Honduras: cose da terzo mondo. – Eugen Galasso


A Comayagua, Honduras centrale, un incendio in carcere ha provocato certamente più di 350 vittime, oltre a feriti, contusi etc. Sarebbe sciacallaggio mediatico voler attribuire semplicisticamente tutta la responsabilità di ciò al governo honduregno (attualmente presidente è Porfirio Lobo), ma è certo che dopo il golpe del giugno 2009, che ha cacciato il presidente legittimamente eletto, la situazione sia drammaticamente peggiorata, nel terzultimo stato per condizione economica in latinoamerica, che è anche uno dei paesi più violenti del mondo. Porfirio Lobo, tra l’altro, tornato al potere dopo il golpe e un interregno feroce gestito da Roberto Micheletti (l’italo-honduregno “dal pugno di ferro”, comunque espressione dell’esercito dell’Honduras tout court), quale leader del blocco conservatore era stato sconfitto proprio da Zelaya alle elezioni del gennaio 2006. E’ indubbio, in ogni caso, che la situazione pessima, sul piano economico e sociale, sia peggiorata parallelamente  anche a livello di diritti umani, facendo precipitare ogni “habeas corpus”. Da sempre l’Honduras è paese in cui latifondisti, multinazionali, organizzazioni criminali hanno molto da dire, in un intreccio di potere molto forte e nel quale l’intreccio tra i poteri penalizza i più deboli, quali carcerati, “malati psichiatrici”, malati, persone svantaggiate sul piano economico.  A parte il fatto che vari carcerati lo sono per “reati politici”, è da rimarcare il comportamento violento dei poliziotti honduregni, che hanno usato subito i lacrimogeni contro i familiari delle vittime dell’incendio. Temi su cui riflettere maggiormente per tutti noi, credo. Con il colpevole disinteresse di chi scioccamente dice “cose da terzo mondo”, quasi la mondializzazione/globalizzazione non fosse in atto già da decenni.

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 February, 2012
Categoria: Notizie

Articolo su Giorgio Antonucci in intervista a”La Nazione” sul significato della depressione – Eugen Galasso



Giorgio Antonucci, che da decenni nella pratica e nella teoria (libri, conferenze, saggi etc.) si batte contro il pregiudizio psichiatrico, ribadisce giustamente tali posizioni in un’ intervista/conversazione a “La Nazione” del 7 febbraio 2012, con Ilaria Ulivelli,  dove smonta l’illusione-mito fabbricato ad arte (dei produttori di psico-farmaci, soprattutto) della depressione, ricordandoci, invece, che esistono  problemi di  felicità o tristezza, voglia di vivere più o meno intensa, in quella che (credo Giorgio sarebbe d’accordo, nell’uso di quest’espressione come nel concetto che sottende) è una società “tanatofera”, che cioè “porta la morte”, che scoraggia la felicità. Se pensiamo all’imprenditore come all’operaio che si uccidono (non è interclassismo, è scelta diversa, ma motivata da problemi economici oltre che esistenziali), a chi non ha più voglia di vivere, magari senza volerne trarre fino in fondo le conseguenze, credo sia chiarissimo quanto Antonucci vuol dire. Così anche: il no al TSO (internamento, in realtà, in strutture psichiatriche, che solo nominalmente sostituiscono manicomi), alle terapie psichiatriche incluse i famosi psicofarmaci nuovi, di cui molti (psichiatri e fabbricanti-commercianti di queste “droghe legalizzate”) decantano “magnifiche sorti e progressive” (così ironicamente o meglio con amara ironia Giacomo Leopardi, non a caso, contro, tra l’altro il parente acquisito Terenzio Mamiani…). Il problema sarà quindi ancora una volta il dialogo e l’ascolto per problemi che sono esistenziali, filosofici, appunto, non medici. Se Antonucci non viene accettato dalla medicina ufficiale (una lode a un giornale altrimenti “conservatore” come il QN -“La Nazione” per avere ospitato comunque questo articolo-conversazione) è perché smonta il potere e gli interessi della psichiatria e di quanto è peritestuale e periferico ma afferente alla stessa.

Eugen Galasso

Pubblicato il 15 February, 2012
Categoria: Testi

Policlinico S.Orsola: trattamenti non pattuiti – Eugen Galasso


Contro la volontà del chirurgo, in molti casi, non c’è nulla da fare, nel senso di trattamenti aggiuntivi, non pattuiti. Il paziente, in particolare quando è sotto anestesia totale (ma in certi casi anche parziale) non ha alcuno spazio di libertà da esprimere. Così i “diritti del malato” (c’è persino il tribunale relativo) va a farsi benedire. Un esempio (ma sarebbero legioni): a Bologna, presso l’ Ospedale S.Orsola-Malpighi, quindi un centro policlinico di eccellenza, qualche giorno addietro la responsabile del “Centro di relazioni umane”, psicologa, durante un intervento per la rimozione di un tumore al seno, è stata sottoposta, appunto in anestesia totale, all’impianto (non voluto, da sottolineare), di clips al titanio e ha appreso la novità solo al suo risveglio. Facendo anzi rinnovando gli auguri di pronta guarigione e di ottima convalescenza alla persona è però da ribadire come il chirurgo agisca sempre per un “motu proprio”, certo in conformità a quanto ritiene opportuno, sul piano terapeutico, ma tenendo in “non cale” la volontà del paziente. Non essendo medico, sarebbe scorretto se entrassi in dettagli che mi sfuggono, ma credo sia chiaro il concetto generale.

Eugen Galasso

Pubblicato il 14 February, 2012
Categoria: Eventi, Testi

Abusi e tso: le vicende di Davide Omet – Eugen Galasso


In realtà, le vicende di Davide Omet di San Daniele del Friuli, sottoposto a continui arresti/sequestri/TSO e quella di Katia, “oligofrenica” sottratta alla madre , che ora può andarla a trovare solo un’ora in settimana al ricovero, nella loro differenza di fondo, presentano sorprendenti analogie. I meccanismi di reclusione, di repressione, di privazione della libertà , contro l’enfasi retorica conclamata dei Grandi Valori, dell’Umanesimo Cristiano (che implicherebbe mitezza e  tolleranza, ma poteri politici e religiosi hanno dimostrato di praticare ciò “a modo loro”, cioè a dire bruciando sul rogo, sterminando, con quella logica del nazismo, che ha avuto la terribile, orribile, vomitevole onestà di esplicitarla,  che si chiama “ausmerzen”, “sradicare”) funzionano sempre contro la persona, dato che si fa paura, fondamentalmente, del fatto che la persona pensi, agisca, in un’ottica non di e da mero gregge. E non è, si badi, solo questione sociale e politica ma anche di rapporti tra persone (qualcuno dirà, giustamente, che anche queste questioni sono “politiche” e “sociali”), dove, per esempio la “direttrice del centro di Torino” si barrica dietro la propria “neutra freddezza” per non esprimere le proprie paure, le proprie ritrosie. Chi non raggiunge determinati standard lavorativi, “psico-fisici”, sociali, viene espulso, in un modo o nell’altro, come anche chi “non si rassegna a portar le catene” (“Il fannullone” di De André-Villaggio). Aggiungere altro rischia di farci ripiombare in una sorta di “controenfasi”, anche perché le testimonianze e i documenti, nella loro drammatica evidenza, parlano da soli.

Eugen Galasso

Pubblicato il 10 February, 2012
Categoria: Testi

L’antipsichiatria: “Malattia mentale? Non esiste” – Articolo/Intervista di Ilaria Ulivelli a Giorgio Antonucci


La Nazione, martedì 7 febbraio 2012


“Depressione è un termine sbagliato: le persone possono essere più o meno tristi, possono avere più o meno voglia di vivere. Ma non per questo devono essere ‘bollate’ come depresse”. Giorgio Antonucci, medico e psicoterapeuta, un faro dell’antipsichiatria (“La psichiatria è fatta apposta per togliere la libertà agli altri”, è il suo pensiero), ribalta gli assiomi. Un rivoluzionario, per sempre. Fin dal 1963, quando inizia la sua formazione come psicoanalista con Roberto Assagioli (fondatore della psicosintesi) e comincia a dedicarsi alla psichiatria cercando di risolvere i problemi dei pazienti evitando i ricoveri e qualunque metodo coercitivo. Niente etichette, niente manicomi, niente forzature perchè <la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che a volte possono essere insolubili>. Ma allora come si possono curare le persone che soffrono? “Se ci sono problemi da discutere, si discutono: la persona non deve essere curata con la clinica ma deve essere ascoltata per quello che è. Le malattie sono un’altra cosa. Anche Freud ha detto che i problemi psicologici non sono problemi clinici. Partendo da qui, ogni caso si affronta a sè”.
Antonucci lavora sul pensiero: “E il pensiero non può mai essere sano o malato, può essere solo giusto o sbagliato: gli organi sono malati o sani”. Il suo lavoro, sul piano teorico, è la negazione del pensiero psichiatrico. Si avvicina alla corrente esistenziale-umanistica di Carl Rogers e alle correnti di critica alla psichiatria (di Goffman, Laing, Cooper e Szasz) e alla critica all’istituzione manicomiale di Franco Basaglia con cui collabora nel 1969 a Gorizia. “Quando lavoravo con Basaglia, che contrastava le istituzioni psichiatriche, gli dicevo che per criticare le istituzioni bisognava mettere in discussione anche il pensiero che le ha create”. Quindi la psichiatria.
“Gli uomini possono essere felici o infelici, pensare che la vita valga o non valga la pena di essere vissuta – spiega Antonucci – e sono liberi di cambiare opinione: i problemi devono essere affrontati sul piano del pensiero critico, devono essere discussi, perchè sono problemi filosofici e non hanno nulla a che vedere con la medicina e con la malattia mentale. Per questo motivo non si può classificare la depressione e non si può dire quanti depressi ci sono, perchè il termine non ha nessun significato”.
Riassumendo, Antonucci è il fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica che si basa sui seguenti assunti:

1) Il trattamento sanitario obbligatorio non può essere un approccio scientifico e medico alla sofferenza in quanto basato sulla forza contro la volontà del paziente.
2) L’etica del dialogo viene sostituita all’etica della coercizione. Il dialogo non può avvenire se non fra individui che si riconoscono come persone in un confronto alla pari.
3) La diagnosi viene negata in quanto pregiudizio psichiatrico che nega di intraprendere il vero lavoro psicologico alla sofferenza degli uomini per le contraddizioni della natura e della coscienza e per le contraddizioni della società e per i conflitti della convivenza.
4) Gli psicofarmaci o droghe psichiatriche servono per sedare, drogare la persona e per migliorare le condizioni di vita di chi si deve occupare dello psichiatrizzato. Vengono negati tutti gli altri strumenti che danneggiano la persona dalla lobotomia, alla castrazione (proposta da alcuni in Italia in rapporto ai reati sessuali) e tutti i tipi di choc.
5) Per criticare le istituzioni bisogna mettere in discussione anche il pensiero che le ha create.

Pubblicato il 8 February, 2012
Categoria: Notizie, Testi

“FOUCAULT” E L’ANTIPSICHATRIA – Eugen Galasso



Sapevamo che Michel Foucault , con l'”Histoire de la folie è l’age classique” (storia della follia nell’epoca classica, in italiano) aveva fatto da antecessore, da “apripista” esterno (antropologo, storico, filosofo, comunque si voglia considerare il più grande pensatore del Novecento, almeno per molte persone). Se consideriamo che la prima edizione dell’opera nell’originale francese è del 1961, bisognerà pur riflettere sul fatto che Ronald Laing, solo di un anno più giovane di Foucault (1926, data di nascita di Foucault, mentre Laing è del ’27) scrisse “The divised self” (L’Io diviso) già nel 1955, da giovanissimo, ma partendo da un’impostazione teorica totalmente differente (in Laing: la psicologia esistenziale di Biswanger e di Jaspers). Ma prima di Laing assolutamente nulla. Né i contributi di Franco Basaglia (nato nel 1924) sono importanti, prima di metà anni Sessanta. Ora, in questo “Le beau danger” (Paris, Ehess, ossia Editions de l’Ecole des hautes études en sciences sociales, 2011), testo inedito in italiano,  che recupera un’ intevista con il filosofo con il grande poeta Claude Bonnefoy (definiamolo approssimativamente così) Foucault, troviamo non la ripetizione di concetti espressi nelle opere, ma una ridefinizione di approcci alla scrittura e il chiarimento di punti di partenza. Molto “timido” e prudente, Foucault rivendica però i concetti di quell’opera ripresi poi sempre.  Ecco un estratto dall’opera (conversazione, ma è comunque un’opera) citata:  (qui Foucault, figlio e nipote di medici, anche chirurghi “prende posizione”, si rapporta cioè al problema: “La psichiatria aveva uno statuto molto particolare, a dire il vero uno statuto peggiorativo. Perché? Perché per un vero medico, per un medico che cura i corpi, a maggior ragione per un chirurgo che  li apre, è evidente che la follia sia una “cattiva” malattia (correttezza vuole che io precisi che le virgolette sono mie, E.G.).  E’ una malattia che, per esprimerci all’ingrosso, non ha sostrato organico e in cui un buon medico non può riconoscere un sostrato organico ben preciso. In questa misura, si tratta di una malattia che gioca uno scherzo al vero medico, che scappa alla verità normale (anche qui ci sarebbe da virgolettare, ma…, E.G.). E’, di conseguenza, una falsa malattia ed è prossima a non essere una malattia per nulla. Per arrivare a quest’ultima conclusione, che la follia è una malattia che pretende di essere tale ma che non lo è, non c’è che una piccola distanza da superare… Se la follia è una falsa malattia, allora che cosa dire del medico che la cura e che crede che non sia una malattia?  Questo medico, cioè lo psichiatra, è necessariamente un medico dileggiato, che non sa riconoscere che ciò con cui ha a che fare non è una vera malattia, dunque è un cattivo medico e, dunque, a dire il vero, un falso medico. ..”(op. cit., pp.43-44). Credo che queste riflessioni di un grandissimo pensatore, di una persona estremamente intelligente, non solo di un “intellettuale” (riprendo la distinzione non peregrina ventilata da alcune persone “fuori quota”-Juliette Greco, inter  ceteros, dove temo fortemente di dovermi mettere tra i secondi…) ci spieghino le aporie di una concezione della “malattia mentale” che, da un lato vuole affermarla come realtà di malattia, dall’altra non ne conosce-riconosce eziologie organiche e quindi entra in un paradosso dove l’unico motivo per affermare che la “pazzia” esista è la conservazione di poteri (quello medico-psichiatrico, quello della chiesa “una santa, cattolica, apostolica” gerarchiamente intesa, che deve affermare, pena sua sparizione che i “pazzi”, come gli “eretici”, i “reprobi” esistono). Tutti  concetti che, mutatis mutandis, troviamo negli approcci a-psichiatrici, anti-psichiatrici, che anche recentemente Giorgio Antonucci ha ribadito, da altri punti di vista anche diversi, giungendo però ad analoghe conclusioni. 

Eugen Galasso  

Pubblicato il 31 January, 2012
Categoria: Testi

Peter Shaffer: “Equus” – psicoanalisi e psichiatria in teatro – Eugen Galasso


In “Equus” del 1973 il drammaturgo inglese Peter Shaffer, autore anche, ma successivamente, di “Amadeus”, dove pur si sottolinea in chiave grottesca, ma non psichiatrizzante, l’ “altro” di Mozart con il suo “cachinno”, si parla poeticamente (ma il teatro è anche poesia visiva, più che scritta) di un ragazzo che aveva accecato dei cavalli, dove Shaffer era partito (lo scrive nella premessa al dramma) da un fatto di cronaca, immaginando il resto. Avendo lavorato da manutentore in una scuderia il ragazzo, innamorato di cavalli, aveva vissuto un’esperienza piacevole (“La prima volta” con una ragazza) interrotta dallo sguardo, per lui inquisitorio, di un cavallo bello, grande e imponente.  Lo psicoanalista (ma è una sorta di impiegato da AUSL, salvo che il sistema sanitario inglese è molto diverso, anche se all’epoca era “socializzato”, perché governavano i Laburisti, quindi una via di mezzo tra psichiatra e psicoanalista), che lo “cura” è un frustrato per motivi familiari (rapporto conflittuale e di disprezzo verso la moglie) e progressivamente si accorge di essere inadeguato, in un climax che verso il finale lo porta allo scacco, al fallimento. Si inizia così: Dysart (lo psico):”Sogni molto?” Alan (ragazzo):  “E lei?”  Dysart: “Far domande è il mio lavoro. Tu pensa a rispondere”. Alan: “Chi lo dice? ” Dysart: “Lo dico io. Sogni molto?” Alan “E lei?” Dysart: “Andiamo Alan…”  Alan: “Rispondo se risponde lei. Una volta per uno” (Pausa)  Dysart: “Va bene. Ma dobbiamo sempre dirci la verità” Alan (con scherno): “Ci sto”. Dysart: “Sogni molto?” Alan: “Sì. E lei? ” Dysart: “Fa spesso lo stesso sogno?”. Alan: “No. E lei?”….(Atto nono, scena prima, op.cit., traduzione italiana, Genova, ediz. Teatro di Genova, terza edizione, 1974, p.31).  Qui si vede come lo psicoanalista si limiti a una batteria di domande in stile inquisitorial-menefreghista,  non rendendosi conto che l’altro glissa ogni sua domanda.            
Idem quando (cit., oltre, a pp.53-54,scena sedicesima),  vuol sapere se Alan aveva appuntamento con la ragazza e quando l’altro non glielo dice, si inalbera, gridando: “Dimmelo!” dove almeno una nota di rabbia, rancore e invidia non può non trapelare (come dire: “Lui sì, io no”), fino alla rabbia sorda ma non sciocca e non priva di ironia della sua messa a nudo -autodichiarazione dove dice: “Il Normale (sic!) è l’indispensabile e micidiale Dio della salute e io sono il suo sacerdote” (Scena 19.esima, p.60), per non dire di un finale feroce dove afferma ad Alan, gridando che lo libererà e che “Non soffrirai più. Non soffrirai quasi più (significativa diminutio, E.G.) affermando di aver un “disperato bisogno di trovare il modo di vedere nel buio” (Atto 2°, scena 35 , finale, a p.105). Shaffer, che è un grande del teatro, fa un po’ di confusione tra Freud (sorta di nuova “scena primaria” con il cavallo-padre-Superego castrante ma anche come simbolo archetipico di forza e bellezza insuperabile) ma la produzione di senso è assolutamente chiara, contro psichiatria e psicoanalisi velata da psichiatria…

Eugen Galasso

Pubblicato il 27 January, 2012
Categoria: Testi

“Siete malati e non lo sapete”: D.S.M. – Eugen Galasso



Mentre incombe la pubblicazione (2013) della nuova tassonomia psichiatrica made in USA, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disordes), che vuole stabilire (imponendola a tutto il mondo, quando parte dai soli “United States of America”, nel nome del comunque mai sopito neo-imperialismo postbellico) i “disturbi mentali”, con “significative” variazioni del tipo: “disturbo parafiliaco coercitivo” invece del classico ma vecchio “perversione”, dove però lo stigma rimane, similmente al concetto di “comportamento intrinsecamente disordinato” con cui Catechismo della Chiesa cattolica e molta teologia morale stigmatizzano le “perversioni”, dove addirittura si indicano possibili disturbi futuri (richiamando il dottor Knock de Jules Romains, l'”antipsicoanalista” Gerard Pommier richiama il “Siete malati e non lo sapete!”), nel mondo più “civilizzato” e acculturato si incrementano ricerche basate sulle immagini cerebrali e allora se una certa parte del “cavolfiore sanguinolento” (come il filosofo Lombardi Vallauri ironicamente definisce il nostro nobile organo) risulta, all’esame spettrografico, rossastro o di colore arancio, invece che verde o azzurro, è…depressione.  Di qui un fiorire di psicofarmaci (soprorattutto neurolettici, dove anche la denominazione è flou, ma si confronti il libro “Sorvegliato mentale” di Maria R.D’Oronzo e Paola Minelli, Torino, Nautilus, 2009), sorta di “lobotomia medica”, invece che chirurgica, per usare l’espressione di Henry Laborit, del…1951 (sic!) , dove è necessario dire che il grande biologo e pensatore (etologo e non solo) francese aveva contribuito a introdurre la clorpromazina come sostanza principe per il “trattamento della schizofenia”, dove, però, bisogna precisare che tale definizione è “appannaggio” degli psichiatri e non di Laborit…   Da approfondire, il tema, in considerazione del fatto che, per es. un recente studio dell’università del Texas ha pubblicato degli studi sul farmaco Paxil , antidepressivo somministrato ad adolescenti (in D’oronzo -Minelli, cit., p.101 e p.113), omettendo, però che i tassi di suicidio e aumento di rischio suicidiario sono aumentati di molto, dopo la sua somministrazione.   Con tutto ciò impossibile dimenticare che il giro d’affari legato agli psicofarmaci è mostruoso, tanto che (è solo un dato tra i tanti, ma emblematico della questione negli States e non solo) nel 2009, in occasione della riforma della sanità voluta da Obama, 544 milioni di dollari (poco meno in Euro) sono stati sborsati per assicurare presso i legislatori gli interessi della assicurazioni, come delle case farmaceutiche e dei  “dispensatori di cure”… Mentre invece, pur in un’ottica ancora “psichiatrica” Olivier Appaix, economista della salute e dello sviluppo, scrive che “Nel lungo periodo, esercizio, socializzazione, lavoro rendono la vita delle persone affette da disturbi mentali ben più sopportabile” che con l’assunzione di psicofarmaci. Chiaro che, come si rilevava prima, la definizione di “persone affette…. ” non ci interessa e forse più del lavoro e della generica “socializzazione” servono sentimenti positivi e la vita nel suo complesso.

Eugen Galasso

Pubblicato il 22 January, 2012
Categoria: Testi

Manicomi giudiziari: break in the wall – Eugen Galasso


Se la Commissione Giustizia del Parlamento ha deciso all’ unanimità che gli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari) debbano essere chiusi entro il 31 marzo 2013, c’è il rilievo per cui non c’è piena adesione del governo al testo della commissione stessa. Questione finanziaria o politica non sappiamo, certo che questa scelta minima di civiltà (chiudere un’espressione della barbarie moderna) sarà solo “break in the wall” (breccia nel muro) in quella demolizione della barbarie complessiva di un’ideologia (la psichiatria è non scienza ma pura ideologia, al servizio di un preteso e presunto “quieto vivere” della società) che da sempre fa acqua da tutte le parti. Che ciò sia stato individuato da una linea di pensiero che va da Foucault al “Centro di relazioni umane”, con l’apporto determinante del pensiero di Giorgio Antonucci non impensierisce certo i “poteri forti” ma neppure quella grigia “maggioranza silenziosa” aduso al detto “Voglio la mia tranquillità”, senza capire che anche questa è un mito assurdo.

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 January, 2012
Categoria: Testi

Casseri, l’erudito – Eugen Galasso



Anche sul sito nazionale di “Casapound” (www.casapounditalia. org), la presa di distanza ipocrita dall’assassinio di due Senegalesi a Firenze da parte di Gianluca Casseri batte il tasto sulla “tragedia della follia”. Non entro qui in merito a idealità e obiettivi, che rispetto (nel senso di accettare che vi sia chi vi ci si riconosce) senza condividerli per nulla, ma entro in merito alla motivazione che parla di “sanità mentale”. Riconoscono – bontà loro – che Casseri era un loro “simpatizzante”, ma giocano sulla distinzione tra simpatizzante e militante. Una forma di ipocrisia, appunto, anche perché oggi i confini del “militantismo” politico sono labili, come labile e spesso “fuori uso” o almeno non ben definibile è la figura stessa del militante. Ma poi: tragedia della follia, quella di Casseri o invece deliberata espressione di odio razziale? Chi scrive, negando il concetto stesso di “follia” propende certo per la seconda ipotesi, dove una forma di cultura mal introiettata (diremo così, per non offendere la memoria di una persona che è comunque un criminale, certo non riscattato dal suicidio) porta a un atto criminale tout court, cui Casseri, “togliendosi di mezzo” ha voluto sfuggire solo per non subire l’ “onta” di una condanna. E qui, fatto salvo il principio del (relativo, però) rispetto di ogni persona e del suo pensiero, bisogna pur individuare nel razzismo un’ideologia assurdamente contraria non solo alla “ragione”, che è in genere ragione strumentale del più forte, ma ad ogni forma di convivenza umana. Non sarà che Casseri, autore di qualche pubblicazione, rientri nella categoria dell’ “erudito sciocco”?

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 January, 2012
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo