Pavlov e le emozioni – Eugen Galasso
-Gustave Coubert-
Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936), come studioso-pioniere e fondatore del “behaviorismo”, pur se avrebbe aborrito il termine, poi messo in auge da Watson e Thorndike e al di là di come si valuti poi il metodo, che è anche un orientamento , una “scuola” psicologica, fondata sullo schema (per dirla schematicamente) stimolo-risposta-rinforzo, si è cimentato, in un tardo scritto, “Il riflesso condizionato” (1935-cito dall’edizione italiana ne “I riflessi condizionati”, 2006, Roma, Newton Compton), nella tematica che aveva generalmente non affrontato, da fisiologo e neurofisiologo qual era (non psicologo), quella della psiche umana. A parte il fatto che parla della psicologia come “particolare branca della scienza”, condotta a suo parere “per migliaia di anni” (op.cit., p.232), quando invece bisognerebbe chiarire che: A)La psicologia quale scienza a sé stante nasce nell’Ottocento (Franz Gall, Wilhelm Wundt, Pierre Janet, Jean-Martin Charcot, Cesare Lombroso, e l’enumerazione è fatalmente limitata e riduttiva), al massimo troviamo singole intuizioni in autori del 1700 come John Locke, quando distingue, per es., tra qualità primarie (inerenti realmente alla realtà esterna) e secondarie (ossia dipendenti dall’individualità percettiva umana, come il caldo e il freddo, la percezione visiva e auditiva); B) Se parliamo di “psicologia” a colpi di intuizioni asistematiche e “rapsodiche”, ne è disseminata ogni fase delle creazioni culturali umane, scritte e non, dove allora varrebbe la considerazione pavloviana dei “millenni”; C) Pavlov è sostanzialmente convinto che la fisiologia (neurofisiologia, più correttamente) possa porsi come “clavis universalis” della psicologia, cioè risolverne i problemi. Una tendenza “meccanicistica” (Luciano Mecacci , curatore delle opere pavloviane, non sarebbe d’accordo, ma in sostanza si può dire così), che ri-vive oggi, con una strumentazione scientifica e tecnologica ben diversa, negli studi di neuroscienze: una parte dei neuroscienziati è cauta, riconoscendo che molto è ancora da fare-scoprire, altri ritengono che tutto o quasi possa essere spiegato… Per dare solo un’idea del procedimento di Pavlov nello scritto citato, per non dilungare troppo l’argomentazione, egli, distinguendo tra “nevrosi ossessiva” e “paranoia”, afferma che nella seconda: “i gruppi di cellule colpiti saranno quelli preposti alle ricezione delle sensazioni e all’elaborazione dei concetti”, mentre per “stereotipia, perseverazione e iterazione esistono a causa di un’inerzia patologica dei processi eccitatori a livello delle cellule motorie”(cit., p.254). In altri termini: A 1) le definizioni della patologia psichiatrica per Pavlov sono intoccabili, valgono quali postulati a priori, quando da decenni nonpsichiatria , apsichiatria, antipsichiatria (eventualmente con i trattini, se vogliamo e volete…); B1 ) Tutto sarebbe spiegabile in termini meramente biochimici e “organicistici”, pur se…forse, sentimenti e emozioni hanno un loro “specifico” che non è da ricondurre tout court a queste spiegazioni… Certo, Pavlov scriveva quasi un secolo fa, pur se da pioniere, era imbevuto di una cultura e di uno “spirito del tempo” (espressione di cui abuso, lo so, ma scuserete chi trova efficace l’espressione hegeliana per dire di una particolare fase della cultura), mentre chi ancora, come allora Pavlov (che, da non-medico, si limitava a proporre l’elemento chimico in questione quale risolutivo di determinate “patologie”, bisogna precisarlo) cura “paranoia” e “nevrosi ossessiva”, con il bromuro, forse non ha riflettuto, al di là della teoria, neppure sulle conseguenze di certe diagnosi e soprattutto sulle loro implicazioni terapeutiche. Eugen Galasso
Pubblicato il 18 September, 2016
Categoria: Testi
Psichiatri critici sull’uso dei farmaci e perseveranti nelle diagnosi – Eugen Galasso
Su “Ideas”, supplemento domenicale di “EL Paìs”, giornale di prestigio della sinistra “radical chic” (è meglio dire le cose come stanno; idem vale per “Le Monde” e “Repubblica”, che chi scrive sappia, magari anche – con qualche distingue per la “Frenkfurter Allgemeine”, da tempo si è sviluppato un dibattito sulla psichiatria: se domenica 7 febbraio il giornalista USA Robert Whitaker aveva parlato di “crisi della psichiatria” stessa, negando l’origine biologica delle “crisi” che vengono definite come “malattie psichiatriche” e quindi l’efficacia degli psicofarmaci: ma Wihitaker, lungi comunque dal negare tout court la psichiatria, si riferisce alla situazione “gringa”, che separa, anzi dicotomizza il normale dall’anormale, attribuendo i “disturbi minori” agli psicoanalisti, i “gravi” (leggi “pazzi”) all’assistenza pubblica, dunque con bombardamenti di psicofarmaci; la domenica successiva interviene Miguel Gutiérrez Fraile, già Presidente della Società Spagnola e Psichiatria e docente di psichiatria nell’Università dei Paesi Baschi, ribadendo il valore comunque positivo della psichiatria (“Psiquiatrìa sì, naturalmente”, il titolo, affermando il valore positivo anche dell’esperienza USA, con la “psichiatria comunitaria” introdotta da Kennedy, ma poi, venendo in Europa (Spagna), afferma anche che “Finalmente il malato psichiatrico iniziò ad essere trattato come il resto dei pazienti” et similia. Non solo: ribadisce che “Abbiamo l’onore dubbio di essere l’unica specialità medica ad aver un movimento “anti” “. Due assunti-postulati indimostrabili qui: A)che la psichiatria sia effettivamente una scienza; B)che essa sia parte della medicina. Per Giorgio Antonucci, per es. (ma non solo, penso a Thomas Szasz) ciò non è vero. Più critico, poi, MIkel Munzarriz Ferrandis, presidente dell’Associazione Spagnola di Neuropsichiatria, che saluta l’apertura del dibattito e afferma che gli psicofarmaci sono utili come “coadiuvanti”, ma non sono la soluzione. Manuel Desviat, psichiatra ed ex-presidente della citata Associazione Spagnola di Neuropsichiatria, è ancora più critico verso gli psicofarmaci. Un dibattito certamente salutare, importante, ma i termini della questione non si spostano di molto (o per nulla?) se non si mettono in discussione i due postulati citati sopra. Ma forse non si vuole né può fare, vista la rilevanza e potenza degli interessi in campo… Eugen Galasso
Pubblicato il 7 March, 2016
Categoria: Testi
Psichiatria e politica. Una notizia da Imola – Piero Colacicchi
Estratto dal <IL PONTE>
N. 11 – Novembre 1973
Ho cercato la mia libertà
nella libertà di tutti ( Bartolomeo Vanzetti)
Il primo maggio il prof. Edelweiss Cotti diviene direttore incaricato dell’Istituto psichiatrico di Imola dove vengono ricoverati cittadini delle province di Ravenna e Forlì. I ricoverati sono più di 1200. L’istituzione ha tutti i caratteri tipici della violenza psichiatrica e manicomiale.
Cotti uno dei protagonisti della lotta di Cividale del Friuli (1) inizia una decisa ed efficace politica di dimissioni. In agosto viene assunto Giorgio Antonucci, un altro dei medici di Cividale e l’organizzatore delle visite popolari al Manicomio S. Lazzaro di Reggio Emilia (2).
Antonucci, d’accordo con Cotti, decide di iniziare il suo lavoro nel reparto 14 donne “delle agitate”: è ritenuto dai medici dell’istituto il reparto più difficile e più pericoloso, con persone “irrecuperabili”. Il reparto si può definire senza esitazione un modello di ferocia psichiatrica. Le 41 detenute sono paralizzate da quantità grandissime di psicofarmaci di ogni tipo. Sono in gran numero legate ai letti con cinture di contenzione. Le porte sono tutte chiuse. Il personale passa il suo tempo esclusivamente in opera di sorveglianza. Comunque si vogliano considerare queste persone, ci sembra di poter dire che neanche i leoni sono mai stati trattati in questo modo.
Dopo venti giorni dall’arrivo di Antonucci gli psicofarmaci sono stati eliminati quasi del tutto, le donne legate ai letti sono state liberate e i mezzi di contenzione tolti dal reparto. Aperte finalmente le porte, oggi le pazienti sono libere di muoversi nel parco dell’ospedale che non ha mura di recinzione. Il medico e gli infermieri del corrispondente reparto uomini detto “degli agitati” decidono di seguire l’esempio di Antonucci.
L’Istituto psichiatrico , dal momento che sono stati aperti i reparti ritenuti finora i peggiori, sotto la nuova direzione di Cotti è in piena trasformazione.
1) Cfr. Roberto Vigevani, Assalto a Cividale, <Il Ponte> n.9 , settembre 1968.
2) Cfr. G. Antonucci e P. Colacicchi, in <Il Ponte>, n.11, novembre 1970; Comitato popolare di Ramiseto, ib., n. 5-6, 1971: P. Colacicchi e A. Rosselli, ib., n.10, ottobre 1971
Foto: Massimo Golfieri
Pubblicato il 30 January, 2016
Categoria: Testi
Theodor Reik: sono i poeti l’avanguardia della psicologia – Eugen Galasso
Secondo Theodor Reik (1888-1969), psicoanalista austriaco-americano di ovvie origini ebraiche, di formazione freudiana, ma “dissidente” rispetto a Freud o meglio rispetto a varie sue tesi, in “Of love and Lust” (1957), sostiene che “Sono i poeti, non gli psichiatri né i medici l’avanguardia della psicologia del profondo. I poeti possiedono bacchette da rabdomante che mostrano loro dove son nascosti i più preziosi segreti dell’umana natura” (dalla trad. italiana, con il titolo scioccamente moralistico, “Amore e lussuria”, Milano, Longanesi, 1968, p. 177) Cita il “Faust” goethiano, Shakespeare, Delaleddin Rumi, grande poeta persiano, molti altri poeti (e idem nelle sue opere sul rito e la ritualità), lui, non di formazione medica, ma filosofico-letteraria (intervenne Freud per difenderlo da accuse “corporative” in merito) oltre naturalmente all’esperienza analitica. Credo sia, al di là delle tesi reikiane spesso criticabili (come lo è ogni teoria; a proposito di Reik mi permetto un’aggiunta: nulla a che vedere con Wilhelm Reich, le cui tesi riguardo a amore e sessualità sono, diremmo, antitetiche rispetto a quelle di Reich ), un’affermazione di indubbio coraggio e di modestia non da poco: contro chi crede di avere la verità in tasca, estendendola a ogni ambito dello scibile e soprattutto della vita, Reik parte dall’esperienza, che però è quella detta “clinica” ma anche quella di chi, genialmente e spesso con il linguaggio in genere contratto, sintetico, paratattico, della poesia, ci dice sui sentimenti e sul “sentire” umano più di quanto non ci dicano (spesso) magari lunghissimi trattati di psicologia, per non dire di quell’ambito che si presume e anzi pretende “scientifico” che è la psichiatria, che pretende di giudicare e sanzionare, ossia punire, ogni comportamento umano giudicato non conforme a una presunta “norma”: i poeti, da Omero a Saffo, da Virgilio (sì, persino, il “pacato” Virgilio ci parla senza problema della naturale bisessualità umana) a Baudelaire, da Ariosto a Rimbaud a Campana, da Rumi ad Artaud come a Bigongiari, da Villon a Ginsberg a Pasolini, da Hoelderlin a Brecht, da Calderon de la Barca a Arrabal ci parlano di ogni esperienza umana, senza mai permettersi di “sanzionarla”. Come non fanno per nulla neppure, come noto, Szasz e Antonucci, per fare solo due nomi cruciali… Eugen Galasso
Pubblicato il 23 January, 2016
Categoria: Testi
Il business della (falsa) malattia mentale – Eugen Galasso
Purtroppo non c’è più da stupirsi di nulla: uno dei migliori quotidiani europei, pur se schierato su posizioni quasi sempre neo-liberiste e “centiste”, “El Paìs” dell’edizione speciale domenicale del 15 novembre scorso, a p.18 (in “Negocios”, ossia nella sezione economica) ospita l’intervento di un notevole (per la considerazione di cui gode, beninteso) economista spagnolo, docente a Londra, Luis Garicano, dal titolo inequivocabile: “La salud mental, una inversiòn prioritaria”(La salute mentale, investimento prioritario). Anche rifacendosi agli studi di Lord Richard Layard, economista della “Lord School of Economics” (sorta di “Bocconi” inglese, più quotata ma altrettanto orientata in senso neo-liberista e conservatore), Garicano afferma, richiamandosi a uno studio del 2002 dell’OMS (Organizzazione mondiale della Salute, quella dell’ “apocalisse” sulle carni) che la “malattia mentale” (assunta a priori come tale, si noti!) comporterebbe da sola il 50% delle disabilità (diversabilità sarebbe meglio, come espressione) esistenti. Naturalmente qui si parla, da buoni economisti conservatori (Galicano, sia detto non sottovoce, si candida alle prossime elezioni parlamentari spagnole, con “Ciudadanos” (Cittadini), il pendant conservatore del progressista Podemos), di costi elevati, sempre assumendo come datità assoluta e indiscutibile che la malattia mentale esista. Poi, Garicano, che non riteniamo troppo competente in materia, reclamizza, assumendola come altro valore indiscusso, che la terapia cognitiva (cognitivista-behaviorista, volendo) sia superiore a quella psicoanalitica e ciò perché essa sarebbe più breve (costi ridotti per lo Stato, ma non minori per i”pazienti”, sia invece detto come critica a questo orientamento) ed è certamente molto più “direttiva”: la terapia cognitivista orienta, senza lasciare troppo spazio (anzi quasi nessuno) al dialogo, al dubbio, alla critica. E ciò sia detto tutt’altro che come apologia della psicoanalisi, ma come constatazione. Seguono dati iperbolici sulla depressione, cavallo di battaglia ancora attuale, assieme al disturbo bipolare, degli strenui assertori della psichiatria, depressione che sarebbe aumentata anche a causa della crisi economica mondiale, mentre naturalmente non si fa parola della miseria e povertà indotte…Chiaro che gli interessi economici forti e cruciali di case farmaceutiche, psichiatri e strutture collegate vadano sostenuti, da parte di chi è conservatore politicamente-economicamente e convinto assertore della psichiatria, dove l’endiadi (due concetti in uno, cioè) non è certo peregrina, come possiamo verificare sempre empiricamente: quasi sempre chi è conservatore in politica e in economia, dunque ama Milton Friedman e Von Mises (per citare solo due nomi “à la une”del liberismo), vi dirà che “I matti vanno messi in manicomio” o, se è più prudente, che “comunque le malattie mentali vanno curate”. Con diverse gradazioni, date dalla cultura e dall’atteggiamento della persona, potete starne quasi sempre sicuri… Eugen Galasso
Pubblicato il 14 December, 2015
Categoria: Testi
Per Frigidaire – LA SCELTA – Giorgio Antonucci
Mi aveva
Distratto:
– Il sollievo
Di pensare
Alla morte.
E’ proprio quando difetta la speranza che arrivano i ciarlatani, e vendono al mercato le loro magìe, come prodotto di scienza e guida alla salute.
Arrivano allegri con le pillole della gioia.
Sono i signori del piacere.
Vengono sicuri e presuntuosi come profeti.
Aprite loro le porte e sarete alla fine al sicuro, al riparo da ogni turbamento.
Ora per moltissimi il mondo collettivo è sordo ai desideri, povero di prospettive, e ricco di paure come un mare notturno senza luna.
Altri, in apparenza più privilegiati, sentono, nonostante tutto, di essere solo strumenti fuggevoli di strutture indifferenti.
Così non tutti sono felici di esistere.
Allora tra poco tempo i depressi, così come li chiamano genericamente, rischieranno proprio di essere la maggioranza.
Aumenta sempre più la tristezza e spesso la voglia di morire.
Mentre l’individuo è ogni volta più isolato si moltiplicano le seduzioni illusorie e le risorse ingannevoli.
Nascono e vivono le semplificazioni.
Nei campi di concentramento di Hitler alcuni internati per trovare sollievo si sfracellavano a terra nel fondo della cava di pietra.
Hitler è passato ma non i suoi metodi.
E nemmeno le sue istituzioni.
Anche ora il terrore sociale è così forte e così grande la paura delle autorità e così poca la sicurezza di se stessi che è accaduto non di rado che giovani studenti si sono uccisi per insuccessi scolastici o fanciulli hanno cercato la morte per senso di colpa o altre forme di disperazione.
Che il nostro cervello sia un sistema chimico complesso, come ciascun organo vivente, è una idea che tutti abbiamo, da Rita Levi Montalcini al portinaio della Casa di Riposo, per cui è perdita di tempo ritornarvi sopra, come fosse un argomento a favore o contro l’esistenza degli psichiatri e delle loro prodezze, oppure a vantaggio o svantaggio delle teorie psicoanalitiche e della psicoterapia.
Sappiamo anche tutti che le funzioni del sistema nervoso centrale possono essere momentaneamente influenzate o modificate da composti chimici di vario tipo detti per questo dagli specialisti neurotropi, come neurotropi sono certi virus che hanno affinità particolari per il cervello.
Così sono sostanze neurotrope le droghe come gli psicofarmaci.
Chi è angosciato o triste o depresso può allentare la tensione sia con un bicchierino, sia con una pera, sia con una pillola comprata dal farmacista.
E forse anche con un po’ di chiacchiere.
Ma questo non vuol dire affatto che la depressione è una malattia o un difetto del cervello o una eredità genetica e che sono salute solo l’allegria, la spensieratezza e l’incoscienza.
Né che è fisiologico solo il comportamento prescritto dai costumi.
La grande costellazione chimica del cervello dell’uomo, complicata più del cielo stellato, è costruita sia per la gioia sia per il dolore e per molte scelte differenti che vanno molto al di là dei costumi limitati di una singola cultura.
Il nostro pensiero ha costruito molte culture e molte ne costruirà ancora finché saremo al mondo.
Il cervello non è una macchinetta a gettone.
E può scegliere sia la vita che la morte.
Tuttavia il compito degli psichiatri non è quello di diminuire il dolore o aumentare la gioia o ravvivare il significato di un’esistenza incerta o dubbia o in pericolo, ma è più precisamente quello di controllare con le buone o con le cattive (pratiche) gli umori il comportamento e il pensiero dei cittadini perché rientrino negli schemi dell’ordine costituito come unico ordine possibile e unica misura di saggezza.
Per questo se non stai buono ti bruciano il cervello con gli psicofarmaci o con l’elettrochoc o ti spaventano con i ricatti.
Con loro la vita diventa meno attraente e minore la voglia di lottare per ritornare alla speranza.
Più difficile essere se stessi e padroni del proprio mondo.
Più frequente la voglia di farla finita.
Senza di loro si comincerebbe a discutere di vita e di morte al di là dei pregiudizi con la libertà di pensiero necessaria ad affrontare ogni tipo di problema.
Avrebbe principio una psicologia degna di questo nome, fondata finalmente sull’intelligenza.
Firenze, 13 settembre 1993
Pubblicato il 31 October, 2015
Categoria: Testi
Il Patibolo – Giorgio Antonucci
Joan Mirò – La Danzatrice –
“Uomo, tu sei qui solo, sei solo nel mezzo della gente: solo sei nato, e solo devi lasciare il mondo”.
Veikko Koskenniemi
– Ora l’immagine è più importante del fatto – : si discute di pena capitale nascosta in prigione o in diretta televisiva invece che inorridire perché lo Stato si permette di disporre della nostra vita.
Nel Medio Evo e nel Rinascimento il supplizio comminato ai sudditi dai potenti era spettacolo di popolo in piazza.
L’episodio più grande della storia della Toscana è l’aver abolito per prima la pena di morte.
Ma la burocrazia di Stato continua il suo corso.
La maggior parte delle nazioni del mondo conserva la pena capitale anche per reati senza danno diretto alle persone.
La schiera degli schiavi deve vivere nel terrore, tutti devono, non solo sapere, ma anche vedere coi loro occhi di carne, che la trasgressione è mortale, sia nel’azione sia nel pensiero.
La virtù del popolo è la sottomissione, e questo deve essere frequentemente ribadito col sangue.
La morale dei sudditi nasce e si mantiene con il terrore, mentre la concezione etica del mondo è ancora un’utopia, perché il potere è maestro di sopraffazione.
Il potere è male in sé, come scrive Burckardt.
Ma Mosè disse “Tu non ucciderai” oppure disse “L’omicidio va bene solo quando è legale”?
S’io dovessi scegliere tra omicidio e omicidio troverei più umano il delitto del singolo come effetto di passione, che quello al servizio dello Stato, come effetto di ordini ricevuti.
Si può uccidere per amore o per odio, ma squallido è l’omicidio a freddo di carattere burocratico, sia nella pena capitale, sia nel bombardamento di guerra.
Preferisco Otello ad Eichmann, anche se a scuola ci insegnano il contrario.
E così il singolo, lacerato dalla morale di Stato, e dalle altre morali autoritarie, vive in tradimento della sua sensibilità, e si consuma nei sensi di colpa, che spesso sono motivi di suicidio.
Ho imparato
-scrisse la giovinetta-
a desiderare con paura
e ogni mia
gioia
mi pareva
un peccato
Così mi sono
Uccisa
Per punirmi
-che non nascano più
sotto il sole e la luna
queste amare apparenze-
Così pregavo
Prima di morire
Il mio Dio.
Firenze, febbraio 1991
Pubblicato il 25 October, 2015
Categoria: Testi
All’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite e ai Capi degli Stati implicati nel conflitto.
“L’errore – scrive Gandhi – non diventa verità perché si diffonde e si moltiplica facilmente, la verità non diventa errore perché nessuno la vede”.
Noi non vorremmo la guerra nemmeno se fosse senza morte, perché noi rifiutiamo la logica del diritto del più forte e riteniamo che ogni singolo uomo debba essere considerato uno scopo e non uno strumento. Questo è il messaggio fondamentale che ci arriva da tutta la nostra cultura sia religiosa che laica, a partire da Isaia e da Cristo, per giungere a Voltaire e Kant, a Beccaria e Manzoni, a Russel e Einstein, a Schweitzer e La Pira.
Il fatto che la Costituzione della Repubblica Italiana rifiuti la guerra così come rifiuta la pena di morte non è un dettaglio casuale e contingente, ma è il frutto di una cultura precisa che noi difendiamo; e non è solo un patrimonio nazionale o locale, ma l’attuazione di principi universali, ormai indispensabili sia alla libertà degli individui, sia allo sviluppo dei popoli, sia alla sopravvivenza della specie.
Per questo chiediamo la sospensione immediata di tutte le ostilità e l’inizio del dialogo.
Non resterà a nessuno, altrimenti, – come dice Omar Khayyam – questo vecchio mondo.
Comunicato per la pace di un gruppo di cittadini.
Pubblicato il 25 October, 2015
Categoria: Testi
La normalizzazione coatta nella cultura – Eugen Galasso
Leggo in Gérard de Nerval (1808-1855) la frase seguente, inserita nel “Voyage en Orient”, racconto “Histoire du calif Hakem” (realmente esistito, 11° secolo, personaggio contraddittorio quanto stimolante, lontanissimo da ogni “islamismo”): “IL rispetto degli Orientali per i folli non arriva a lasciare in libertà coloro che potrebbero essere pericolosi” (cito da Nerval, “La harem”, antologia tratta dal citato”Voyage”, Paris, Gallimard, folio, 2015, p.110). Da chiarire che in Oriente , come anche nelle civiltà antiche, il “folle” (ossia chi sfugge alla maniera consueta di pensare e agire) era considerato = il veggente, chi è in contatto con la divinità, con l’Assoluto, ricevendone comunicazioni comunque importanti, anche se spesso indecifrabili o incomprensibili, almeno di primo acchito, se non si sa “decriptare il messaggio”. Anche il citato califfo arriva in “manicomio”, venendo ritenuto “pericoloso” per una serie di equivoci, anche perché s’era travestito da “altro” dal califfo… Su ciò, sulla presunta “pericolosità” si possono vedere le giuste annotazioni di tutta l’antipsichiatria e della non-psichiatria, ma anche le statistiche ufficiali dimostrano che quasi nessun omicidio o atto violento è imputabile a coloro che la società tuttora si ostina a definire “malati di mente” et similia. Le annotazioni storico-culturali hanno un valore fondamentale dal punto di vista antropologico, dimostrando, tra l’altro, data la relatività delle culture e dei rispettivi “patterns”, ossia modelli di pensiero e comportamento, che il concetto di “follia” corrisponde solo a un modello occidentale-borghese di cultura e di “normalizzazione coatta”, come Foucault, dal canto suo, ha dimostrato inoppugnabilmente. Eugen Galasso
Pubblicato il 12 October, 2015
Categoria: Testi
Giorgio Antonucci – 7′ Vetrina dell’editoria anarchica e libertaria, 2015
Chiara Gazzola, scrittrice e antropologa presenta, a Firenze, alla “Vetrina dell’editoria anarchica e libertaria”, ottobre 2015, il suo ultimo libro “Fra diagnosi e peccato, la discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione” con Pippo Gurrieri e Giorgio Antonucci.
Nel video Qui sono raccolti solo gli interventi del dott Giorgio Antonucci.
Chiara Gazzola scrive su Cenerentola, anno 14 – n.182, nell’articolo “A proposito di -Fra diagnosi e peccato”, che la conversazione riportata in appendice, con Giorgio Antonucci è eccezionale, “… pur avendo scritto molti libri (Antonucci), non ha l’arroganza di dire che la pazzia non esiste; la sua competenza culturale lo spinge semmai a considerare la follia come un argomento principe in ambito filosofico: non è la scienza medica, tanto meno la psichiatria a saper “spiegare la follia”…Antonucci non soltanto ha criticato i metodi invasivi della psichiatria, ma ha dimostrato quanto il danno si origini nel formulare diagnosi: tolgono dignità, screditano la sofferenza, sigillano un mrchio attraverso il quale si giudica la “diversità” (di pensiero, di comportamento, di aspirazione ideale)…”.
Il video completo della presentazione Qui (45′).
Pubblicato il 7 October, 2015
Categoria: Testi