ideali ( valori, se volete e ci tenete) perduti in epoca “borghese”- mercantile, ma c’è anche una novella “ejemplar” (esemplare) dello stesso Cervantes, “El licenciado Vidriera” (in italiano “il Dottor Vetrata”, in cui un giovane studioso, a causa di un intruglio amoroso confezionato da una fattucchiera “morisca” (musulmana, convertita a forza al cristianesimo, condizione “normale” nella Spagna dell’Inquisizione) diviene “folle” e si crede di vetro, ma inizia a sparar sentenze, non certo sciocche…anzi. Alcune osservazioni: il “filtro” che l’amante ignorata commissiona alla morisca sa di meccanicismo, ma sappiamo come gli psicofarmaci creino un “trouble cerebrale”, per non dir altro, quindi l’idea non è così peregrina. Poi: quella dell’uomo di vetro è un’allegoria, chiaramente, di un uomo (intellettuale o meno, ma soprattutto nel primo caso) che si chiude in sé (introversione estrema, al limite dell’autismo, direbbe il solito psichiatra…), perché “fuori” trova sola sciocchezze, ma in questo caso risponde alle domande in modo “intelligente” (chi scrive non crede alla “saggezza”, dunque dirà solo “intelligente” ) o un simbolo, come tale polisemico, dai molti significati cui può rimandare. Dunque “El licenciado Vidriera” è non “folle”, ma uno che vuol dire le cose senza essere sempre disturbato-contraddetto, semmai. Del resto, quando torna allo stadio che qualcuno (il buon borghese incapace di vedere oltre il proprio naso, diciamo così) chiama “normale” e prova a fare l’avvocato, non ha successo ed è costretto a tornare nelle Fiandre (dov’era stato da giovanissimo studente) a fare il “soldado” (militare, dove si sa che all’epoca c’erano solo soldati “di ventura”, cosa che fu Cervantes come anche Descartes, anch’egli citato sopra). Ecco allora che ogni certezza viene qui messa in scacco: del resto anche Pedro Calderòn de la Barca nel suo “La vida es sueno” (La vita è sogno) e siamo un po’ dopo Cervantes ma sempre nella prima metà del 1600 ice: “?Qué es la vida?Un frenesì/?QUé es la vida?Una ilusiòn, /una sombra, una ficciòn, (un’ombra, una finzione)/y el mayor bien es pequeno (il maggiore invero è piccolo),/que toda la vida e sueno, /y los suenos suenos son”. Ho tradotto solo quanto forse non è chiarissimo, mentre il resto va da sé, scusandomi perché il computer ora non mi consente il punto di domanda rovesciato all’inizio, come non mi consente la “cedilla” per la “n” di sueno, oltre a qualche accento “diverso”. Come si vede, una bella sfida al “buon senso comune” che in genere non capisce nulla o, come direbbe il pastore-giudice-politico, “non c’azzecca”. Per dirla con un altro grande Seicentista, WIlliam Shakespeare “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia” (There are more things in heaven and earth , Horatio, Than are dreamt of in our philosophy” (Hamlet, Atto I°, scena quinta).
Eugen Galasso
Pubblicato il 29 October, 2012
Categoria: Testi
Eretico, empio, sovversivo – Eugen Galasso
Da sempre chi “traligna”, non nel senso di delinquere, ma di avere idee e comportamenti “difformi” da quella grigia “medietas”, che è considerata la “norma accettabile”, viene bollato come “eretico”, “empio”, “sovversivo”, “nemico dello stato “, “nemico del popolo” etc. Le diverse definizioni “condannanti” dipendono dal clima cultuale, dal tempo etc. Dire “empio”, “nemico di Dio” etc., per es., in molte civilità occidentali è ormai cosa desueta, sorpassata (per quanto, qualche fanatico religioso anche impegnato in politica, riproporrebbe “tranquillamente” la condanna, magari anche facendola eseguire…), ma la situazione è diversa in molte realtà teocratiche. Ma in Occidente il “sovversivo”, a diverso titolo, fa ancora paura… incute terrore, bisogna quindi sbarazzersene: ecco allora che, se non è possibile procedere alla “reclusione diretta”, quella del carcere, perché “non ci sono gli estremi”, si procede a quella “reclusione indiretta” che si attua in clinica psichiatrica o simili… Stupisce e sconcerta che, per i responsabili (o ritenuti rei) di certi reati si voglia procedere all’infermità o semi-infermità mentale, quasi ciò creasse una situazione migliore, per il reo o presunto tale. La reclusione “manicomiale” (certo: sulla carta il “manicomio” non esiste più, come tale, ma… per usare una sottigliezza filosofica, verrebbe da dire “non esiste”- cioè non si manifesta come tale – ma “c’è”, come idea ma anche come prassi repressiva, spesso solo “apparentemente” diversa. Nelle cliniche (ma avviene anche nei reparti psichiatrici di alcuni ospedali, dove nel corso del tempo il “Centro di relazioni umane” ha anche segnalato singole situazioni) nelle quali si praticano elettroshock o shock insulinico, in cui si danno psicofarmaci à-go-go, con la nonchalance tipica di chi della salute del “paziente” se ne fotte allegramente (non appare possibile neppure usare un altro verbo, in quanto quello qui usato descrive meglio, anzi forse solo adeguatamente la situazione), il tutto viene proposto in modo “più soft”, ma le cose non sono mai come sembrano… o meglio sono in realtà molto peggiori di come sembrano . Una decina di anni fa, anzi un po’ prima, quando l’allora ministro della Salute (allora Sanità) Maria Rosaria Bindi, alias Rosy Bindi, in quanto esponente (allora) dei “Democratici di Sinistra”, sostenne l’elettroshock, venendo appoggiata da quasi tutto il partito (il “grande capo” Max D’Alema, che caldeggiò un attacco aereo contro la Federazione jugoslava, certo non si distingueva per “rispetto dell’altro”, anzi), anche in un dibattito TV, all’allora “Costanzo Show”, contro il dottor Giorgio Antonucci. Quasi l’una persona potesse compararsi con l’altra… Ho citato un antecedente, non per mera “mania storica”, ma per dire di come certi interessi, ma anche certe “convinzioni” siano radicate non solo nelle persone intese indiscriminatamente, ma anche nei partiti che certuni ritengono (a torto) depositari di progresso e di “aperture”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 14 October, 2012
Categoria: Testi
Thomas Szasz in memoriam – Eugen Galasso
“La norma è una ragazza che abita a Brooklyn”: questa la risposta fuliminante data da Tomas Istvan Szasz (poi anglicizzato in Thomas Stephen Szasz), antipsichiatra e filosofo, a chi gli chiedeva di definire che cosa sia la norma. Credo sia una frase esemplare del suo modo ironico (la tradizione yiddish era ben presente a Tomas, ebreo ungherese, nato a Budapest nel 1920, venuto negli States con la famiglia nel 1938, laureato in fisica e in medicina, docente per anni – fino al 1990 – di psichiatria all’università di New York), autore di opere formidabili e assolutamente cruciali quali “Il mito della malattia mentale”, “Schizofrenia. Simbolo sacro della psichiatria”, “Il mito della psicoterapia”, “Legge, libertà e psichiatria” (per citarne solo alcune delle più famose, la bibliografia di Szasz implicherebbe pagine intere, già da sola, di per sè). Credo si crei, con Szasz, un vero “spartiacque” tra le concezioni dominanti “prima” (anche se, in realtà, incrinate ab ovo, fin dall’inizio) e quelle affermatesi “dopo”: un comportamento, anzi diremmo meglio modalità di comportamento “disturbanti” (che cioè disturbano il “buon senso” piccolo-borghese e borghese, la morale introiettata etc.) vengono tout court classificate quali “malattie mentali” e quindi “sanzionate” da un “Therapeutic State”, da uno Stato terapeutico, da uno Stato “teocratico” ma “laicizzato” che condanna chi “sgarra”, ossia chi non vuol “portare le catene” del buon senso e della morale correnti, appunto… Una malattia, in quanto tale, dovrebbe essere, ci dice (e soprattutto dice “loro”, cioè ai “padroni della psichiatria”) Szasz, dev’essere “misurabile” (in termini, evidentemente “quantitativi”) e “verificabile” (ossia, per es., osservabile/ verificabile post mortem), dove, chiaramente, funzionano i criteri epistemologici affermatisi da Bacon e Galilei, più ancora da Newton in poi, che hanno influenzato quelle rotture epistemologiche (un termine che, mutuato dall’epistemologo Thomas Kuhn, che parla di “slittamenti di paradigma”, viene assunto e reso canonico da Louis Althusser nelle sue opere, dedicate però alla filosofia di Marx, riscontrata soprattutto nella grande opera economica, “Lire le Capital”, “Leggere il Capitale”). Se Cesare Lombroso era convinto di ritrovare alterazioni fisiologiche nella conformazioni craniche dei “folli” (artisti, intellettuali, possono solo essere “folli”, cioè superiori di qualche gradino) e dei “pazzi” (di rango inferiore) e se concezioni simili dominavano il meccanicismo dominante nell’Ottocento, tale concezione s’era poi persa, in quanto si era rivelata clamorosamente fallimentare (il che non toglie che, qua e là, risorgano neo-lombrosiani, come risorgono “neo-qualcosa” in ogni luogo e in ogni tempo), oggi anche proprio il “cimento”, ossia l’osservazione e la verifica, meglio la “falsificazione” (Karl Raimund Popper) dimostrano che nulla distingue i cosiddetti “malati psichici” dai “sani”, il che prova a fortiori l’assunto di Szasz. Szasz, libertario, senza essere per nulla favorevole all’uso delle “droghe”, riteneva che il “proibizionismo” dominante a riguardo in quasi tutto il mondo fosse deleterio, inducendo a un consumo immotivato, creando della “droga” un mito come succedeva/succede con la “malattia mentale”. Né Szasz è mai rimasto nel'”Olimpo” della teoria, divenendo, anzi un combattente per la libertà: costituendo la Citizen Commission on Human Rights (Commissione civica per i diritti civili), emanazione (non diretta, però, non dipendente, insomma, trattandosi di un’associazione laica) della “Scientology Church”, ha fatto in modo che si possano segnalare i casi di “violenza di Stato” sulle persone, quelli che a livello italiano (altrove il termine che designa la cosa è differente, il senso però lo stesso) si osservano nei casi di “TSO” (trattamento sanitario obbligatorio), quando una persona viene costretta a ricoverarsi nel Reparto Psichiatrico di un Ospedale, con conseguente “somministrazione” di “tecniche psichiatriche” quali elettroshock e, nel migliore dei casi, psicofarmaci “a volontà” (ovviamente degli psichiatri, però). La teoria e la prassi di Szasz rimane un punto di partenza (e finora d’arrivo) assolutamente insostituibile e inarrivabile, il che non vuol dire trascurare altri apporti fondamentali. In Italia, però, il dott.Giorgio Antonucci a livello operativo e teorico (le opere di Antonucci, oserei dire, partendo da un background intellettuale, culturale, esperienziale diverso ma convergente con l’esperienza di Szasz, tanto che in due occasioni, a Milano nel 1997 e nel 2003 a Los Angeles Antonucci ha ottenenuto riconoscimenti dalla citata “Commission”, compreso quello del 2005 per “meriti eccezionali nella lotta contro lo Stato terapeutico”, nel quale o meglio attraverso il quale emerge un’affinità, anzi una vera sintonia nel pensiero e nella sua formulazione tra i due operatori e studiosi, non sono meno importanti anche se numericamente finora minori di quelle szaziane) e in genere il “Centro di relazioni umane”, coordinato dalla dottoressa Maria Rosaria D’Oronzo fanno un lavoro non meno importante, tenendo alto il ricordo (ora recente, essendo scomparso il grande antipsichiatra lo scorso 8 settembre) di Szasz.
Eugen Galasso
Pubblicato il 13 September, 2012
Categoria: Testi
Un ventenne morto in un “casa protetta”- Bologna – Eugen Galasso
A fine agosto a Casalecchio di Reno (Bologna) è morto in una casa-famiglia, struttura “protetta”, un ragazzo ventenne che la stampa definisce senz’altro “sofferente di problemi psichici”, dando per assodato che questi esistano, ma qui il discorso sarebbe un altro e ci porterebbe lontano, come noto, sui fondamenti stessi di una “disciplina”, la psichiatria, che, non essendo scienza, si erge ad essa, divenendo “ideologia” nel senso marxiano, cioè falsa coscienza che però pretende di spiegare tutto, ogni ambito del reale, quindi triste illusione e inganno, nonché, spesso, autoinganno da parte di chi la pratica. Circostanze precise della morte non sono note: si parla di “asfissia meccanica” (espressione tecnica della medicina, in specie legale, ovviamente) per indicare un probabile soffocamento, indotto (così sembra) dagli operatori dell’associazione che gestisce il tutto, per “sedare” un attacco di “rabbia” (quasi la persona fosse un cane idrofobo o “rabbioso”…). La rabbia (quella degli “Angry Young Man”, “giovane arrabbiato”, espressione usata per descrivere la rabbia della gioventù di altri tempi, dopo un dramma di John Osborne di più di mezzo secolo fa) è sacrosanta, come emozione e poi, se rielaborata, come sentimento, ma ha sempre delle cause, cioè non nasce per nulla e dal nulla. Ma le cause non si vogliono identificare né colpire e il morto in più è considerato un “accidentale”, un incidente in una lunga teoria di “benefattori”, che purtroppo incontrano “ostacoli”, tra cui “chi non si piega alle loro amorevoli cure” etc. Dire di più sarebbe inutile, ma gioverà ricordare che in un’epoca di “sforzi titanici” per il “rigore” (ormai valore indiscusso) che vorrebbero 60 milioni di persone prone al volere del “lìder maximo”, queste “mele marce” e “coscienze infelici”, per molti/e vanno semplicemente “ridotte alla ragione” con ogni mezzo. Questa la logica, assurdamente disumana, che però sta dimostrandosi “vincente” nella logica di un produttivismo ormai solo finanziario ed economicista, dove anche il secondo termine viene soppresso dal primo.
Eugen Galasso
Pubblicato il 2 September, 2012
Categoria: Testi
Giorgio Antonucci una volta, ora e sempre.”Dossier Carlo Sabattini” – Eugen Galasso
Qualche volta ritrovare vecchi testi, oltre a un interesse filologico e storico, può voler dire avere piacevoli sorprese: ritrovo, per puro caso (non è piaggeria, non è un trucco né una “maniera per dire nascondendosi” ) un vecchio numero di una rivistina (non per il contenuto, bensì per la veste grafica, non eccelsa) che non esiste più, “CRAN” (Cristianesimo anarchico), Anno X°, numero 2, Aprile-Giugno 1985 (la stampa, però, dev’essere un po’ posteriore, perché contiene testi di fine giugno di quell’anno), che è dedicata dal dossier su Carlo Sabattini, contadino del Modenese (di Nonantola, per la precisione), allora candidato verde (e poi eletto) per il suo comune, che aveva denunciato vari fatti legati a dissesti idro-geologici, all’inquinamento ambientale etc., facendo nomi e cognomi di lobbies e loro responsabili. Ebbene, per tutta risposta, in seguito alle sue accuse, peraltro molto circostanziate, Sabbatini era finito…in manicomio. In quell’occasione, la dottoressa Paola Cecchi aveva intervistato (a pp.25-27 della rivista citata) il nostro amico Dott.Giorgio Antonucci, allora primario dell’Ospedale Psichiatrico “Osservanza” di Imola nonché uno dei quattro psichiatri periti di parte della difesa di Sabbatini. Giorgio attesta come Sabattini fosse stimato (per questo era stato eletto), come godesse di credito presso le banche (era “solvibile”, cioè), poi, per induzione, passando cioè dal particolare all’universale, ricorda che ” Non è una novità che la psichiatria si serva dei suoi strumenti per eliminare i cittadini in dissenso” (p.26 della rivista citata), che ciò avveniva sia in Occidente sia in Unione Sovietica (allora, fino al 1991, esisteva) che “la verità è che ciò avviene anche da noi…La psichiatria è nata storicamente proprio come strumento repressivo contro il dissenso” (ibidem). E spiega ancora come la teoria di Cesare Lombroso, esempio lampante del meccanicismo psichiatrico (indice frontale, conformazione cranica etc.) fosse ad un tempo psichiatrica (non”psicologica”) e sociologica, appunto perché, analizzando i “caratteri” di “delinquenti” e “criminali”, li condannava, anzi “dannava” forever… Ma tra i “criminali” o meglio molto vicini agli stessi, secondo Lombroso, c’erano i “profeti” (come il “Cristo dell’Amiata” David Lazzaretti, singolare esempio di messianismo sia religioso sia politico), i “ribelli”, cioè, complessivamente, i non-conformisti. Un dissenso politico ed economico, quello di Sabbatini, dunque, per una psichiatria ancora in gran parte lombrosiana (allora ma anche oggi) che dimostra “che in realtà l’intera economia si sviluppa a scapito degli interessi collettivi e a svantaggio del mantenimento dell’equilibrio naturale e della salute dei cittadini” (ibidem). Arma politico-sociale per il mantenimento dell’ “attuale stato di cose”, dunque, per reprimere ogni critica del dissenso e della critica, alla faccia della sempre strombazzata “democrazia” (p.27; “Il pozzo di San Patrizio della vostre democrazie”, urlava Léo Ferré). Ancora, sempre sul versante “generale” Antonucci dice, in quest’intervista: “Quelli che mi conoscono o che conoscono il mio lavoro sanno che ho sempre sostenuto e sostengo che la psichiatria non è una scienza. Secondo me la psichiatria è stata costruita apposta per eliminare le persone scomode” (ibidem) e ne fa 3 esempi tipici (e direi anche tòpici): “il dissidente, il disoccupato, il mendicante”(ibidem). Infine (come del maiale, e mi scuso per il paragone ma neppure troppo-ne “La morte della famiglia” Cooper parla di avvicinamento a Dio della suinità, a proposito delle note bestemmie… di Antonucci non si deve buttar via nulla) Antonucci smonta la diagnosi, appioppata a Sabattini, di “altruismo morboso”: “Sfiderei chiunque a spiegare il contenuto di questo concetto” (testo cit., p.28). Ci provo, malamente, io: chi rompe “le scatole”, occupandosi della collettività , va escluso-rinchiuso. Ora e sempre Giorgio Antonucci!
Eugen Galasso
Pubblicato il 29 August, 2012
Categoria: Testi
Segreto di Stato – Eugen Galasso
Chi scrive, il giorno 30 luglio scorso, ha assistito al film (documentario, meglio) “Un solo errore. Bologna 2 agosto 1980” di Matteo Pasi (regia) e Massimo Carreri (soggetto e sceneggiatura). Eccelso documentario su una strage irrisolta, come quella del 69, quella di Brescia (1974), quella dell’Italicus (sempre del 1974), quella di Ustica (1980, di poco più di un mese precedente a quella di Bologna), quella di Firenze in via dei Georgofili a Firenze (1993), di matrice mafiosa, ma anche con connessioni politiche, come quelle che uccisero Falcone e Borsellino nel 1992. Non è un caso da “CSI” (telefilm che mi fa orrore, difatti non ne ho mai visto uno), certo, neppure da Sherlock Holmes (che invece adoro, ma questo al lettore non interessa, giustamente). Stragi “assurde” o meglio indagini irrisolte “assurde” (una “teoria”, ossia una serie di indiziati, forse “colpevoli”, certo testimoni, ovviamente di fatti e accadimenti, che si succedono senza soluzione di continuità, senza che si possa individuare un rapporto logico di implicazione a-b-c), anche “stragi grottesche”o meglio (ancora una volta) situazioni d’indagine relative, che contengono flagranti contraddizioni, testimonianze tragicamente comiche (mi si scusi per l’ossimoro, che però s’impone), dichiarazioni rimangiate. Ma anche qui, come in ogni altro campo, non c’è spazio per “follia”. “Folli”o “pazzi” non sono né i presunti colpevoli, non lo sono i testimoni che si contraddicono volutamente o meno, non lo è nessuno. Persone tragicamente determinate o invece, in altri casi, semplici pedine condizionate. Ancora una volta “assurda” una logica giudiziaria e ancora una volta storica e politica che si perde in arzigogoli, in lungaggini, che accampa un “comodo” “segreto di Stato”…
Eugen Galasso
Pubblicato il 8 August, 2012
Categoria: Testi
Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia – Eugen Galasso
Contrariamente a vari documentari recenti sulla questione OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) di taglio giornalistico o anche quasi-storico, di indubbio rilievo, ne gira uno (non ben identificabile quanto ad autori e committenti), che cerca di dimostrare che, tutto sommato, c’è di peggio, anzi di molto peggio. Una musica “carezzevole” quanto insignificante, decisamente non “problematica” (anche il sound-track, il commento sonoro può esserlo), che, certo, non riesce a nascondere l’esistenza delle sbarre, ma per il resto dà l’impressione di “normalità”, ammesso che quest’espressione voglia dire qualcosa. Non c’è commento parlato, ma per il resto si vede l’ambulatorio, la biblioteca, l’adiacente pollaio (sporchetto, invero; qualunque cosa si voglia dimostrare, qualche volta le immagini tradiscono obiettivi e finalità o almeno li ri-mettono in discussione), poco altro, salvo il rito domenicale (cattolico, ovviamente, non altro) e poco altro. Non proprio un’esplicita apologia (sarebbe anche impossibile, trattandosi di un “documento” non rivendicato con tanto di firma etc.), ma sicuramente un’operazione giustificazionistica. Da valutare quando queste operazioni “girano”e vengono inviato via mail (è il caso in questione) sono spacciate per documentario che riproduce la “realtà”. “Realtà” è un lemma comunque difficile da definire, ma senz’altro, se ne accettiamo la definizione corrente, la rappresentazione qui riscontrabile è altro, rispetto alla realtà, appunto.
Eugen Galasso
Video in questione nel testo:
http://www.youtube.com/watch?v=T8qB8EFq2dE
Pubblicato il 16 July, 2012
Categoria: Testi
Manicomi e località protette per religiosi/e in crisi vocazionali. – Egen Galasso
“Chiunque si adiri con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al suo fratello stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna”(Matteo 5,22). Breve commento di chi è “credente in altro”, ma ha una formazione anche teologico-esegetica: il “fuoco della Geenna” non è l’inferno (scrivo il lemma minuscolo, non a caso) della tradizione mitologica, genialmente ampliata anche in Dante, ma quella, appunto, è…Mitologia. Né il “giudizio” è quello universale, ma quello della comunità dei “fratelli”. L’offesa e la violenza erano grave colpa (più che “peccato”…), per il cristianesimo delle prime comunità, quelle il cui pensiero e comportamento è ancora espresso in Matteo o meglio nell’Evangelista cui convenzionalmente si dà il nome di Matteo. Ma dopo…Condanne anche a morte di eretici e pagani (La vergine Ipazia, ma anche gnostici, manichei, monofisiti etc.), “streghe” e “maghi” bruciate/e sul rogo, Crociate, Guerre di Religione. I cattolici forse un po’ peggio degli altri, ma anche gli altri…Lutero, traduttore in lingua moderna dei testi ebraici, era poi anti-semita, sostanzialmente… Ma guardiamo al lemma “pazzo”. Che cosa hanno fatto le chiese, hanno bandito chi dava del “pazzo” al fratello? No, hanno benedetto (salvo alcune persone, “illuminate”, che però costituiscono un’eccezione, non certo la regola) manicomi et similia. Preti o religiosi(e) che entrino “in crisi” vocazionale, che manifestino “passioni del tutto naturali” (ma la chiesa cattolica non le ammetterà mai come “naturali”) vengono, dicitur, ma sembra proprio sia così, “inviate per un periodo di riposo” in “località protetta”, che il lettore può facilmente immaginare quale sia… “Lugar escondido”, luogo nascosto, celato, in qualche modo a “insane curiosità”. A parte la (invero scarsa) letteratura disponibile sul tema (capiamo anche perché…), si noleggi o veda su qualche canale TV quello strano (e di scarsissimo successo, credo) film di Damiano Damiani che si chiama “Il sorriso del grande tentatore”… Se ne ricaverà qualche informazione non da poco, anche se il linguaggio è metaforico e un po’ cripitico…
Eugen Galasso
Pubblicato il 8 July, 2012
Categoria: Testi
David Servan-Schreiber – Contraddizioni – Eugen Galasso
David Servan-Schreiber, in un bestseller che viene ripubblicato postumo in traduzione italiana, “Anticancer” (2007, Paris, Laffont, 2010 in seconda edizione, completamente rivista e “corretta” come si suol dire, trad. italiana 2008, 2001, Milano, Sperling & Kupfer, ora ancora su licenza della casa editrice citata by Cairo, Milano, 2012, allegato a “Natural Style”), espone le sue riflessioni ma anche la “prassi terapeutica” seguita dopo la sua esperienza quale malato di tumore cerebrale maligno particolarmente insidioso (una recidiva lo ha condotto alla fine, appunto, a fine luglio 2011). “Neuroscienziato” e “psichiatra” in senso proprio (come tale operava presso varie cliniche universitarie degli States). Psichiatra “umanista” (è un erede della psicologia “umanistica” e “transpersonale” di Maslow, che cita ripetutamente nei suoi libri, contamina la sua “clinica” con lo sciamanesimo, la medicina ma anche la filosofia orientale – e in Oriente i confini tra le due discipline sono da sempre poco netti, talora molto sfumati se non inesistenti), Servan-Schreiber anche in questo libro lascia consigli interessanti e utili, anche ma non solo sul piano dietetico (a parte il riferimento al karaté per i “terminali”, ma la proposta terapeutica è mutuata da un altro studioso) per prevenire e combattere il cancro, ma lo fa come medico e come studioso, non come “psichiatra”, sia detto con chiarezza. E, per essere chiari, la voce dello psichiatra non la sentiamo praticamente mai, se non quando ( a pp. 243-244 dell’edizione citata per ultima, quella del 2012): “Feci semplicemente il mio lavoro di psichiatra: chiesi alla donna quali erano stati gli eventi più recenti della sua vita…Dato che la donna avrebbe lasciato l’ospedale il pomeriggio decisi (sic! Senza meno, lo psichiatra decide, sic est, sic manebit! Nota mia, ovviamente) di sottoporla alla EMDR (é Eye Movements Desensitization and Reprossing, ossia la stimolazione dei movimenti oculari, ancora nota mia)”. Ho ridotto la citazione per ovvi motivi di spazio, ma, dopo la crisi, in cui la paziente, sofferente di disturbi bronco-asmatici, con “sospetta componente psico-somatica” (sic!), durante la quale la signora rievoca la morte del marito per infarto, avvenuta sotto suoi occhi una settimana prima dell’inizio delle sue crisi bronco-asmatiche… Durante l’EMDR il terapeuta le chiede di fissare la terribile immagine continuando a fare i movimenti con gli occhi, la donna lancia un urlo e poi afferma: “E’ tutto finito: l’immagine è scomparsa”. Questo stando, certo, al racconto di Servan-Schreiber, dopo di che (sempre ipse dixit…) le crisi di soffocamento sarebbero sparite e lei non avrebbe più avuto bisogno di ricoveri. Abbellimento di una situazione, auto-apologia del medico-scienziato o…altro? Quien sabe… Fatto sta che, comunque, l'”umanista” decide e fa, sottopone a terapia, una terapia quasi à la Arthur Janov, sostenitore del “Cri primal”, una terapia anche condensata in un vecchio libro, in cui sostiene che il “paziente” si libererebbe dei suoi “disturbi” con un grido liberatore, appunto, primigenio ( “primal” vuol dire questo, “cri”=grido). Ma la signora citata da Servan-Schreiber era stata consultata? Dalla citazione diremmo di no e non si trattava, precisamente, di “acqua fresca”… Senza voler insistere, sembra che il nostro, grande umanista senz’altro e senz’altro diverso da tanti suoi colleghi (cfr.quanto scritto sopra)anche nei metodi, fosse però, un decisionista, comunque convinto (lo dimostrano altre sue opere) dell’esistenza di “schizofrenia”, “depressione” etc. Autoinganno, rimanere “a metà del guado”? Non ai posteri ma ai lettori la sentenza, rilevando – con il debito riserbo, anche in considerazione della scomparsa dell’autore – che anche i “grandi” o comunque chi nella formulazioni teoriche ma anche nell’empatia si dimostra “più avanti” in qualcosa “cede”, però…si rivela meno attento o, almeno, cade in contraddizione…
Eugen Galasso
Pubblicato il 27 June, 2012
Categoria: Testi
“Sottovuoto” di Alice Banfi – Eugen Galasso
Dopo “Tanto scappo lo stesso”, sempre presso Stampa alternativa, edito nel 2008, la giovane pittrice e scrittrice Alice Banfi, milanese ma residente a Camogli, si ripropone con “Sottovuoto”, efficace rtitratto (ed è espressione corretta, trattandosi di una pittrice, capace di far sempre interagire le due arti) di uno spaccato del reale in quello viviamo: quello dell'”assistenza psichiatrica” o meglio della convinzione, dettata dal potere psichiatrico, di dover-voler-poter curare malattie e disturbi psichici. Dopo la legge 180, la famosa “legge Basaglia”, sono stati aboliti i “manicomi”, intesi come reclusori, come luoghi di detenzione fissi. Ma i reparti psichiatrici di molti “Ospedali civili” e talora le “comunità” (casa-famiglia oppure con dizione similare)riproducono strutture simili, solo con camuffamenti vari e diversi (mutatis mutandis, se vogliamo dire così), dove comunque l'”essere” della persona (o individuo, ma non voglio entrare nella vexata quaestio) viene gettata sia dalla porta sia dalla finestra… Con stile scanzonato, usando soprattutto lemmi tratti dalla vita e non dalla letteratura (altra vexata quaestio…) la Banfi tratta anche del dramma e in alcuni casi della tragedia, sicura oppure “probabile”, ma qui non si vorrebbe che la recensione iper-interpretasse il testo letterario, che, senza essere propriamente un documento (mancherebbero riferimenti troppo precisi, di carattere analitico-documentario), rivaluta quel genere fondamentale che è l’autobiografia, dove propriamente siamo nel “récit”, ossia nella “narrazione” ( più che nel “romanzo”). Non mancano i “gros mots”, cioè le parolacce; ma senza le parolacce – lo ricordo, ma penso che ogni buon lettore lo sappia – non ci sarebbero, tra gli altri, Petronio Arbitro, Moravia, Pasolini, ma anche Testori, Rabelais, De Sade, quasi tutta la letteratura contemporanea, in specie gli scrittori americani della “beat generation”, ma anche tanto mainstream contemporaneo, per non dire della letteratura di genere… Stile paratattico, dialogico, estremamente comunicativo, il che non esclude dei momenti ellittici estremamente efficaci, quasi delle “epifanie” in una scrittura che solo apparentemente potrebbe sembrarci “uniforme”, ma in realtà non lo è affatto. Testimonianza sì , nella Banfi, propaganda mai; eppure il testo, a leggerlo bene, è profondamente “politico”, sempre che si recuperi l’ètimo originario del lemma, rimandando alla polis, alla Città-Stato, per cui la politica non ha niente a che vedere con la mera adesione ai partiti e alle loro strategie e tattiche… Del resto, poi, per la contestualizzazione socio-psicologica, si legga l’attenta prefazione (saggio introduttivo, possiamo dire tranquillamente)della sociologa prof. Maria Grazia Giannichedda, già stretta collaboratrice di Franco Basaglia e ora presidente della Fondazione intitolata a Franca e Franco Basaglia.
Eugen Galasso