Il piacere della libertà – Giorgio Antonucci

‘Già nelle valli risuonano
canti di primavera’
Alceo di Mitilene
Il nibbio – secondo una novella di ‘Mille e una notte’ – rapisce un rubino dal grembo di una fanciulla appena appena sposata.
Il marito della fanciulla abbandona le nozze e insegue il volatile correndo terra dopo terra.
Ogni tanto l’uccello si posa su un albero e l’uomo si ferma anche lui seduto sulle radici.
Così viaggiano di secolo in secolo una regione dopo l’altra all’apparire dell’alba, nei sogni del crepuscolo, e sotto i cieli di stelle.
Nessuno sa quando si fermeranno, e il loro cammino travalica gli orizzonti.
Ma anche Giogio Conciani è sempre fresco come il sole del mattino e non si può immaginare di fermarlo.
Da anni i problemi della libertà lo vedono protagonista, e quando si pensa che abbia scelto di riposarsi – riappare.
Io, che ho l’onore di essere suo amico, ricordo la prima volta che andai nella sua casa nei dintorni di Firenze sotto i colli di Fiesole e di Settignano, per intervistarlo sui suoi problemi giudiziari a proposito dell’aborto, che lui aveva praticato gratis a donne che non potevano permettersi di pagare profumatamente quei ginecologi che dopo la legge per ragioni etiche sarebbero divenuti obbiettori di coscienza.
Prima di parlare mi intrattenne al pianoforte con Bach e con i Blues e mi raccontò episodi umoristici dei suoi pochi giorni in prigione al tempo delle sue lotte insieme con Pannella e Adele Faccio.
E’ un uomo di talento, pieno di spirito e voglia di vivere, da antico fiorentino alla maniera rinascimentale, individualista e libertario.
Ma è soprattutto un uomo coraggioso che sa affrontare i problemi della condizione umana a viso aperto, senza bisogno di ipocrisie e senza ambiguità.
Così si è esposto per il diritto di scelta delle donne sulla questione dell’aborto, per il diritto di scelta degli uomini sulla questione della sterilizzazione maschile, come ora si espone di nuovo per il diritto individuale di scegliersi la propria morte, invece che farla scegliere agli altri.
E’ sempre stato antiproibizionista e contro ogni tipo di censura.
Proprio ora che ci vogliono ridurre tutti come sudditi e schiavi di politicanti e di burocrati, che un giorno ci chiamano a morire per il comunismo e il giorno dopo ci fanno morire per il contrario.
Infatti Conciani è anche il cittadino che scrive a ‘La Nazione’ per dire che stanno distruggendo ‘Piazza Signoria’ amministratori e affaristi senza cultura, inconsapevoli della bellezza, guidati solo da stupidità e interessi di parte, in un mondo in cui l’arte conta solo per pubblicizzare i detersivi.
Scriveva Nietzsche con il solito splendore, consapevole dei soprassalti dell’epoca nuova e delle conseguenze a venire: “perché l’uomo libero può essere buono o malvagio, ma l’uomo non libero è una vergogna della natura”.
E con questo pensiero mandiamo un saluto e un augurio affettuoso a Giorgio Conciani per ancora mille anni di volo.
Sono gli uomini come lui che ci fanno vivere e ci proteggono dalla morte, e ci difendono dai funzionari al servizio dello Stato, operatori di sventura.

Or ti piaccia gradir la sua venuta
Libertà va cercando che è si cara
Come sa chi per lei vita rifiuta
Firenze maggio 1991

Pubblicato il 30 September, 2015
Categoria: Testi

Apologia dello Stato – di Giorgio Antonucci



Articolo per “Tempi Supplementari”

In un’ alba livida
Tra i fiumi del whisky
Dio venne a Mahagonny.
Bertolt Brecht.





Io credo che dovremmo intitolare le università i licei e le scuole elementari ai vari nomi illustri della fedeltà allo Stato e ai campioni autentici dell’amore di Patria. Come ad esempio Adolf Eichmann e Martin Bormann, visto che si insegna ai discepoli la sottomissione all’ordine costituito e il rispetto delle direttive che vengono dall’alto.
Si dovrebbero distribuire ai ragazzi le biografie degli imputati del processo di Norimberga. Vittime innocenti dell’incomprensione dei vincitori, che peraltro partivano dalle stesse convinzioni.
E’ ridicolo intitolare una scuola ad Albert Einstein, che era un anarchico un po’ pazzoide e svitato che andava dicendo che per fare il militare non è necessario un cervello, ma basterebbe il midollo spinale, e considerava altre umiliazioni meno gravi che quella di indossare una divisa e marciare inquadrato per la guerra.
Ed è naturalmente sbagliato dedicarla a Dante Alighieri che, a parte che era un eretico, era pure un individualista ribelle, condannato a morte per ben due volte dal potere legittimo della città.
Le facoltà di medicina dovrebbero esser dedicate al Dottor Mengele, che seguiva i principi del giuramento di Ippocrate, e operava per il bene della specie, secondo i teoremi di Darwin.
Hanno ragione le donne di iscriversi ai militari per diventare omicide alla pari degli uomini, uscendo da secoli di oscura inferiorità e di degradante apatia.
Anche le femmine hanno diritto alla pari dei maschi di proporsi generosamente e in modo altruistico e coraggioso come attivo strumento di morte statale, rivendicando di non essere emarginate, e facendosi eredi del vecchio detto filosofico che la guerra è la madre di tutte le cose e la molla di tutti i progressi.
Dev’essere una delizia per le femministe vedere finalmente le donne vestite da vigile urbano, poliziotto, soldato e magari prete anglicano: secoli di lotte e rivendicazioni sono finalmente arrivate a buon porto.
Anche la donna è un numero, proprio come l’uomo.
Pure le fanciulle possono diventare funzionari scrupolosi.
Perfino la donna può essere a tutti gli effetti un fedele e cieco servitore dello Stato, e può contribuire in prima persona al riarmo per la pace, e ai bombardamenti chirurgici.
Per quel che riguarda i bambini e gli adolescenti non abbiamo nulla da inventare e possiamo imitare con tranquillità i nostri maestri più qualificati militarizzando tutti fino dal giorno della nascita.
I precedenti sono gloriosi.
I musicisti ci forniranno le marce e le ninna nanne.
Gli stilisti e i pittori le divise.
Gli scrittori e i poeti le parole d’ordine.
Gli architetti le aule squadrate.
Così potremo dire alla fine, dopo secoli di barbarie anarchica:”Ora non c’è più l’uomo, ma esiste finalmente la società, come per troppo tempo avevamo desiderato”.
Saremo l’invidia delle formiche.
Di qui in avanti le esecuzioni sommarie e i genocidi non saranno più guerra, ma saranno più precisamente operazioni di polizia, per garantire la legalità e la sicurezza degli onesti e dei tranquilli, tessuto formativo della cultura, e basi stabili del buon governo universale.
Gli psicologi ci diranno che la famiglia stabile, costi quel che costi, è l’unico valore sociale, e il divorzio e gli amori extra coniugali sono un segno di difetto genetico, e una nevrosi, e un sintomo di malattia della mente, e le assistenti sociali provvederanno a sorvegliarci in continuazione per il bene nostro e dei figli.
La pena capitale e i manicomi taglieranno il marcio.
Gli spot promozionali terranno viva la verità.
I portatori di handicap, come Beethoven e Leopardi, verranno castrati perché non figlino, e non riempiano il mondo di aborti.
Non sarà più necessaria la storia, come diceva quel sognatore di Pascal, ma sarà abbastanza l’ordine del giorno per regolarsi di conseguenza, con coscienza e rigore, e senza inutili divagazioni.
Ci terremo sotto gli occhi “Il buon governo” di Ambrogio Lorenzetti, e ameremo la pace dei sottomessi e la gioia degli schiavi felici.
E il mondo politico, superata la superstizione democratica, sarà guidato dai superdotati.
Tutti gli altri penseranno a riprodursi e obbedire, senza grilli per la testa e inutili discussioni.
Firenze dicembre 1992.

Pubblicato il 23 September, 2015
Categoria: Testi

La trappola – Rapsodia – Giorgio Antonucci

Renè Magritte


O sole

O sole
Infuocato

Che mi guardi
Senza occhi

(scrive
il giovane
poeta)

io mi consumo

io mi consumo
senza gioia.


Mi ricordo, quand’ero ragazzo, un cartone animato, un po’ metafisico, dove si vedeva una macchina da cui entravano da una parte i maiali e dall’altra uscivano i pezzi, ma poi i pezzi tornavano indietro e uscivano di nuovo i maiali, pigolanti e vivi più di prima.
Mi pare una macchina così perfetta che nemmeno Asimov
Se ne potrebbe immaginare una migliore.
Il dottore Faust si sarebbe interessato vivamente.
Era una sfida al tempo e una critica alla natura, che è monotona e triste, e crea per lo sfizio
Di distruggere.
“Nel loro cuore si diffuse un gelo / e ritrassero le ali” scrive Saffo parlando di colombe, e dipinge il presagio della morte nella malinconia del tempo, che procede in un senso soltanto, in modo spietato.
Ma com’è che influisce sull’uomo questa coscienza?
La coscienza di essere fragile e di non durare?
Come voleva Leopardi ne ‘La ginestra’?
Oppure al contrario?
Si racconta che gli uomini nel Neanderthal tutelavano le tombe e custodivano i vecchi, al contrario di noi.
Accanto al mistero della morte c’è quello del comportamento degli uomini che, per dimenticare la morte, si uniscono solidali tra loro: oppure uccidono per scongiurarla, come se darla agli altri la allontanasse da noi.
Ecco che ora, giustamente, per andare in vacanza venti giorni, molti buttano gli animali domestici sulla strada e infilano i vecchi nell’ospizio; e i reduci delle delizie di Stalin e del socialismo burocratico non vedono l’ora di far parte della nostra cultura per gustare le gioie della civiltà e le consolazioni del vivere liberi, tra consumi e benessere. Vorrebbero tutti arrivare di corsa, per partecipare al banchetto.
Intanto i nazisti e la mafia tirano i morti fuori dalle tombe per insultarli, con grande umanissima soddisfazione.
Ma ‘La repubblica’ scrive che per il commercio degli organi le partorienti sono produttive e i neonati sono utili, tanto che si prende quello che serve al trapianto e il resto si butta via, nella cultura dei ricchi e dell’abbondanza, a consumo avvenuto.
Sono le leggi del mercato, l’unica economia che funziona, a dire degli esperti.
E non ci sono altri sistemi solari in vista, e l’utopia è sotto processo, e l’immaginazione e la fantasia sono un rumore antico, e l’arte nasconde il suo viso espressivo nello spessore delle nebbie.


Dà oggi a noi la cotidiana manna
Sanza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir si affanna.


Firenze aprile 1992

Pubblicato il 21 August, 2015
Categoria: Testi

Il pellegrino notturno – Giorgio Antonucci





Henri Matisse


“Odi, Melisso: io vo contarti un sogno
di questa notte, che mi torna a mente
in riveder la luna.”
Leopardi


La navicella dei sogni solcava il mare della solitudine nelle acque un pò desolate del niente.
Così Rodolfo il Glabro, monaco passionale e fantasioso, agli inizi del Mille, correva le sue notti tra timori e speranze, e mutava le sue passioni in sogno.
Aveva detto a un suo giovane discepolo che il problema non era, secondo lui, l’esistenza o non esistenza di Dio, ma piuttosto il furore del Signore contro i peccatori, e il rapporto tra la morte e la passione, che chiude le porte della carità.
Anche i pagani – diceva – avevano veduto Medusa, come una fanciulla compromessa dai sensi, caduta dalla bellezza all’orrore.
Gli scrupoli religiosi e le tristezze dell’età gli dettavano queste note.
Ma una notte aveva veduto, tra occhi di diavoli e sibili di serpenti, le brughiere coperte di forche e abitate da urla di condannati, negli spazi vuoti tra i castelli.
Poi d’improvviso, dopo una dissolvenza, gli era apparsa la terra coperta di bianco, in una rete di luce e di spazi lontani.
“A dire il vero – scrive Fernando Vittorino Joannes, nel suo ‘L’uomo del Medio Evo’ – quello era un sogno solidissimo, piantato in terra e svettante nel cielo: erano le CATTEDRALI. Ancora poche, o informi nel loro gigantesco impianto, ai tempi del monaco Rodolfo. Presto sarebbero staste un vero mantello avvolgente la vecchia terra d’Europa”.
Scriverà tuttavia Newton in epoche successive di scienza e di esperimenti che ” è vero che Dio si estende tanto quanto il vuoto, così che Lui, essendo spirito e penetrando la materia, non è ostacolo al movimento dei corpi, ne più che niente fosse al suo posto”.
E così anche ora l’uomo dei satelliti e dell’universo che esplode, alla fine del secondo millennio, disperso nell’universo, e solo davanti al ricatto sociale.
Ai televisori passano immagini come fossero sogni e appaiono minacce e incubi.
Al centro dello stato più potente la più alta autorità coltiva la campagna elettorale preparando bombardamendi sulle città ribelli e intensificano l’esecuzione delle pene capitali, mentre gli uomini di scienza danno il loro diligente contributo al perfezionamento delle armi totali, e i filosofi considerano l’accumulo di ricchezze un problema dello sviluppo e una necessità della cultura.
I ricchi divengono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Essendo poi ogni ideale una utopia, la mediocrità è divenuta la sezione aurea dello spirito.
“A un certo punto il telefono ha squillato, con Bob già legato alla sedia e tutto, ed era ovvio cosa voleva dire quello squillo – racconta ‘La Repubblica’ nell’articolo ‘Così ho visto morire il mio amico Harris’ – quello squillo poteva significare una cosa sola, che c’era stata un’altra sospensione. Ma Bob è stato tenuto dentro per altri quattro minuti, ed è stato orribile vedere quell’uomo già pronto a morire che si guardava intorno senza capire che cosa stava accadendo, per quattro lunghi minuti. Lo vedevi legato lì, con l’acido solforico che gli bolliva sotto la sedia, e lui che ripeteva: ‘Ok sono pronto, ok, forza fatelo adesso’, mentre in realtà l’esecuzione era stata già sospesa.”
Stanotte, come Rodolfo il Glabro, ho avuto i miei sogni di passione e di morte, con occhi che mi guardavano e reti di luce sotto la luna, ma poi, dopo la dissolvenza, ho veduto la terra coperta di deserti, e di centrali atomiche, sparse fino ai confini del cielo, sotto un calore di fuoco.


Aprile 1992

Pubblicato il 4 August, 2015
Categoria: Testi

L’astronave – Il MOSTRO – di Giorgio Antonucci





Marc Chagall


“Dipende da noi essere in un modo
piuttosto che in un altro,
il nostro corpo e un giardino,
la volontà il giardiniere. Puoi
piantare l’ortica o seminare insalata,
mettere l’isoppo ed estirpare il timo,
far crescere una sola qualità di erbe o svariare qualità.”
Shakespeare – Otello –

Non serve chiudere gli occhi della conoscenza e parlare di MOSTRI come se fossimo ancora all’epoca dei diavoli e della streghe.
Fintanto che continuiamo a nasconderci la verità psicologica non possiamo costruire una vita sociale corrispondente alla nostra intelligenza e alle qualità interiori che nascono continuamente dal nostro interno come un ruscello dalla roccia.
La nostra struttura cerebrale è dal punto di vista biologico così complicata che non se ne vedono i confini, e il biologo si trova smarrito dentro di lei come un antico navigatore dell’oceano.
La biologia molecolare ha allargato questa ricchezza dando allo studioso attento l’immagine di quelle che sono le basi strutturali della libertà.
Sono passati i tempi oscuri in cui il cervello era ritenuto una macchinetta, o un computer più complicato di quello con cui scrivo.
I vortici delle acque hanno leggi complesse, ma ancor di più le trame sottili dei neuroni, il fenomeno più stupendo della biologia, un vero cielo stellato dentro di noi.
Ma essere liberi significa scegliere: e molte sono le scelte possibili con tante morali e con tante direzioni.
Il genere umano ha conosciuto San Francesco e Gandhi, ma anche Stalin e Hitler.
L’antico principio e comandamento di Mosè – Tu non ucciderai – è stato tradito in ogni epoca, ma non mai tanto come nella nostra.
Il ventesimo secolo è ricolmo di massacri, e la politica del sangue è tuttora in corso, con l’approvazione esplicita di illustri filosofi e intellettuali di varia radice e nazionalità.
Così ci sono anche singoli individui omicidi e torturatori per loro scopi personali, come scopi personali di lucro hanno i commercianti di organi umani, che uccidono i bambini poveri delle metropoli per rifornire le cliniche di lusso.
In Francia di recente, per non sprecare soldi, autorità sanitarie e politiche hanno diffuso consapevolmente sangue per trasfusioni inquinato, contagiando di AIDS bambini già ammalati di emofilia.
In Iugoslavia, ai confini della Turchia e dell’Iraq, sui bambini ci si spara con i cannoni dei carri armati e con i missili degli aerei.
Nelle famiglie i bambini sono maltrattati, negli istituti crescono in una tragica alienazione.
A San Paolo la polizia si esercita al tirassegno.
La mafia li uccide per i suoi affari.
Allora io dico che non serve fare i superstiziosi ingenui parlando, quando ci fa comodo, di MOSTRI, per esorcizzare le nostre angoscie, invece di fare un’autocritica severa al nostro comportamento come specie e alla nostra limitatezza come cultura e società ancora fondate su principi e strutture assassine.
Non si può uccidere con una mano e fare i moralisti con l’altra senza rendersi ridicoli, come erano ridicoli i farisei agli occhi di Gesù.
MOSTRO vuol dire prodigio, rarità, invece da noi l’assassinio è la regola, e il rispetto della vita è l’eccezione.
Su questi dati di fatto si deve ragionare se si vuole una psicologia dell’uomo che non sia una novelletta se si vuole capire il mondo per cambiarlo.
“Guarda – mi disse – io sono quella che deve sempre oltrepassare se stessa. Così diceva la vita a Zarathustra.”.
E guardava al futuro, e indicava UTOPIA, il luogo che non c’è ancora.
Noi ci siamo affannati per secoli.
Ma il nostro cammino è lungo come quello di un’astronave.

per Senza Confine


Imola 5 novembre 1992

Pubblicato il 28 July, 2015
Categoria: Notizie

Il segretario della repubblica fiorentina “Machiavelli” – di Giorgio Antonucci




Vincent Van Gogh


“e accecati dall’ambizione e dall’avarizia lodano quello di tutte le virtuose qualità, quando di ogni vituperevol parte dovrebbero biasimarlo.” Nicolò Machiavelli a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai.


Meno male che abbiamo il dono divino dell’umorismo, quasi un raggio di sole nella notte del tempo, così si può ridere e ballare anche nei turbini della tempesta, e sopravvivere nei momenti più duri.
Scrive Machiavelli ne ‘Il principe’ – quell’operetta così malfamata, perchè dice che gli Stati nascono e vivono sulla frode e sulla violenza, invece di dire che si espandono con amore – che esistono tre generi di cervelli, quelli che capiscono per conto proprio, e sono eccellentissimi, quelli che capiscono su spiegazione, e sono eccellenti, e quelli che non capiscono nè da sè nè su spiegazione, e sono inutili.
Inutili appunto come quelli dei filosofi che hano discusso, sui gioornali, di Machiavelli, e della sua concezione politica, a proposito dei politicanti e degli amministratori corrotti, che rubano i soldi ai cittadini della nostra discutibilissima repubblica.
C’è chi ha detto perfino: a me non piace Machiavelli perchè sono contrario alla corruzione dei politici.
Sarei un cervello inutile anch’io se pretendessi di difendere Machiavelli, che si difende benissimo da solo.
Ma il problema è piuttosto filologico, come quello affrontato da Giorgio Colli e Mazzino Montinari quando, sia a destra, sia a sinistra, era di moda sostenere le responsabilità naziste dello splendido pensiero di Federico Nietzsche, un nemico sia dello Stato sia del razzismo, e un ammiratore della cultura del popolo d’Israele.
“Sempre più rara – notava lo stesso Nietzsche – è divenuta la capacità di leggere.”
Ma noi almeno cerchiamo di leggere con attenzione uno scrittore che resta tra l’altro il più gran prosatore della nostra lingua se si eccettua forse il Manzoni.
Scrive dunque il Machiavelli nel capitolo XIII dei “Discorsi” dove tratta ‘Della povertà’ di Cincinnato e di molti cittadini romani: “Noi abbiamo ragionato altrove, come la più util cosa che si ordini in un viver libero, è che si mantengono i cittadini poveri”.
E conclude dicendo che “potrebbesi con un lungo parlare mostrare quanti migliori frutti produca la povertà che la ricchezza, e come l’una ha onorato la città, le province, le sette, e l’altra le ha rovinate, se questa materia non fosse stata molte volte da altri uomini celebrata”.
La grande ombra di Savonarola “il profeta disarmato” aveva lasciato meditazioni nella testa di Machiavelli, come in quella di Michelangelo e di Botticelli.
In ogni modo si trattava di quegli uomini che si vedono ritratti in Giotto, in Masaccio, in Piero della Francesca, in Andrea del Castagno e nel Ghirlandaio, sobri, essenziali e intelligenti, ricchi di pensiero e scarsi di retorica.
Esattamente il contrario dei nostri politici, giornalisti e filosofastri, ricchi di presunzione e di conformismo, e scarsi di cervello.
Per quanto riguarda poi il luogo comune del machiavellismo, divenuto perfino un termine di linguaggio, per non restare racchiusi, come sii suole spesso, in semplificazioni nefaste, a tutto vantaggio dell’opportunismo dei mediocri e delle chiacchere dei superficiali, è bene ricordare, attingendo direttamente da “Il principe”, testo ancora insuperato di riflessione politica senza ipocrisie e astrazioni, quello che il nostro autore ci riferisce e ci tramanda come giudizio sulla carriera politica di Agatocle di Siracusa.
“Perchè se si considerasse la virtù di Agatocle nell’entrare e nell’uscire dai pericoli – scrive nel capitolo VIII del suo ‘piccolo volume’ – e la grandezza dell’animo suo nel sopportare e superare le cose avverse, non si vede perchè egli abbia ad essere giudicato inferiore a qualunque altro eccellentissimo capitano. Non di manco, la sua efferata crudeltà e inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra gli eccellentissimi uomini celebrato. Non si può adunque attribuire alla fortna o alla virtù quello che senza l’una e l’altra fu da lui conseguito”.


per Senza Confine
Isola d’Elba, settembre 1992

Pubblicato il 28 July, 2015
Categoria: Testi

Antonucci: “La locura no tiene ningún significado filosófico”- Diagonal



El médico italiano Giorgio Antonucci revisa críticamente los fundamentos de la psiquiatría y repasa su trayectoria profesional.

Giorgio Antonucci es médico y una referencia en Italia por su crítica a los fundamentos de la psiquiatría.Después de trabajar en Gorizia con Franco Basaglia, desmanteló los hospitales psiquiátricos Osservanza y Luigi Lolli en Ímola, devolviendo la libertad a los internados. Sigue activo en Florencia, ocupándose de poner en libertad a personas encerradas en centros psiquiátricos. En 2005 recibió en Los Ángeles el premio Thomas Szasz, en homenaje a uno de los referentes de la antipsiquiatría.
Comienzos en la psiquiatría

Mi historia no empezó en relación con la psiquiatría. He llegado hasta aquí por mi experiencia directa. Ya cuando iba a la universidad, además de estudiar medicina, iba al Instituto de Antropología de la Universidad de Florencia. Empecé a interesarme por la comparación entre las diferentes culturas. Ciertas cosas que en una cultura tienen un significado, en otra cultura tienen un sentido completamente distinto.

En 1958, la parlamentaria [Lina] Merlin en Italia enfocó el discurso de una ley para abolir las casas de tolerancia del Estado. Las chicas que estaban en ellas, además de ser explotadas por el Estado, tenían un documento de identidad diferente. Estaban, de alguna manera, marcadas. Había una casa de hospitalidad católica [que ayudaba a exprostitutas] que necesitaba a alguien que les echara una mano.

“Se acaba en el manicomio o en una clínica psiquiátrica por decisión de alguien con más poder”

No soy religioso, no soy creyente, pero siempre he tenido relaciones con los demás, sin prejuicios. Una vez que estaba allí –todavía no me había licenciado– hubo una pelea entre una chica exprostituta y una persona de la casa. Vi llegar a la ambulancia y se llevó a la chica exprostituta al manicomio. Yo intenté oponerme, pero no pude porque no tenía ninguna autoridad. Este hecho me dejó muy afectado.

Descubrí que, en general, se acaba en el manicomio o en una clínica psiquiátrica por decisión de alguien con más poder: puede ser el padre que tiene más poder que la hija, el marido que tiene más poder que su mujer, el jefe que tiene más poder que el empleado, etc. Si una persona con menos poder expresa una manera diferente de pensar se convierte en una tragedia. Por ejemplo, si el Papa dice que existen los ángeles y los diablos, tiene el poder para decirlo sin que nadie lo ponga en tela de juicio.

Entre todas las historias que conozco, recuerdo la de una chica, una campesina, que decía –ya que estaba muy agobiada por unos problemas concretos– que por la noche la atormentaba el diablo: la llevaron al manicomio. Tenía el mismo discurso que el Papa, sólo que desde una condición de no poder. Si una persona que no cuenta dice algo metafísico, corre el riesgo de ser internada.
Psiquiatría vs. medicina

He estudiado medicina, sé qué es la medicina. También he trabajado como médico. Si una persona tiene dolores, me llama para saber de dónde vienen. Se hacen las pruebas médicas para descubrir cuál es la causa. Éstos son datos objetivos, la medicina está hecha de eso. Al contrario, si uno me llama para decirme que ha visto al Espíritu Santo, eso no tiene nada que ver con la medicina, nada en absoluto [ríe]. Es otro discurso, aquí se habla de una experiencia existencial de alguien que ve ciertas cosas, piensa ciertas cosas, siente ciertas cosas. En pocas palabras, Freud, cuando fundó el psicoanálisis, dijo: “He dejado de ser médico y he empezado a ser biógrafo”.
Psiquiatría y comunicación

Los psiquiatras nunca hablan con las personas a las que atienden, no hay comunicación. Lo que he visto es que no se conocen los pensamientos de las personas que están en una clínica psiquiátrica, no les hablan porque piensan que ni siquiera vale la pena. Han sido señaladas, arbitrariamente. Entran allí dentro y nadie les habla, o si les hablan lo hacen con prejuicios. Hablar es lo que estamos haciendo tú y yo en este momento. Yo digo algunas cosas, tú dices otras, y se confronta mi pensamiento con el tuyo. Eso es hablar.

“El discurso es que la psiquiatría se ocupa de personas consideradas defectuosas. El hecho de comunicarse con ellos es considerado una extravagancia”

Cuando fui a Gorizia introduje este hecho. Pasaba mi tiempo intentando entender: había un hombre, inmóvil, sentado en la sala en la que estaban los pacientes en Gorizia, que no hablaba con nadie. Me senté, luego nos sonreímos. Luego, ya que a veces los demás jugaban con la pelota, le tiré la pelota. Él la tiró al suelo y luego empezamos a hablar y fuimos juntos a dar vueltas por la provincia de Gorizia.

El discurso es que la psiquiatría se ocupa de personas consideradas defectuosas. El hecho de comunicarse con ellos es considerado una extravagancia. Cuando hablaba con los internados, mis colegas me miraban con ironía. Hay un espléndido cuento de Chéjov, La sala número seis. Es la historia de un médico que, en un cierto momento, empieza a hablar con los internados y se da cuenta de que era incluso más interesante hablar con los ellos que con los que estaban fuera, y acaba internado. Yo esto lo he vivido. Afortunadamente no he acabado internado.
Experiencia en Ímola

Llegué a Ímola en 1973, había 15 médicos, todos de la parte del manicomio. Cuando llegué yo hacía lo que quería. Decía que para mí los demás no son sabios ni locos. La sabiduría y la locura filosóficamente no tienen ningún significado. Kafka lo dice: “¿Qué es la no locura?”. Pascal dice lo mismo. Existe, lamentablemente, el conformismo social, las reglas rígidas en la sociedad. Por lo tanto, a ciertas personas que no se ajustan a las reglas se las intenta eliminar. Siempre son personas que tienen menos poder que las que deciden, como decía antes.

“Es fácil decir “fuera la camisa de fuerza”, pero cuando liberas a una persona que lleva años con camisa de fuerza, se asusta, siente las piernas débiles por no haber caminado”

Volviendo a Ímola, llego y encuentro a 15 médicos. Les dije que me dieran la sección –según ellos– más difícil, que era la sección 14: mujeres agitadas. Para ser breve: en un mes las liberé a todas. Estaban casi todas con camisa de fuerza, algunas estaban atadas a los árboles.

Es fácil decir “fuera la camisa de fuerza”, pero cuando liberas a una persona que lleva años con camisa de fuerza, se asusta, siente las piernas débiles por no haber caminado, tiene que volver a acostumbrarse a todo. Sin embargo conseguí que salieran al patio y luego, poco a poco, llegamos a ir incluso al Parlamento Europeo, a Viena, a ver a Juan Pablo II (…) Para mí es lo mismo hablar contigo que con alguien interno en una clínica psiquiátrica.
Pasado, presente

Los electrochoques todavía se practican en muchos sitios. Por ejemplo, en la Universidad de Pisa dicen que el electrochoque hace bien. Aunque usen otros medios, el problema es que no consideran que las personas tienen un cerebro como el nuestro. Los comas insulínicos son aún peor que los electrochoques. Poner en coma a una persona para curarla es una cosa de campo de concentración. ¿Qué problemas se han solucionado con la lobotomía o el electrochoque? Has lesionado a la persona. Es como si tuviera dolor de cabeza y me cortaran la cabeza. Claro que no me va a doler más, pero no es la manera.

“El manicomio de Ímola se parece a Dachau, son iguales. Cogen a las personas, las meten allí y las controlan. Si el control no es suficiente, las matan”

Ahora supongamos que no hay electrochoque o lobotomía, pero los atiborran de psicofármacos. Hay jóvenes de dieciocho años que, después de tomar neurolépticos, tienen un temblor como si sufrieran la enfermedad de Parkinson. ¿Qué tiene que ver eso con la medicina? Eso tiene que ver con los campos de concentración. Los campos de concentración fueron construidos teniendo a los manicomios como modelo. No es sólo idea mía, Thomas Szasz lo dice.

El manicomio de Ímola se parece a Dachau, son iguales. Cogen a las personas, las meten allí y las controlan. Si el control no es suficiente, las matan. Las personas aparentan no entender qué pasa en las clínicas psiquiátricas. Cada uno piensa, con su falta de sentido crítico: “A mí eso no me puede pasar, ésas son otras personas, yo soy distinto”. Durante el período de los campos de concentración, no hubo muchas personas que se dieran cuenta de lo que estaba pasando en Auschwitz, Dachau…, porque las personas conformistas no quieren ver los horrores de la estructura social, hacen como si no existieran.
Locura y peligrosidad

A mí me han pegado dos veces los enfermeros, y una vez un ciudadano. Pero podría haber pasado también que me hubiera pegado un interno porque, si me ponen una camisa de fuerza durante diez años, luego no hay que sorprenderse porque, cuando salga, pegue a alguien.
Psiquiatría e historia

“Hitler estaba loco”, lo dicen los que vienen después de Hitler, no los que estaban debajo de Hitler. Hitler tenía de su parte a personas como Heisenberg, Furtwängler, Richard Strauss. ¿Qué significa que estuviera loco? No significa nada. Lo dicen porque, si tuvieran que hacer un examen crítico de la historia, tendrían que decir que tenemos responsabilidades. Decir que estaba loco es una manera de evitar hacer un análisis crítico.

¿Entonces Truman, cuando ordenó lanzar la bomba atómica, cómo estaba? Como él ganó la guerra, nadie dijo nada. ¡Arrojó dos bombas atómicas! La psiquiatría sirve siempre para liberarse de los problemas en vez de enfrentarlos.
Niños e “hiperactividad”

Tengo experiencia directa en EE UU. Fui cuando Szasz me dio su premio en 2005. Tuve reuniones con algunos padres. Unos padres me contaron que tenían un hijo de doce años que iba al colegio y un día les enviaron un aviso para decirles que su hijo era demasiado inquieto, despistado, ese tipo de cosas, y querían ponerlo en manos de un psicólogo. Ellos dijeron que no, “nuestro hijo está bien tal como está”.

El niño tiene que ser niño, hay que preocuparse si no es vivaz, no si se mueve mucho, porque el moverse –lo digo como médico– es importante para el crecimiento. Entonces la escuela amenazó con expulsar al hijo. Ellos, ya que no tenían suficientes recursos económicos como para cambiar de escuela, cedieron: lo mataron. Le dieron Ritalina y murió intoxicado. Perdieron a un hijo de doce años. No hace falta poner otros ejemplos.
Relación médico-paciente

Cuando un médico no consigue entender el porqué de unos dolores, en vez de profundizar y entender de dónde vienen estos dolores, piensa en seguida en el psicólogo. Dice “quizás usted tiene carencias. No se lleva bien con su marido. Está preocupada por sus hijos, etc”. Pasan al plano psicológico un problema físico, con el riesgo de no darle la importancia que merece.

Cuando estaba en el segundo año de universidad aquí en Florencia, un día estaba con un grupo de estudiantes y el profesor se acercó a la cama en la que había una chica. Pidió a la chica que se desnudara porque tenían que explorarla. La chica dijo que no quería desnudarse para que todos la exploraran. Entonces el profesor trató de obligarla. Yo, desde la última fila, me abrí paso entre todos los estudiantes, fui hasta el profesor y le dije: “Usted está aquí al servicio de esta persona y no tiene derecho a obligarla a desnudarse delante de todos si no quiere, es es una prepotencia inaceptable”.

Se armó un tremendo jaleo: los estudiantes se asustaron, el profesor se enfadó conmigo, yo me enfadé con él. Mientras tanto, a la chica la dejaron en paz. Esto lo cuento para explicar que yo tenía asumido que la persona no puede ser manipulada o explotada. Tiene que ser respetada, aún más cuando depende de nosotros.
La medicina es autoritaria

Siempre lo he afirmado. Recuerdo que Edelweiss Cotti a veces me decía: “No sólo los manicomios, sino también los hospitales tendrían que ser abolidos”. Porque en los hospitales hay una estructura jerárquica con la diferencia que, de allí, uno por lo menos sale. Aunque sufra humillaciones, puede ser que termine bien. En cambio, la psiquiatría es como un pulpo: cuando a uno le cogen ya no se sale, o raramente, o con dificultad.

21-7-2015

https://www.diagonalperiodico.net/saberes/27266-antonucci-la-locura-no-tiene-ningun-significado-filsofico.html

Pubblicato il 25 July, 2015
Categoria: Notizie

‘I Tempi Supplementari’ di Vincenzo Sparagna – di Giorgio Antonucci




Vincente Van Gogh


Se penso alle iniziative vivaci e penetranti di Vincenzo Sparagna la mente mi si affolla di ricordi, sia a proposito di vicende personali importanti, sia a proposito del campo più largo della nostra cultura di questi anni.
Ricordo il sarcastico commento di Arthur Shopenhauer a proposito della ‘Monadologia’ di Leibniz e del ‘Migliore dei Mondi Possibili’ quando afferma, maliziosamente, che per fortuna le cattive opere hanno il merito di provocare la nascita di capolavori, se si pensa che Voltaire riflettendo su Leibniz scrisse addirittura ‘Candido’, questa immortale creatura dell’umorismo.
E pensando al ‘Dizionario filosofico’ io dico che le nostre speranze di miglioramento del genere umano, che ancora non sono sparite, dipendono da intelligenza, che, similmente a quelle di Voltaire, non accettano i dogmi e il fanatismo, non venerano le autorità, non credono nell’assoluto, e sanno ridere degli altri e di se stessi, lanciando lampi d’improvviso chiarore nello stanche nebbie della vita quotidiana dei periodi di crisi.
L’umorismo, in ogni caso, è un’arte difficile sia per gli artisti, sia per i critici della cultura, perchè richiede ‘tempi supplementari’ di creatività.
Appunto ‘Quei Tempi’ a cui si riferisce il Nuovo Mensile di Vincenzo Sparagna, che, come tutti sanno, nasce ora, ma deriva da una lunga e avventurosa esperienza giornalistica, a cui qualche volta ho avuto anch’io la fortuna di partecipare.
C’è in questo giornale uno sguardo aperto sul senso più profondo e più genuino degli avvenimenti con una immediatezza e una sincerità che ci permettono ancora di credere nelle possibilità comunicative del linguaggio, e nella funzione liberatoria di una riflessione e di una critica indipendenti.
E’ un giornale che sarebbe piaciuto a Karl Kraus.
C’è la solidarietà autentica per le persone più emarginate, derivata dalla coscienza del destino comune.
Ma c’è soprattutto la voglia e la capacità di ridere e di divertirsi, che sembra divenuta sempre più rara, nel mondo grigio dei sottomessi al potere.
“Lanimale che più soffre sulla terra – commentava Federico Nietzsche – ha scoperto l’arte del ridere”.
E le burocrazie del potere di ogni colore sono sempre state e ancora continuano a essere nemiche dell’umorismo.
Così noi auguriamo a ‘Tempi Supplementari una lunga durata e una larga diffusione e ne consigliamo vivamente la lettura.
Anche perchè vogliamo risolvere a nostro favore quella partita che per ora sembra restata ferma sul pareggio, nel conflitto tra la schiavitù e la libertà, il privilegio e l’uguaglianza, la pace dei giusti e la guerra dei prepotenti.
Per tornare a guardare verso il futuro nei termini solari dei delicati versi di Cristoforo Sparagna, padre di Vincenzo. /Quale risplende talora glio cielo/ all’apparì o scomparì del sole/ che te sembra vedè ‘nu nunnu ‘ntero/ ‘ntra nubi vive de fiamma e de ore/.
Nel regno degli uomini.


Firenze 25 novembre 1991

Pubblicato il 25 July, 2015
Categoria: Testi

Il complesso di Cleopatra – Giorgio Antonucci



per Senza Confine



Gustav Klimt




Volano le idee


come stormi
di uccelli
nel tramonto.


Secondo alcuni studi recenti approfonditi sembra davvero che Shakespeare fosse un poeta, e non solo un attore giramondo in compagnia di allegri pellegrini, e pare che scrivesse lavori discreti con personaggi fantasiosi e divertenti.
Alcuni dicono che era di talento eccellente e aggiungono perfino che non era un bigotto e un baciapile.
Aveva scritto sonetti d’amore con mano sicura.
Tutti dicevano – che bellezza -.
Ma non erano dedicati a una donna.
I vittoriani non sapevano come prenderla, e cercavano di nasconderlo.
Sulla sua opera famosa ‘Amleto’ molti ingegni si erano misurati, con alterne fortune e sorprendenti trovate.
Gli attori di teatro ci giocavano la carriera.
Ma il bello doveva ancora venire. Mancava il cinema di qualità, o il cinema d’arte.
Il regista fiorentino, che dalle meditazioni su san Francesco ha ricavato l’idea brillante di proporre la pena capitale per le donne violentate che scelgono di non partorire un figlio indesiderato, ha anche scoperto, a scapito di Shakespeare, che non si esprimeva bene, che la vera storia di Amleto è la storia di un incesto, come dice Freud nei suoi commentari, confermato da psicologi autorevoli.
Uno Shakeaspeare confuso, che non leggeva libri di psicologia, viene finalmente riscattato da uno Zaffirelli attento, sempre al corrente e sempre creativo, lucido e sicuro di sè.
Così ora finalmente si capisce chi diavolo era Amleto, e perchè la mamma era preoccupata, e perchè il babbo lo odiava, e perchè tutti nel dramma si tormentano furiosamente a vicenda.
E perchè Ofelia si è suicidata.
Meno male che Ofelia non era incinta altrimenti avrebbe dovuto interrompere la gravidanza per evitare il figlio di un padre incestuoso.
Ma i nostri grandi registi sono il succo della cultura.
Giustamente la folla li ammira.
Il fiorentino Franco Zeffirelli approfitta di tutte le occasioni per chiedere vivacemente il ritorno della pena di morte, proprio a Firenze e in Toscana, dove fu abolita per la prima volta nel mondo nel lontano 1786, tre anni prima della rivoluzione francese, che invece con la ghigliottina aveva scoperto l’esecuzione democratica, uguale per i signori e per i pezzenti.
Da cui abbiamo imparato che quando c’è qualche bruttura basta saperla fare da democratici.
Il romagnolo Federico Fellini sogna il ritorno dei casini di Stato con le donne schedate e controllate per la salute dei clienti, oltre a rimpiangere i manicomi, proprio nella terra libertaria di Andrea Costa e del Passatore.
Lui da giovane in casino ci mangiava le uova al tegame.
Generazione beata.
Le strade della cultura, dobbiamo dire, sono più difficili e misteriose di quelle della provvidenza, e questi nostri registi sono di sicuro dei chiaccheroni maledetti, sempre pronti ad aprir bocca senza pensare.
Ora aspettiamo delucidazioni sul complesso di castrazione di Don Chisciotte o su quello di Don Giovanni.
O su l’invidia del pene di Cleopatra.
Noi che a volte siamo preoccupati del complesso degli schiavi.
Ma ci rallegriamo perchè gli artisti, nella gara di conformismo, arrivano sempre troppo tardi, subito dopo gli scienziati.
Sportivamente, nel più completo disinteresse.


Firenze 3 maggio 1993

Pubblicato il 21 July, 2015
Categoria: Testi

La macchina uomo – Giorgio Antonucci


per Senza Confine



Kandinskij


Io da solo
ti accuso

Nessuno
ode
il mio
grido.

Nel museo delle cere dei grandi criminali a Londra a un certo punto si presentano simpaticamente in un angolo due giovani robusti e prestanti che, si racconta, nei tempi d’oro della ricerca medica e biologica, in momenti di penuria per l’istituto di anatomia umana della metropoli, uccidevano per pochi scellini mendicanti, barboni, e altri cittadini sconosciuti o smarriti, per fornire cadaveri da dissezionare agli studiosi.
La prima volta che li vidi, quei due, mi sembravano tipi d’altri tempi, o fenomeni rari di una città misteriosa, celebre per i suoi intrighi bizzarri in onore di detective e esperti particolarmente acuti, e di ambienti polizieschi raffinati, invece in seguito ho capito per esperienza che non avevo abbastanza pratica di medici medicine e ospedali, e, più che altro, ignoravo profondamente la cultura e i metodi scientifici, e la consolidata mentalità universale della nobile tradizione umanistica, a cui abbiamo la fortuna e la gioia di appartenere.
Non si tratta qui, almeno da parte nostra, di tirar fuori le solite inopportune proteste moralistiche sul fatto che in alcune grandi città o metropoli civili dei nostri continenti si cavano gli occhi e i reni ai bambini randagi per le strade e per i vicoli per fornire il necessario materiale di trapianto alle cliniche di lusso, né si vuole tirar fuori di nuovo a sproposito la notizia che gli indigeni dell’Amazzonia sono serviti e servono spesso anche come selvaggina speciale per i safari etnologici o per le partite di caccia delle persone perbene del nostro mondo privilegiato.
Né ci pare strano che un bambino ferito della Bosnia sia morto in Germania perché la burocrazia non aveva ancora capito chi e che avrebbe pagato le prestazioni sanitarie – questi sono fatti così comuni da risultare perfino banali – in ogni circostanza i poveri muoiono più presto, più facilmente e più alla svelta degli altri, tra il disinteresse e l’indifferenza della autorità, che hanno da pensare a problemi più gravi, più urgenti, e più pertinenti alle loro funzioni.
E non vogliamo nemmeno occuparci di scienziati e ricercatori che fingono di aver trovato vaccini per l’AIDS o terapie per i tumori per accaparrarsi speciali finanziamenti di Stato o particolari riconoscimenti danarosi, fecondi di gloria e di fama internazionale.
Inoltre ignoriamo del tutto i fabbricanti di armi chimiche, biologiche e atomiche, e i fisici delle centrali nucleari che dicono che il progresso della scienza ha dei rischi inevitabili a cui dovrebbe essere obbligatorio sottomettersi per amore della specie.
Ci preme piuttosto occuparci degli ospedali impropriamente definiti civili dove si va per essere provvisoriamente riparati o restaurati, ma anche spesso per morire in solitudine.
In medicina il concetto di uomo come macchina, che deve servire rendere e funzionare, ha del tutto sostituito l’uomo come essere vivo e come protagonista della sua effimera esistenza sensibile, che è una breve ma preziosa parentesi creativa nel silenzio inutile del mondo.
Uomo macchina significa uomo produttore di beni, uomo merce, uomo consumatore di merci, e naturalmente anche e soprattutto uomo carne da macello.
Di qui la barbarie degli ospedali, organizzati come caserme, diretti come fabbriche, tristi come obitori.
Nella preparazione del medico la sala anatomica non è un momento di conoscenza, ma è la base di una cultura, il segno distintivo di una professione servile mortale alienata e disumana, che si spaccia e si fa passare per filantropica, e si vende a caro prezzo come arte terapeutica, togliendo in realtà dignità e valore agli esseri che respirano.
Le cavie umane le hanno inventate i dottori.
Negli ospedali, notoriamente dannosi alla salute, tutto è possibile, tolto che ottenere sensibilità e rispetto.
L’ospedale deriva dal lazzaretto e dal lebbrosario, che sono anche il modello delle prigioni e dei campi di sterminio, e deve essere abolito come molte altre brutture della nostra tradizione.
Un uomo deve vivere essere curato e morire nel suo ambiente e nel suo mondo di interessi e di affetti, e non essere rapito e aggredito quando sta male per essere isolato e mortificato e manipolato in un luogo di orrori, anticamera dolorosa del cimitero.
Ma gli ospizi servono anche a far credere ai sani che per loro la malattia e la morte sono un fantasma lontano.

Firenze 23 agosto 1993.

Pubblicato il 15 July, 2015
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo