Dacia Maraini – “La grande festa” – racconta l’incontro e il lavoro di Giorgio Antonucci




…Sono corsa all’ospedale psichiatrico e l’ho trovata lì, legata mani e piedi, su un lettuccio di ferro. Tremava, aveva gli occhi spenti e mi guardava senza riconoscermi.
“Che t’hanno fatto?”
Ma non rispondeva.
Sono andata alla direzione. Ho contrattato la sua uscita. Se mi prendevo tutte le responsabilità, si poteva fare. Ho firmato.
“Ma ancora per tre giorni deve rimanere in osservazione”.
Per tre giorni sono andata a trovarla mattina e sera. Riprendeva a mangiare, anche se assomigliava più a uno zombi che a una persona. Doveva nutrirsi con le posate di plastica perché non si fidavano.
“Dobbiamo cautelarci, potrebbe ritentare il suicidio.” Capivo che era il metodo peggiore, ma non potevo mettermi contro l’ospedale intero.

Anni dopo avrei trascorso ore e ore all’ospedale di salute mentale di Imola, dove ero andata per seguire il lavoro di uno psichiatra fiorentino durante una inchiesta sugli ospedali italiani. In quell’occasione ho conosciuto Giorgio Antonucci, un uomo coraggioso che ha slegato i “matti” considerati irrecuperabili e li ha riportati alla vita comunitaria.
Succedeva ai tempi in cui Basaglia, cominciava a preparare la sua proposta di legge, quando ancora i manicomi erano delle pregioni, con sbarre di ferro alle finestre, e chiavistelli a tutte le porte.
Nel manicomio di Imola c’era un reparto di cosiddetti “irrecurapibili” tenuti nudi legati ai letti. Quando un infermiere si avvicinava, loro sputavano, mordevano, a qualsiasi ora se la facevano addosso e per questo stavano incatenati a quei letti con un buco nel materasso e un secchio che raccoglieva le loro feci e l’orina. Rifiutavano di mangiare e per fare loro ingollare un poco di cibo spesso gli infermieri erano costretti ad aprire i denti con un arnese di ferro che li spezzava. Tutti temevano “i pazzi furiosi” e non li lasciavano mai liberi perchè “se li slacci ti sbranano, sono inferociti”.
“Per forza!” diceva Antonucci serafico “sono arrabbiati per il trattamento che subiscono, e hanno tutte le ragioni”.


Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 26 March, 2019
Categoria: Immagini, Notizie, Testi, Testimonianze

CONVERSAZIONI CON GIORGIO ANTONUCCI di ERVEDA SANSI


Critical Book i quaderni dei saperi critici

pp.1-6


“Penso che spesso, oltre alla pericolosità del
giudizio psichiatrico, la cosa più pericolosa
sia la resa che una persona fa alla propria
convinzione di essere malata”.



“Giorgio Antonucci non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo di abbandoni che siamo abituati a conoscere. La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida, acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta attenzione”.
E’ così che Dacia Maraini ritrae Giorgio Antonucci in un articolo di La Stampa, e del reparto autogestito di Imola fa la seguente descrizione: “Una volta aperta la porta del reparto mi trovo in una sala lunga e stretta affollata di gente. In fondo, sotto un affresco di mari ondosi su cui navigano barche dalle vele rosse, ci sono i ragazzi dell’Aquila venuti qui a suonare. Fra l’orchestra e la porta tante sedie con tanti ricoverati, donne e uomini.[…]
La musica di Mozart, con la sua armonia esplosiva dilata gli spazi, entra in queste facce contratte segnate dalle torture trasformando la bruttezza in bellezza, si fa liquido delicato piacere. I ragazzi dell’orchestra con le loro barbe, i loro blue jeans, i loro capelli lunghi suonano, impetuosamente brandendo i corni, i violoncelli, gli oboi. Alcuni dei degenti si mettono a ballare. Altri ascoltano a bocca aperta, facendosi cullare dalla meraviglia di quelle note. L’atmosfera rispetto ai reparti chiusi è diversa, c’è “confusione, vocio, disordine, colori. […]Le pareti sono coperte di stampe colorate, disegni, fiori, stelle. Una ragazza in vestaglia va e viene portando dei dolci”.
Artisti come Luca Bramante e Piero Colacicchi hanno collaborato alle iniziative culturali e dipinto gli affreschi del reparto. Dacia Maraini chiede perché, visto il buon risultato ottenuto, non si fa lo stesso negli altri reparti: “Prima di tutto perché é molto faticoso – risponde Antonucci con la sua voce quieta, dolce – mi ci sono voluti cinque anni di lavoro durissimo per ridare fiducia a queste donne; cinque anni di conversazioni, di presenza anche notturna, di rapporto a tu per tu. Però non si tratta di una tecnica, ma di un diverso modo di concepire i rapporti umani. […] “In che consiste questo metodo nuovo per quanto riguarda i cosiddetti malati psichici?”, continua con le domande la scrittrice. “Per me significa che i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata. I medici dovrebbero essere presenti solo per curare le malattie del corpo.

Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 4 May, 2010
Categoria: Libri, Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo