“Tobino – Monicelli” – Eugen Galasso
Mario Monicelli, regista iper-popolare (“La grande guerra”, “Romanzo popolare”) ma anche di qualità (qui il mio compianto prof.di storia del cinema Pio Baldelli mi tirerebbe le orecchie, ma, per comodità…non parlo di questo, cioè di cinema, in questa sede) e Mario Tobino, scrittore e psichiatra (“Per le antiche scale”, “Biondo era e bello”, inter cetera), hanno due cose in comune: Versiliesi entrambi (qui rimando a “Maledetti toscani” di Curzio Malaparte, probabilmente il “top” in materia), scomparsi da poco in tarda età, dopo una vita “piena” (forse più quella di Monicelli che quella di Tobino), “si incontrano” (non fisicamente) un lustro fa, quando Monicelli trae dal romanzo tobiniano “Il Deserto della Libia” il fim “La rosa del deserto”, a suo modo un capolavoro. Se Monicelli rimane nell’immaginario italiano per la tragica, “libera” morte, avendo appreso l’irrimediabile vulnus alla sua salute, con inopportune polemiche sulla libertà e i suoi limiti, sull’eutanasia etc. (dove sbagliavano, manco a dirlo, i cattolici, ma anche i radicali quando scambiavano il suicidio con l’eutanasia, che è altra cosa, comunque la si pensi in merito), Tobino – che anche in “Il deserto della Libia” mette in scena un comandante di truppa in crisi, per l’ “amore folle” (amour fou, in accezione surrealista) verso la giovane moglie, un tema molto ben ripreso da Monicelli nel film, con l’eccelsa interpretazione di Alessandro Haber – di cui un libro recentissimo e molto interessante, “Cinque anni con Mario Tobino” (ediz. Delle Erbe) di Antonia Guarnieri, figlia di Silvio, il critico e studioso che contribuì a “lanciare” Tobino, presentando il volume citato a Elio Vittorini, allora curatore dei “Gettoni” di “Einaudi”, racconta la relazione d’amicizia tra l’anziano psichiatra e scrittore , decisamente “depresso”, comunque malinconico e la stessa studiosa, allora giovane, una relazione che non ha nulla di “comune” nel senso di un setting analitico, ma molto dell’amicizia, della “filìa”, nel senso greco-antico e più nobile del lemma.
Pubblicato il 7 April, 2011
Categoria: Testi
Lingua “rovinata” dalla psichiatria – Eugen Galasso
Certo, sarebbe difficile, oggi come oggi, recedere totalmente dal linguaggio della psichiatria in letteratura, in poesie, per esempio: come definire altrimenti l’ “amour fou” (amore folle) surrealista, ma retroattivamente anche romantico? Ma, attenzione, è “folle”, non pazzo, ha già in sé qualche patente di “nobiltà”, diremmo. Poi , per es., c’è Robert Bloch, con “Psycho”, romanzo “hard” anni Cinquanta del secolo scorso, nell’accezione thriller (ma “romanzaccio”, dice Alfred Hitchock, che ne trasse, nel 1960, un film geniale), dove il protagonista, dopo aver ucciso sua madre, perché “indegna”, “prostituta”, no…non racconto il seguito a chi non abbia letto il libro o visto il film. Si dirà: ma là il protagonista è “schizofrenico”, soffre di “dissociazione della personalità”; certo, il “gringo” Bloch e l’ inglese mai diventato americano pur se lavorava negli States Alfred Hitchock (sir, per meglio dire e aggiungere) erano imbevuti di corrente cultura psichiatrica, quella che aveva portato alle “magnifiche sorti e progressive” (sic!Il lettore capisce l’antifrasi dell’espressione) di elettroshock e lobo (prima anche leuco) tomia… Sì, ma poi, soprattutto il geniale Hitch poi se ne stra…fotte, con un finale da teatro di ricerca (che nel 1960 non mi consta esistesse, nella forma in cui lo conosciamo da 30 anni a questa parte, almeno), e allora anche i parametri medico-clinici, quelli dell’ “attenta osservazione del paziente” (in realtà fatta solo per “sorvegliare e punire”, però) vanno a farsi benedire, non hanno più nulla a che vedere con l’opera d’arte che, certo, nasce anche (non solo) dai cascami dell’ “altro”, intubato (termine metaforico, ovvio) e inquadrato, ma poi, bellamente, va da altre parti, in direzione diversa… Il famoso “scarto”, insomma… Chi invece, registra di più, era Ken Kesey, autore vicino alla “beat generation” che scrisse “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (romanzo, ma anche versione teatrale, in seguito, mentre il film, successivo di circa un decennio, è di Milos Forman), dove la lotta contro il manicomio, esemplificata da un “sabotatore”, avviene all’insegna della trasgressione, ma seguendo e poi capovolgendo la logica del “sorveglia e punisci”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 5 April, 2011
Categoria: Testi
I poeti maledetti – Maudits – Eugen Galasso
Avevamo accennato, parecchio tempo fa, ai “maudits”, ai poeti “maledetti” (da chi, però? Dal buon borghese pio e obbediente a tutto, quando gli si dice di fare la guerra, di pagar tasse per spese militari, di protestare contro gli extra-comunitari sempre e comunque, quando… la serie diviene lunga). Certo, Cecco Angiolieri (citato da Dante) François Villon (del tardo Rinascimento), Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé (tutti dell’Ottocento), Oskar Panizza, William Burroughs, Allen Ginsberg (novecenteschi) sono personaggi diversi tra loro, di epoca e cultura diversa. Accennando solo ad alcuni, che cosa ne fa dei “maledetti”? Che amassero le donne o gli uomini (omosessuali erano senz’altro Verlaine, in qualche modo, ma più che altro bisessuale Rimbaud, Ginsberg e Burroughs), che sperimentassero con le droghe, che rifiutassero le morali e le mode correnti, le tradizioni religiose? Certamente questi sono alcuni dei motivi, per i quali questi autori erano (sono)dannati, le “buone e pie” (sic!) persone se ne tengono alla larga, magari li mandano in manicomio e li uccidono a furia di elettroshock, come successe con Antonin Artaud… Sarebbe qui interessante, corrispondendo a quanto detto sopra, entrare in merito, in dettaglio di ogni singola figura esaminata: certo che Angiolieri non è Villon, Baudelaire non è Léo Ferré, non fosse per questioni di epoche storiche diverse, di condizionamenti culturali differenti, di ambienti, esperienze di vita, concezioni del mondo ancora una volta diverse… Accennerò solo al fatto che Baudelaire chiedeva a Dio di dargli “la forza e il coraggio di guardare il mio corpo e il mio cuore senza disgusto”, che nel contempo amava fare il “satanista”. Del resto, molto onestamente il grande genio poetico (e non solo), che amava scandalizzare (épater les bourgeois), come quando a un borghese che gli vantava le virtù delle sue figlie replicò, peraltro gentilmente: “Quale delle due avvierete alla prostituzione?”, riconosceva che “diritto dell’ intellettuale è quello di contraddirsi e andarsene”. Come se gli altri non si contraddicessero; il fatto è che chi è organico ai carrozzoni “santi” di stati e chiese “va bene”, chi non lo è, è “dannato” e “maledetto”. Se poi a farlo (ad avere un comportamento “altro”) è una donna, viene ancora più penalizzata ed esclusa -“punita”-“suicidata dalla società”, come diceva lo stesso Artaud di Van Gogh come emblema ma anche come persone…
Eugen Galasso
Pubblicato il 31 March, 2011
Categoria: Testi
ADHD – Eugen Galasso
Suggestioni notevoli, sul tema ADHD, in una rivista di Sydney (Australia, come noto) a proposito dell’ADHD. In realtà questa “sindrome”, inventata come tale negli anni Novanta del 1900 e all’inizio degli anni 2000, facendo confluire quella che si chiama (si denomina, per meglio dire) come ipermotricità e lì (ovviamente sempre presunta) sindrome attentiva. Ma l’ “ipermotricità” (ossia l’incapacità di star fermi/e) è qualcosa di indotto, nelle scuole-istituzioni totali dove bisogna star fermi/e, mentre la sindrome attentiva è motivata dal fatto, a sua volta, che molte volte a scuola si presuppone una disciplina di stampo militare (non a caso il modello della scuola, schola-ae, fondato in epoca carolingia, viene rafforzato dai Gesuiti, nel 1600, ordine religioso-militare…!) dove la punizione fisica, teoricamente superata/soppiantata da quella attraverso il voto (non studi-ti puniamo con un voto negativo) impone di “star fermi” (e), di non “rompere” (“che fate, ragazzi…”ci diceva sempre il prof. di filosofia e storia al liceo, in toccante-vibrante-forbito livornese antico e non era uno dei peggiori, anzi…), di non “far romore”, il che avrebbe anche senso, in uno scambio reale di domande-risposte, di dialogo reale, paritetico non di un sapere non pro-posto ma im-posto, senza discussioni (senza meno, si diceva in italiano abbastanza antico), dove il presunto soggetto diagnosticato “ADHD” rientra, semmai, nella categoria degli “iper-dotati”, con la tripartizione di comodo “iper-normo-ipo-dotati”, dove naturalmente l’ideale della società del sorvegliare/punire (Foucault, ancora una vola!) esalta ovviamente il normo-dotato, che sarà poi il classico “bravo cittadino” che non rompe… (mi vien da dirlo in fiorentino, dove il complemento oggetto non contempla l’articolo determinativo, come noto), che obbedisce a tutto ciò che viene detto di fare e ama papa, stato, chiesa qualunque cosa faccia e facciano, idem con esercito, scuola tradizionale, impositiva, se possibile “gesuitica”, almeno nel modello introiettato e tramandato, dove naturalmente anche l’Accademia militare livornese (mi riferisco alla realtà italiana) può essere un simpatico modello per lorsignori/signore. Questo mentre l’ipo-dotato “frena” il “rendimento della classe” (qualcuno pensa alla reintroduzione di classi differenziali, non a caso) e l’iper-.dotato vola troppo alto, ma rischia anche di introdurre pericolose sovversioni in famiglia e a scuola… Insomma, il modello che la cultura-società, che da una parte ha morbosa curiosità per Bunga-Bunga e altro, persegue é quella dell’ “universal caserma prussiana” di cui parlava già tale Vittorio Alfieri. Da segnalare, tale problematica, perché tenendo conto dei fattori cui ho fatto riferimento si capisce perché poi in famiglia e a scuola si vuole che i ragazzi/le ragazze non “rompano”. Allora come fare? Non potendoli più battere, perché non ricorrere a massicce dosi di Ritalyn, che li addormentano, riducendoli a zombies inoffensivi?
Eugen Galasso
Pubblicato il 28 February, 2011
Categoria: Testi
Sul discorso di Muanmar Al Gheddafi – Eugen Galasso
Il discorso forse finale di Muanmar Al Gheddafi (credo si debba scrivere Qadafi ma, nonostante gli sforzi degli amici arabi, Parigi anni Ottanta, non ho appreso la lingua, quindi mi “astengo”) durava 70 minuti, abbastanza martellanti, duri, di accuse, invettive, rampogne. Gheddafi, islamico “moderato” (non fanatico, comunque, non un Ben Laden…), che oscilla tra vocazione al martirio , autooblazione, dunque sacrificio di sé, aggressione, rinnovato spirito “rivoluzionario” (mah…) quando si fa forte del non essere “un presidente, ma un leader rivoluzionario”, non è però da liquidare, come sempre ci ricorda con saggezza Giorgio Antonucci, come “pazzo”, “folle” e via discorrendo. A parte le riflessioni di psicologia sociale ispirate dalla psicoanalisi come dalla sociologia di Erich Fromm (“Escape from freedom”, “Fuga dalla libertà” ) e di Wilhelm Reich (“Psicologia di massa del fascismo”), come di Bruno Rizzi (“Il totalitarismo burocratico”,), riflessioni sparse quanto geniali di Georges Bataille etc., che accentuano come i dittatori (rossi, neri, altrimenti “colorati”)rispondano ai bisogni tragicamente profondi dei dominati, bisogni certo “falsi”, ma indotti ad arte, o meglio reali ma falsati (bisogno di libertà, di natura, di giustizia), sappiamo che la paura fa parte di quelle emozioni fondamentali che, insieme a gioia e tristezza, caratterizzano le spinte fondamentali dell’agire umano). Ecco: la paura, quella che fa da pendant in Gheddafi, al suo agire apparentemente aggressivo (aggressività = forma di autodifesa e autoprotezione, come “scudo”, comunque), come emozione forte, ineliminabile, in “el raìs” libico come in chiunque, solo che in Gheddafi la cosa diviene più teatrale (accentuo, per correttezza, che ho visto solo 10 minuti del discorso, a tratti francamente noioso da seguire, proprio per la sua ripetitività estrema) e più pericolosa (finché sarà al comando o comunque in vita sarà “pericoloso”, pur se, appunto, molto meno di un Al Queidista!). Dove e come individuare la paura in Qadafi e nel suo discorso? Nella fissità della mimica facciale, nella gestualità contratta, nel tono della voce, che s’impenna, spesso “inutilmente”, se ci fermiamo ad un’analisi superficiale, se non consideriamo la necessaria enfasi con cui un oratore deve convincere il suo popolo e…forse anche altri ascoltatori… Da considerare con attenzione, questi tratti, perché, lungi dal farci capire tutto del presidente-dittatore “made in Lybia”, lungi anche dal considerarlo “pazzo” (è irritante, senz’altro, è un pedante, forse, non è “tremendo”, il discorso , come invece afferma il cancelliere Merkel, dove ogni buon comico made in Germany gioca sul genere, ma non vorrei esser preso per “discriminatore” anch’io…Forse sarebbe meglio che la signora guardasse maggiormente alla macelleria sociale prodotta dai suoi governi iper-liberisti), ci danno uno spaccato dell’oggi, non solo arabo, magrebino, nordafricano…
Eugen Galasso
Pubblicato il 24 February, 2011
Categoria: Testi
Rosy Bindi candidata PD – Eugen Galasso
Qui non vorrei parlare di Rosy Bindi persona politica, limitandomi, semmai, a ricordare che la candidatura della “vergine di ferro” residente in Veneto ma di origini saldamente toscane, già Ministro della Sanità, ora presidente del PD, probabilmente è stata sfiduciata con il pretesto di candidarla a leader della Sinistra alle prossime elezioni, dal governatore pugliese e leader di “SEL” (Sinistra Ecologia Libertà) Nicky Vendola. Del resto in politica vale il “Promoveatur ut amoveatur”…. Vorrei invece ricordare che la combattiva politica di provenienza DS (sinistra DC) è molto combattiva, al limite della “personalità autoritaria” (definizione di comodo, volendo, ma non del tutto peregrina, della psicologia sociale dei francofortesi Adorno e Horkheimer): ha reagito agli attacchi di Berlusconi (“Lei è più bella che intelligente”), profilandosi come nuova Jeanne d’Arc (Giovanna d’arco): “NON SONO A SUA DISPOSIZIONE”. In un dibattito TV di un lustro fa, quando Rocco Buttiglione era nell’UDC ma alleato di Berlusconi, si è scagliata contro il filosofo di CL (Comunione e Liberazione) ribadendo che la propria provenienza dall’Azione cattolica marcava un distinguo nettissimo da Buttiglione (CL, appunto) sul piano politico ma anche ecclesiale. In soldoni: noi (Bindi, AC) siamo impegnati nel sociale, lui e loro (Buttiglione e CL) sono dei baciapile. Dimenticava, la Bindi, la canzone liberatoria di fine anni Ottanta: “Solo una sana e consapevole libidine/salva il giovane/dallo stress e dall’Azione cattolica” (Zucchero Fornaciari). Ma, bando agli scherzi: da Ministro della Sanità dal 1996 al 2000, la Bindi ha difeso pubblicamente, in un dibattito TV, l’elettroshock, quando Giorgio Antonucci, vero corifeo dell’antipsichiatria, invece avrebbe potuto spiegarle l’assurdità di tale posizione. Un esempio di come i politici, molto spesso, facciano valere il proprio potere contro la competenza e l’esperienza, difendendo l’indifendibile. In quel momento, poi, la Bindi, finiva per avallare il revival dell’elettroshock che Giobatta (siamo pur sempre a Carnevale, ne contraggo il nome alla lombarda) Cassano, il prof. della struttura pubblica di Pisa, il “mago” della terapia della “depressione”, senza essersi particolarmente documentata sulla questione. Dico la verità: non m’importa molto di questioni politiche, che ritengo quasi sempre lontane dalle questioni sociali, concrete. Certo che, se poi la politica, fatta da incompetenti in senso specifico, morde negativamente su questioni concrete, allora nulla va bene. E ciò non vale certo solo per Rosy Bindi, dottoressa e ricercatrice in giurisprudenza, che non sa di medicina ma si esprime a riguardo, ma in tanti altri casi.
Eugen Galasso
Pubblicato il 24 February, 2011
Categoria: Testi
Sul viaggio di Antonucci alla ricerca di Huber – Eugen Galasso
Leggo il testo di Piero Colacicchi sul viaggio a Heidelberg di Giorgio Antonucci, dello stesso autore, di Aldo Rosselli alla ricerca del dott.Wolfgang Huber, ex-psichiatra nel manicomio (definirlo reparto psichiatrico sarebbe un inopportuno eufemismo) della città germanica. Un viaggio che, annunciatosi come un’impresa (non si sapeva se Huber fosse finito in manicomio, in prigione, additrittura fosse morto), si sarebbe rivelato un vero e proprio “giallo”, per meglio dire un viaggio allucinante, in cui la BRD (Repubblica federale tedesca) si rivela senz’altro non meno intollerante dell’allora esistente DDR (Repubblica democratica tedesca, quella “comunista”, diremmo meglio di osservanza sovietica), tanto che vari membri dell’SPK(Sozialistisches Patientenkollektiv), fondato da Huber, sarebbero finiti, per protesta estrema-disperazione, nella Rote Armee Fraktion (RAF – Frazione armata rossa – la “banda Baader-Meinhof”). Un documento storico prezioso, quello del dott. Colacicchi, redatto da lui ma di cui possiamo senz’altro ritenere coautori anche i dott.Antonucci e Rosselli, che però ci interrogano sull’oggi e sul domani. Se, come è vero, la libertà di una società e di uno stato si vedono decisamente da come gestiscono il “disagio psichico”, le “magnifiche sorti e progressive” dell’Occidente sarebbero (quindi sono, in realtà) più che a rischio. Il dott.Huber, marxista convinto, riteneva che le malattie psichiche fossero senz’altro (tout court, se si vuole) un prodotto della società borghese, una sua invenzione. Chi scrive, forse meno convinto di una tesi marxista onnicomprensiva, che possa spiegare tutto, non nega però che le cause di quello che chiamiamo “malestàr”-“Unbehagen” (l’espressione è di Freud nella sua straordinaria opera”, certo “monca” nei rimedi.”Il disagio della civiltà”-“mal d’e^tre”) siano anche e forse prevalentemente sociali, se per “sociali” intendiamo anche i rapporti inter-personali, però, dove le cause socio-economiche sono determinanti ma non le uniche “parti in causa”. Viaggio “tremendum et fascinans” (mutuo l’espressione dallo storico delle religioni Rudolph Otto, che parla della “visio Dei”. Personalmente mi riferisco più laicamente alla ricerca di Huber), perché, avendone il tempo, rifarei volentieri lo stesso viaggio oggi, per vedere se gli archivi hanno “allentato le molle”, se oggi la repressione di allora s’è ridotta, pur se, conoscendo il riserbo germanico (non avendo problemi con la lingua, ho fatto vari soggiorni di studio in parti diverse della Germania), ritengo che sul tema anche oggi rimarrebbe un velo di “sostanziale omertà” SULLA QUESTIONE, del tutto cruciale per capire se e come possa evolvere la psichiatria convertendosi in antipsichiatria… Nell’Europa del paziente al guinzaglio (cfr.articolo relativo dal “Corriere della sera”, anche in Facebook, spazio di Giorgio Antonucci, relativo a un caso relativo alla “democratica”-sic!- Olanda) una prospettiva ispirata all’antipsichiatria, alle relazioni umane e assolutamente contrapposta alla repressione, ha purtroppo, chances molto limitate, quando si scontra (cosa che n ecessariamente, avviene sempre)con i poteri costituiti. Ultima osservazione: la prefazione di Jean Paul Sartre, riportata sul sito, fermo restando il rispetto per il grande pensatore nonché “decostruttore di Freud”, al libro di Huber e dei suoi collaboratori (Cfr.ibidem) suona non peregrina ma un po’ di maniera…
Eugen Galasso
Pubblicato il 21 February, 2011
Categoria: Testi
Persone – Eugen Galasso
Parlare di personaggi “strani” (ma rispetto a che cosa? Qui torna il concetto di norma, che non ha alcuna “verità”, è “referenzialmente opaco”, direbbe W.Van Orman Quine) sembra necessario. Per comodità, tratterò di tre categorie di “stranezza”, di cui comunque in gran parte – lo premetto per correttezza – non condivido le idee se non in parte, con alcune eccezioni. A)Mistici (inutile dire che essere mistici non vuol dire = religiosi. Robert Musil, l’autore de “L’uomo senza la qualità” e di tanti altri racconti, romanzi, testi teatrali, saggi, parla non a caso di “mistici senza Dio”). Non citerò esempi prima di aver detto dei “religiosi” che, però, in quello che considero spesso bigottismo (culto dei santi, padre Pio etc.), ma anche qui, dice bene ancora una volta Giorgio Antonucci, se li si considerasse pazzi, essendo il loro numero “legione”, non funzionerebbe nulla, essendo in minoranza scettici o non credenti in questi fenomeni (ho iper-interpretato una conversazione con Giorgio, comunque rimanendo nell’ambito del suo ragionamento, senza troppo travisarlo). Dai profeti biblici agli evangelisti, dai mistici medievali (Eckhart, Suso) a Juan de la Cruz a tutto il “siglo de oro” (1600) con Calderon che ci dice essere “la vita un sogno” (ma un contemporaneo “barocco”, tale William Shakespeare, dice che “siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni”) per non dire dei miei troppo amati gnostici, in epoche diverse (dall’antichità alla ripresa gnostica di oggi), a Caterina de Avila, a certo buddhismo, al taoismo, alla grande mistica ebraica (chassidismo e non solo), all’esoterismo, il misticismo identifica l’io e gli io nell’Assoluto (che lo chiamino Dio o meno), comunque intendano questo “Assoluto”, oppure si nullifica – si nega come io, si disloca al di fuori del “conosciuto”. Senza il misticismo (ampiamente inteso) non avrebbe senso gran parte della filosofia, ma ciò vale anche per la psicologia (training autogeno, training induttivo, yoga, dove è ben chiaro che la tecnica non implica l’accettazione integrale della teoria, ma la tecnica comunque ne deriva) nonché per la storia, il vivere sociale etc. Penso ai mistici moderni, come Maurice Clavel e Fernando Arrabal (quest’ultimo e ancora vivente) dilegiati come “folli”, da una cultura del cattivo e pessimo illuminismo e dell’efficienza divenuta valore unico e pervasivo. B)Teorici della politica: è noto che, oltre alla teoria, in politica vale la convinzione, che ha una componente “irrazionale”, id est emozionale e affettiva. Lo si vede in tante espressioni del socialismo, del comunismo (Che Guevara, il maoismo, il trotkismo in certe forme), in tutto l’anarchismo etc.; anche il new deal rooseveltiano, però, era tipica “utopia politica”, come lo era persino (udite, udite!) il libro di Tremonti contro la globalizzazione.
Pubblicato il 20 February, 2011
Categoria: Testi
La rivoluzione basagliana in “Storia e i dossier” – Eugen Galasso
Come ripete spesso e mai a torto, anzi, per necessaria accentuazione, Giorgio Antonucci, molte volte in libri o riviste escono dediche a Basaglia che poi nei fatti (contenuti e forme o, come preferiscono dire io, significati e significanti) non sono per nulla corrispondenti allo spirito della “rivoluzione basagliana”. Una rivoluzione che certamente era tale, ma non arrivò a mettere in discussione il concetto stesso di “malattia mentale”. Ma, venendo all’oggi, ora è il caso di “Storia e i dossier”, Anno VIII, giugno 2010, rivista che esce nella regione autonoma Trentino-Alto Adige, ma ha diffusione nazionale, almeno a livello di biblioteche. Questo numero monografico della rivista, diretta dalla dottoressa Milena Cossetto (storica) è curata dalla dottoressa Daniela Bolelli che, giustamente, chiarisce come “contrariamente a quanto comunemente si ritiene, non fu mai sostenuto da Basaglia e dai suoi collaboratori che la malattia mentale non esiste. Una tale asserzione ha rappresentato un’estremizzazione funzionale all’istituzione manicomiale… ha finito per rappresentare un ostacolo alla pratica terapeutica una volta varata la riforma” (cit., p.7). Ora, se è vero che Basaglia non ha messo di per sé in discussione il concetto di malattia mentale, ciò è meno vero per l’allora giovanissimo psichiatra (ma subito anti-psichiatra!) Giorgio Antonucci, per non dire di altri (ma, certo, per anni, passò per antipsichiatra anche Giovanni Jervis, che non lo era, neppure “psichiatra democratico”,
tanto che difendeva l’elettroshock, contro Giorgio Antonucci, già più volte – e non a caso – citato); meno vero ancora che le “estremizzazioni” (ma, dottoressa, legga o rilegga Laing o Cooper, diamine! Vien proprio da dire) servano all’istituzione manicomiale (perché poi? Perché altrimenti non accetterebbero scelte “estreme”? Non le accettano per nulla, mai, oppure sono sono costretti – quelli dell’istituzione – ad accettarle tutto d’un colpo – come anche con la “Legge 180”) e che abbiano bloccato la “pratica terapeutica”, costituendo un “ostacolo”?
Pubblicato il 16 February, 2011
Categoria: Testi
Viaggio a Heidelberg per cercare notizie sul dott. Huber – Piero Colacicchi
Diario di Piero Colacicchi di un viaggio fatto a Heidelberg, in Germania, su proposta di Giorgio Antonucci, per incontrare il dott. Huber: un medico e scienziato che prese sul serio come compito sociale la pretesa dell’ Università di “mettere la scienza al servizio dell’ uomo”.
“Dopo aver discusso sul da farsi per un intero pomeriggio Giorgio ed io decidemmo di andare a controllare di persona e di farlo in maniera molto aperta in maniera che, se anche non fossimo riusciti a incontrare Huber, si venisse a sapere, perlomeno a Heidelberg,che qualcuno interessato alla sua sorte era venuto ad indagare fin dall’Italia.” continua. pdf
Pubblicato il 12 February, 2011
Categoria: Testi