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L’antipsichiatria: “Malattia mentale? Non esiste” – Articolo/Intervista di Ilaria Ulivelli a Giorgio Antonucci


La Nazione, martedì 7 febbraio 2012


“Depressione è un termine sbagliato: le persone possono essere più o meno tristi, possono avere più o meno voglia di vivere. Ma non per questo devono essere ‘bollate’ come depresse”. Giorgio Antonucci, medico e psicoterapeuta, un faro dell’antipsichiatria (“La psichiatria è fatta apposta per togliere la libertà agli altri”, è il suo pensiero), ribalta gli assiomi. Un rivoluzionario, per sempre. Fin dal 1963, quando inizia la sua formazione come psicoanalista con Roberto Assagioli (fondatore della psicosintesi) e comincia a dedicarsi alla psichiatria cercando di risolvere i problemi dei pazienti evitando i ricoveri e qualunque metodo coercitivo. Niente etichette, niente manicomi, niente forzature perchè <la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che a volte possono essere insolubili>. Ma allora come si possono curare le persone che soffrono? “Se ci sono problemi da discutere, si discutono: la persona non deve essere curata con la clinica ma deve essere ascoltata per quello che è. Le malattie sono un’altra cosa. Anche Freud ha detto che i problemi psicologici non sono problemi clinici. Partendo da qui, ogni caso si affronta a sè”.
Antonucci lavora sul pensiero: “E il pensiero non può mai essere sano o malato, può essere solo giusto o sbagliato: gli organi sono malati o sani”. Il suo lavoro, sul piano teorico, è la negazione del pensiero psichiatrico. Si avvicina alla corrente esistenziale-umanistica di Carl Rogers e alle correnti di critica alla psichiatria (di Goffman, Laing, Cooper e Szasz) e alla critica all’istituzione manicomiale di Franco Basaglia con cui collabora nel 1969 a Gorizia. “Quando lavoravo con Basaglia, che contrastava le istituzioni psichiatriche, gli dicevo che per criticare le istituzioni bisognava mettere in discussione anche il pensiero che le ha create”. Quindi la psichiatria.
“Gli uomini possono essere felici o infelici, pensare che la vita valga o non valga la pena di essere vissuta – spiega Antonucci – e sono liberi di cambiare opinione: i problemi devono essere affrontati sul piano del pensiero critico, devono essere discussi, perchè sono problemi filosofici e non hanno nulla a che vedere con la medicina e con la malattia mentale. Per questo motivo non si può classificare la depressione e non si può dire quanti depressi ci sono, perchè il termine non ha nessun significato”.
Riassumendo, Antonucci è il fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica che si basa sui seguenti assunti:

1) Il trattamento sanitario obbligatorio non può essere un approccio scientifico e medico alla sofferenza in quanto basato sulla forza contro la volontà del paziente.
2) L’etica del dialogo viene sostituita all’etica della coercizione. Il dialogo non può avvenire se non fra individui che si riconoscono come persone in un confronto alla pari.
3) La diagnosi viene negata in quanto pregiudizio psichiatrico che nega di intraprendere il vero lavoro psicologico alla sofferenza degli uomini per le contraddizioni della natura e della coscienza e per le contraddizioni della società e per i conflitti della convivenza.
4) Gli psicofarmaci o droghe psichiatriche servono per sedare, drogare la persona e per migliorare le condizioni di vita di chi si deve occupare dello psichiatrizzato. Vengono negati tutti gli altri strumenti che danneggiano la persona dalla lobotomia, alla castrazione (proposta da alcuni in Italia in rapporto ai reati sessuali) e tutti i tipi di choc.
5) Per criticare le istituzioni bisogna mettere in discussione anche il pensiero che le ha create.

Pubblicato il 8 February, 2012
Categoria: Notizie, Testi

“FOUCAULT” E L’ANTIPSICHATRIA – Eugen Galasso



Sapevamo che Michel Foucault , con l'”Histoire de la folie è l’age classique” (storia della follia nell’epoca classica, in italiano) aveva fatto da antecessore, da “apripista” esterno (antropologo, storico, filosofo, comunque si voglia considerare il più grande pensatore del Novecento, almeno per molte persone). Se consideriamo che la prima edizione dell’opera nell’originale francese è del 1961, bisognerà pur riflettere sul fatto che Ronald Laing, solo di un anno più giovane di Foucault (1926, data di nascita di Foucault, mentre Laing è del ’27) scrisse “The divised self” (L’Io diviso) già nel 1955, da giovanissimo, ma partendo da un’impostazione teorica totalmente differente (in Laing: la psicologia esistenziale di Biswanger e di Jaspers). Ma prima di Laing assolutamente nulla. Né i contributi di Franco Basaglia (nato nel 1924) sono importanti, prima di metà anni Sessanta. Ora, in questo “Le beau danger” (Paris, Ehess, ossia Editions de l’Ecole des hautes études en sciences sociales, 2011), testo inedito in italiano,  che recupera un’ intevista con il filosofo con il grande poeta Claude Bonnefoy (definiamolo approssimativamente così) Foucault, troviamo non la ripetizione di concetti espressi nelle opere, ma una ridefinizione di approcci alla scrittura e il chiarimento di punti di partenza. Molto “timido” e prudente, Foucault rivendica però i concetti di quell’opera ripresi poi sempre.  Ecco un estratto dall’opera (conversazione, ma è comunque un’opera) citata:  (qui Foucault, figlio e nipote di medici, anche chirurghi “prende posizione”, si rapporta cioè al problema: “La psichiatria aveva uno statuto molto particolare, a dire il vero uno statuto peggiorativo. Perché? Perché per un vero medico, per un medico che cura i corpi, a maggior ragione per un chirurgo che  li apre, è evidente che la follia sia una “cattiva” malattia (correttezza vuole che io precisi che le virgolette sono mie, E.G.).  E’ una malattia che, per esprimerci all’ingrosso, non ha sostrato organico e in cui un buon medico non può riconoscere un sostrato organico ben preciso. In questa misura, si tratta di una malattia che gioca uno scherzo al vero medico, che scappa alla verità normale (anche qui ci sarebbe da virgolettare, ma…, E.G.). E’, di conseguenza, una falsa malattia ed è prossima a non essere una malattia per nulla. Per arrivare a quest’ultima conclusione, che la follia è una malattia che pretende di essere tale ma che non lo è, non c’è che una piccola distanza da superare… Se la follia è una falsa malattia, allora che cosa dire del medico che la cura e che crede che non sia una malattia?  Questo medico, cioè lo psichiatra, è necessariamente un medico dileggiato, che non sa riconoscere che ciò con cui ha a che fare non è una vera malattia, dunque è un cattivo medico e, dunque, a dire il vero, un falso medico. ..”(op. cit., pp.43-44). Credo che queste riflessioni di un grandissimo pensatore, di una persona estremamente intelligente, non solo di un “intellettuale” (riprendo la distinzione non peregrina ventilata da alcune persone “fuori quota”-Juliette Greco, inter  ceteros, dove temo fortemente di dovermi mettere tra i secondi…) ci spieghino le aporie di una concezione della “malattia mentale” che, da un lato vuole affermarla come realtà di malattia, dall’altra non ne conosce-riconosce eziologie organiche e quindi entra in un paradosso dove l’unico motivo per affermare che la “pazzia” esista è la conservazione di poteri (quello medico-psichiatrico, quello della chiesa “una santa, cattolica, apostolica” gerarchiamente intesa, che deve affermare, pena sua sparizione che i “pazzi”, come gli “eretici”, i “reprobi” esistono). Tutti  concetti che, mutatis mutandis, troviamo negli approcci a-psichiatrici, anti-psichiatrici, che anche recentemente Giorgio Antonucci ha ribadito, da altri punti di vista anche diversi, giungendo però ad analoghe conclusioni. 

Eugen Galasso  

Pubblicato il 31 January, 2012
Categoria: Testi

Peter Shaffer: “Equus” – psicoanalisi e psichiatria in teatro – Eugen Galasso


In “Equus” del 1973 il drammaturgo inglese Peter Shaffer, autore anche, ma successivamente, di “Amadeus”, dove pur si sottolinea in chiave grottesca, ma non psichiatrizzante, l’ “altro” di Mozart con il suo “cachinno”, si parla poeticamente (ma il teatro è anche poesia visiva, più che scritta) di un ragazzo che aveva accecato dei cavalli, dove Shaffer era partito (lo scrive nella premessa al dramma) da un fatto di cronaca, immaginando il resto. Avendo lavorato da manutentore in una scuderia il ragazzo, innamorato di cavalli, aveva vissuto un’esperienza piacevole (“La prima volta” con una ragazza) interrotta dallo sguardo, per lui inquisitorio, di un cavallo bello, grande e imponente.  Lo psicoanalista (ma è una sorta di impiegato da AUSL, salvo che il sistema sanitario inglese è molto diverso, anche se all’epoca era “socializzato”, perché governavano i Laburisti, quindi una via di mezzo tra psichiatra e psicoanalista), che lo “cura” è un frustrato per motivi familiari (rapporto conflittuale e di disprezzo verso la moglie) e progressivamente si accorge di essere inadeguato, in un climax che verso il finale lo porta allo scacco, al fallimento. Si inizia così: Dysart (lo psico):”Sogni molto?” Alan (ragazzo):  “E lei?”  Dysart: “Far domande è il mio lavoro. Tu pensa a rispondere”. Alan: “Chi lo dice? ” Dysart: “Lo dico io. Sogni molto?” Alan “E lei?” Dysart: “Andiamo Alan…”  Alan: “Rispondo se risponde lei. Una volta per uno” (Pausa)  Dysart: “Va bene. Ma dobbiamo sempre dirci la verità” Alan (con scherno): “Ci sto”. Dysart: “Sogni molto?” Alan: “Sì. E lei? ” Dysart: “Fa spesso lo stesso sogno?”. Alan: “No. E lei?”….(Atto nono, scena prima, op.cit., traduzione italiana, Genova, ediz. Teatro di Genova, terza edizione, 1974, p.31).  Qui si vede come lo psicoanalista si limiti a una batteria di domande in stile inquisitorial-menefreghista,  non rendendosi conto che l’altro glissa ogni sua domanda.            
Idem quando (cit., oltre, a pp.53-54,scena sedicesima),  vuol sapere se Alan aveva appuntamento con la ragazza e quando l’altro non glielo dice, si inalbera, gridando: “Dimmelo!” dove almeno una nota di rabbia, rancore e invidia non può non trapelare (come dire: “Lui sì, io no”), fino alla rabbia sorda ma non sciocca e non priva di ironia della sua messa a nudo -autodichiarazione dove dice: “Il Normale (sic!) è l’indispensabile e micidiale Dio della salute e io sono il suo sacerdote” (Scena 19.esima, p.60), per non dire di un finale feroce dove afferma ad Alan, gridando che lo libererà e che “Non soffrirai più. Non soffrirai quasi più (significativa diminutio, E.G.) affermando di aver un “disperato bisogno di trovare il modo di vedere nel buio” (Atto 2°, scena 35 , finale, a p.105). Shaffer, che è un grande del teatro, fa un po’ di confusione tra Freud (sorta di nuova “scena primaria” con il cavallo-padre-Superego castrante ma anche come simbolo archetipico di forza e bellezza insuperabile) ma la produzione di senso è assolutamente chiara, contro psichiatria e psicoanalisi velata da psichiatria…

Eugen Galasso

Pubblicato il 27 January, 2012
Categoria: Testi

“Siete malati e non lo sapete”: D.S.M. – Eugen Galasso



Mentre incombe la pubblicazione (2013) della nuova tassonomia psichiatrica made in USA, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disordes), che vuole stabilire (imponendola a tutto il mondo, quando parte dai soli “United States of America”, nel nome del comunque mai sopito neo-imperialismo postbellico) i “disturbi mentali”, con “significative” variazioni del tipo: “disturbo parafiliaco coercitivo” invece del classico ma vecchio “perversione”, dove però lo stigma rimane, similmente al concetto di “comportamento intrinsecamente disordinato” con cui Catechismo della Chiesa cattolica e molta teologia morale stigmatizzano le “perversioni”, dove addirittura si indicano possibili disturbi futuri (richiamando il dottor Knock de Jules Romains, l'”antipsicoanalista” Gerard Pommier richiama il “Siete malati e non lo sapete!”), nel mondo più “civilizzato” e acculturato si incrementano ricerche basate sulle immagini cerebrali e allora se una certa parte del “cavolfiore sanguinolento” (come il filosofo Lombardi Vallauri ironicamente definisce il nostro nobile organo) risulta, all’esame spettrografico, rossastro o di colore arancio, invece che verde o azzurro, è…depressione.  Di qui un fiorire di psicofarmaci (soprorattutto neurolettici, dove anche la denominazione è flou, ma si confronti il libro “Sorvegliato mentale” di Maria R.D’Oronzo e Paola Minelli, Torino, Nautilus, 2009), sorta di “lobotomia medica”, invece che chirurgica, per usare l’espressione di Henry Laborit, del…1951 (sic!) , dove è necessario dire che il grande biologo e pensatore (etologo e non solo) francese aveva contribuito a introdurre la clorpromazina come sostanza principe per il “trattamento della schizofenia”, dove, però, bisogna precisare che tale definizione è “appannaggio” degli psichiatri e non di Laborit…   Da approfondire, il tema, in considerazione del fatto che, per es. un recente studio dell’università del Texas ha pubblicato degli studi sul farmaco Paxil , antidepressivo somministrato ad adolescenti (in D’oronzo -Minelli, cit., p.101 e p.113), omettendo, però che i tassi di suicidio e aumento di rischio suicidiario sono aumentati di molto, dopo la sua somministrazione.   Con tutto ciò impossibile dimenticare che il giro d’affari legato agli psicofarmaci è mostruoso, tanto che (è solo un dato tra i tanti, ma emblematico della questione negli States e non solo) nel 2009, in occasione della riforma della sanità voluta da Obama, 544 milioni di dollari (poco meno in Euro) sono stati sborsati per assicurare presso i legislatori gli interessi della assicurazioni, come delle case farmaceutiche e dei  “dispensatori di cure”… Mentre invece, pur in un’ottica ancora “psichiatrica” Olivier Appaix, economista della salute e dello sviluppo, scrive che “Nel lungo periodo, esercizio, socializzazione, lavoro rendono la vita delle persone affette da disturbi mentali ben più sopportabile” che con l’assunzione di psicofarmaci. Chiaro che, come si rilevava prima, la definizione di “persone affette…. ” non ci interessa e forse più del lavoro e della generica “socializzazione” servono sentimenti positivi e la vita nel suo complesso.

Eugen Galasso

Pubblicato il 22 January, 2012
Categoria: Testi

Manicomi giudiziari: break in the wall – Eugen Galasso


Se la Commissione Giustizia del Parlamento ha deciso all’ unanimità che gli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari) debbano essere chiusi entro il 31 marzo 2013, c’è il rilievo per cui non c’è piena adesione del governo al testo della commissione stessa. Questione finanziaria o politica non sappiamo, certo che questa scelta minima di civiltà (chiudere un’espressione della barbarie moderna) sarà solo “break in the wall” (breccia nel muro) in quella demolizione della barbarie complessiva di un’ideologia (la psichiatria è non scienza ma pura ideologia, al servizio di un preteso e presunto “quieto vivere” della società) che da sempre fa acqua da tutte le parti. Che ciò sia stato individuato da una linea di pensiero che va da Foucault al “Centro di relazioni umane”, con l’apporto determinante del pensiero di Giorgio Antonucci non impensierisce certo i “poteri forti” ma neppure quella grigia “maggioranza silenziosa” aduso al detto “Voglio la mia tranquillità”, senza capire che anche questa è un mito assurdo.

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 January, 2012
Categoria: Testi

Casseri, l’erudito – Eugen Galasso



Anche sul sito nazionale di “Casapound” (www.casapounditalia. org), la presa di distanza ipocrita dall’assassinio di due Senegalesi a Firenze da parte di Gianluca Casseri batte il tasto sulla “tragedia della follia”. Non entro qui in merito a idealità e obiettivi, che rispetto (nel senso di accettare che vi sia chi vi ci si riconosce) senza condividerli per nulla, ma entro in merito alla motivazione che parla di “sanità mentale”. Riconoscono – bontà loro – che Casseri era un loro “simpatizzante”, ma giocano sulla distinzione tra simpatizzante e militante. Una forma di ipocrisia, appunto, anche perché oggi i confini del “militantismo” politico sono labili, come labile e spesso “fuori uso” o almeno non ben definibile è la figura stessa del militante. Ma poi: tragedia della follia, quella di Casseri o invece deliberata espressione di odio razziale? Chi scrive, negando il concetto stesso di “follia” propende certo per la seconda ipotesi, dove una forma di cultura mal introiettata (diremo così, per non offendere la memoria di una persona che è comunque un criminale, certo non riscattato dal suicidio) porta a un atto criminale tout court, cui Casseri, “togliendosi di mezzo” ha voluto sfuggire solo per non subire l’ “onta” di una condanna. E qui, fatto salvo il principio del (relativo, però) rispetto di ogni persona e del suo pensiero, bisogna pur individuare nel razzismo un’ideologia assurdamente contraria non solo alla “ragione”, che è in genere ragione strumentale del più forte, ma ad ogni forma di convivenza umana. Non sarà che Casseri, autore di qualche pubblicazione, rientri nella categoria dell’ “erudito sciocco”?

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 January, 2012
Categoria: Testi

Razzismo e psichiatria: Abbou Lahat Diop – Eugen Galasso



Il caso di Abbou Lahat Diop, cittadino senegalese, trentunenne che, stando a un documento di Marta Carusi e Roberto Loddo (documento che è anche una circostanziata denuncia), a metà dicembre, in località Abbasanta, in Sardegna, sorpreso a pregare (è di fede islamica, quindi deve pregare obbligatoriamente almeno cinque volte al giorno, le “salat”, in direzione della Mecca), viene improvvisamente circondato da forze dell’ordine (imprecisate, nel senso che non sappiamo se si tratti di Carabinieri o Polizia), che gli chiedono se abbia bisogno di qualcosa. Abbou Lahat, disturbato durante la preghiera e turbato da quest’ “irruzione”, reagisce in maniera non violenta ma chiaramente non propriamente “tranquilla” (chi  sarebbe “tranquillo”, in circostanze simili? Dove, però, rimane da ridefinire quale sia il “canone della tranquiliità”…). Ora, di seguito: Abbou Lahat è stato portato prima in carcere e poi in manicomio giudiziario(sic!), senza un interprete dal wolof all’italiano e viceversa (Lahat Diop è in Italia da 5 anni, quindi il suo italiano è ancora ragionevolmente fragile; inoltre, abitando in Sardegna, sente parlare più il sardo dell’italiano), gli è stata impedita l’esplicazione della preghiera, atto di fede fondamentale nell’Islam, gli sono stati arbitrariamente ridotti gli spazi di libertà, ha subìto un abuso da parte delle “forze dell’ordine”, che lo hanno sottoposto a perquisizione e ispezione non necessaria, contravvenendo all’articolo 609 del Codice Penale, che, pure in epoca fascista prevedeva una pena fino ad un anno per l’agente che si comporti in tal modo. Più in generale, la situazione di Abbou ricorda quella del cittadino  ungherese che, anni fa, fu portato in manicomio negli States in quanto gridava e piangeva nella sua lingua a causa della morte della moglie, comunicatagli pochissimo tempo prima. Intervenne il dottor Szasz, antipsichiatra di origini ungheresi e in seguito fu decisa, anche con l’apporto di “Scientology”, di costituire il “Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani”(CCDU), un avvenimento spesso ricordato anche da Giorgio Antonucci, un vero testimone sia per lotta contro la psichiatria pratica di potere sia per i diritti umani nel loro complesso. Come si vede anche nel caso del giovane senegalese tutto si tiene: l’abuso è a livello di diritti umani, con l’apporto determinante di “forze dell’ordine”, magistratura o almeno codice penale applicato arbitrariamente, psichiatria e altro. L’intolleranza, ancora una volta, si serve di strumenti diversi, ma finalizzati a un solo scopo, quello di comprimere la (e le) libertà del singolo quale persona e quale cittadino.


Eugen Galasso

Pubblicato il 14 January, 2012
Categoria: Testi

I Romantici fanno scandalo – Eugen Galasso


Tuttora i “Romantici” fanno scandalo: non solo chi oggi è “romantico” negli atteggiamenti umani-sentimentali stride con i comportamenti e gli atteggiamenti dominanti-affermatisi, ma anche il movimento culturale così chiamato: è uno scandalo essere mistici come Novalis o Zacharias Werner, è politicamente scorretto rimpiangere il Medioevo della “societas christiana” come volevano De Maistre, De Bonald, Chateaubriand o altri, è “folle” (per la massa greve e tele-diretta/condizionata) viaggiare all’interno della propria stanza, come faceva Xavier (non Joseph, citato sopra, ma erano fratelli) De Maistre. Neppure gli altri, poi, erano molto “bravi” per i tempi d’oggi:  Hoffmann beve e s’inebria, fino a farsi cauterizzare la schiena per la sua sindrome sifilitica, scandalizza anche perché genialmente sinestesico (musica, disegno, letteratura)  Gautier scrive troppo e si muove in troppi ambiti, Nerval s’impicca, Beethoven è sordo, Schumann ha le visioni… Troppo difformi i pensieri, dal common sense imposto dai potenti, troppo alieni pensieri e azioni dalla “norma” imposta, inculcata dalla normocrazia inculcante atteggiamenti, comportamenti,  azioni, pensieri (quelli sempre meno, perché pericolosi, per ogni “ordine costituito”).  Anche per questo, come “Centro” siamo stati molto contenti del successo dell’incontro di fine novembre “SPQR” (Sono “pazzi” questi Romantici?), che ha cercato di ripensare tutto ciò. Da qui anche il legame con la nuova sessione di Disegno Onirico, in programma a gennaio 2012. Il sogno romantico, come “fuga” dall’ “insopportabile mondo” (Jacques Brel) è prodromico al disegno onirico, che invece, come via all’autoconoscenza , vuol creare spazi liberi per orientarsi e difendersi dagli aspetti peggiori di una realtà dominata e arrogante, quando essa diviene tale…
 Eugen Galasso

Pubblicato il 12 January, 2012
Categoria: Testi

Casseri – Il violento non è pazzo – Eugen Galasso



Brejvic, il razzista norvegese (cristiano-massone, seguace di confuse teorie esoteriche) che aveva bombardato socialisti e soprattutto extracomunitari  e Casseri, il ragioniere-esoterista del contado pistoiese, frequentatore di “Casa Pound” non sono da inquadrare come “pazzi” (che non vuol dire nulla, Antonucci non da solo docet), ma sono espressione di una subcultura vagamente esoterica, ovviamente con certe differenze (Casseri più esoterista nazifascista, Brejvic razzista non nazista etc… e qui mi perderei in lunghe divagazioni ininteressanti per il sito),  comunque entrambi (“me^me combat”, stessa lotta, sciocca aggiungo) sono figli del fraintendimento, non sanno, per usare l’espressione evangelica, distinguere “il grano dal loglio”, ossia non hanno facoltà critica: Lovecraft, tanto amato da Casseri, era razzista perché coltivava “aberranti” teorie post-darwiniane (Darwin resta un grande, certi suoi seguaci lo declinavano scioccamente), ma anche un grande scrittore. Saper discernere le cose, anzi meglio i concetti , non è da tutti. Ho fatto l’esempio di Lovecraft, ma potrei prendere Spengler, in cui l’idea della progressione storica in senso ciclico è falsata dal freintendimento della teoria hinduista del “Kali Yuga”, ossia del declino inarrestabile, per cui bisognerebbe reagire a tale declino, peraltro visto come “necessitato”.   Idem per Ezra Pound, grandissimo poeta,  che la sua critica del capitalismo (cfr.gli scritti sull’usura, ancora oggi atualissimi) portò a esaltare il fascismo (ma Pound fu vittima del potere USA, che lo internò in manicomio…).   Chi legge acriticamente e vive di chimere indimostrabili, ha il diritto di farlo, senza usare violenza, però.  Lovecraft, “the lonelyman of Providence” (il solitario di Providence) era un “orso”, quasi un misantropo, ma non sparava agli Afroamericani, né era del “Ku-Kux-Clan” a quanto risulta.  Non per questo, però, chi è violento è “pazzo”: delinque e come tale, a mio parere, va condannato.
“Onore” (beh, insomma…) a Brejvic che vuol essere condannato e non passare per”matto”, mentre Casseri, per alcuni “fanatici” sarà un eroe, anche perché “dopo ha tolto il disturbo”….   Eugen Galasso

Pubblicato il 19 December, 2011
Categoria: Testi

Suicidio e depressione – Eugen Galasso

Fabrizio Cicchitto, ha perplessità sulle cliniche svizzere che vivono di “eutanasia assistita”, ossia depredano coloro che, per motivi diversi, decidono di farla finita. Lucio Magri, come scrive don Andrea Gallo, il prete genovese ribelle e libertario che la Chiesa gerarchica non espelle (ancora) perché teme di far troppa pubblicità al dissenso-diaspora, a quello che esplicitamente, due anni fa, in un convegno, veniva definito”scisma”, era troppo timido e discreto per “macchiare di sangue il selciato”. La scelta di Magri, come quella di Jean Amery, pseudonimo di Hans Mayer, scrittore ebreo-viennese, già “ospite” del lager,  che teorizzò la libertà di suicidarsi, come quella di Primo Levi, altro intellettuale ebreo ospite di chi voleva “la purezza della razza ariana”, come quella recente di Mario Monicelli,  come quella di tanti/e che lo hanno fatto o lo fanno per i motivi più diversi, è da rispettare assolutamente, da accettare in pieno come espressione di libertà (certo non mi arruolo con chi vuole l’individuo al servizio dello Stato, della “comunità”, lemma pericoloso per come è stato spesso usato-travisato, almeno da Toennies in poi…), dove credo che, ben più di certe tesi filosofiche sul “suicidio cosmico” teorizzate  “in buona fede” ma suscettibili di derive à la Jim Jones (la setta che lo praticò in Guyana, a fine anni Settanta), valgano i “Pensieri sul suicidio” di Giorgio Antonucci, dove, tra l’altro, demolisce i pregiudizi sulla “depressione” (dalla stazione ferroviaria al “posto di lavoro”, dal bar alla spiaggia al reparto psichiatrico di ospedale o clinica tutti ne parlano, dicendo “era depresso”, dove non si tratta neppure di tautologia, essendo ben più onesta la versione medievale, appunto “sanamente” tautologica, che recita: “L’oppio fa dormire perché ha in sé la virtus dormitiva”). D’altronde, dico il vero: non so se  si possa dire con Don Gallo, che “lo lasciamo (Magri, sott.) nelle braccia del Grande Amore”. Me lo auguro, ma per me, cristiano gnostico, Dio trascende ogni qualità, quindi anche l’amore, che pur qualità somma, ritengo “troppo umana”. Vedremo in seguito altre reazioni, se ce ne saranno (quelle che ci sono state segnano un nuovo discrimine tra “laici” e “cattolici”, quasi non ci fossero differenze sostanziali all’interno di tali schieramenti…) ma,  ben conscio dell’impossibilità – per me – di seguire Pannella e il padre di Eluana Englaro,  Peppino, nel “suonare la grancassa per l’eutanasia”, pena l’apologia delle sopraindicate cliniche svizzere, credo che si debba un grazie a Don Gallo, che d’ora in poi avrà  sempre più problemi con cardinali et similia,  per le sue parole, compresa quella per cui dice expressis verbis che avrebbe comunque fatto di tutto per convincerlo a non farlo, se l’avesse visto-sentito o incontrato.  Qualche accidentale delizia, certo  passeggera, nel “mondo di lacrime” c’é: un bel gattino, un paesaggio, nonostante tutto anche l’amore…

Eugen Galasso

Pubblicato il 7 December, 2011
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo