La Promessa di un Mondo Migliore – Giorgio Antonucci
“Sono nato da un ventre
per cantare e ripetere
a chi deve ascoltarmi
di miserie, di poveri
e di terra”
da Miguel Hernandez
Il razzismo sistematico è un’invenzione della scienza accademica dell’ottocento, alimentata fortemente dalle presunzioni illuministe, che ponevano il progresso tecnologico e l’espansione imperialistica degli Europei e degli Americani al centro del mondo, e al culmine della storia universale.
Troviamo questa idea guida già nell’ – Enciclopedia – di Diderot.
Non si deve dimenticare che la nuova cultura si fa avanti a colpi di ghigliottina e di massacri militari.
E’ una nuova forma di fanatismo.
La sopraffazione organizzata viene teorizzata come trionfo dello spirito e come affermazione della civiltà dei più giusti.
Poeti e musicisti inneggiano alla gloria della armi.
Hegel identifica il potere dello Stato con lo spirito universale.
Napoleone Buonaparte è il modello dell’uomo riuscito.
Pure i teorici della rivoluzione adorano la forza e l’autorità.
Il razzismo è uno dei figli della storia del potere.
E’ stato coltivato anche da molti socialisti e non ne sono estranei artisti di prim’ordine come Dostoievskij e Wagner.
Il popolo che aspira al dominio deve sentirsi il migliore.
E’ il popolo che salva il mondo, con la religione, con la politica, con l’arte, con la conoscenza scientifica, con la gloria e l’antichità delle sue origini.
Così accanto al razzismo genetico dei medici e dei biologi nasce il razzismo culturale degli storici e dei linguisti, e il razzismo mistico degli psicologi, degli antropologi e degli artisti.
I professori universitari in collaborazione tra di loro fabbricano armi di ogni natura e elaborano teorie razziste di tutti i tipi.
Se le risorse sono scarse se le devono scippare i superuomini, se le devono godere gli eletti, se le spartiscono i più riusciti.
Questa è l’etica.
Specialmente in un mondo troppo piccolo e troppo popolato.
Gli altri non c’entrano perché non fanno cultura, sono, come diceva Churchill , insignificanti e trascurabili espressioni geografiche, incapaci di valore storico.
Infatti per Churchill Gandhi era un fastidioso piccolo avvocato mentre Mussolini era uno degli uomini più intelligenti del secolo, e Stalin un uomo di profonda saggezza.
Ora però, siccome non fa immagine e non è di moda e non sembra fine, nessuno si dichiara razzista così su due piedi.
L’immagine di Auschwitz è uno spot che non giova.
Allora sono tutti aperti al mondo e nemici del provincialismo.
Anche i missini e quelli della Lega.
Ma i più illuminati storcono il naso.
Salvo incitare i naziskin a bruciare i turchi o a picchiare i neri, o invitano il sindaco di Milano a espellere gli stranieri non legalizzati o non ancora riconosciuti che sono la maggior parte, o a chiamare la polizia per arrestare il barbone che dorme sulla panchina.
O a rimpiangere i casini con le donne schedate o i manicomi con i cittadini internati squalificati e privi di diritti civili.
O a chiedere la condanna a morte ogni volta che capita.
O a proporre, come a Firenze, l’affidamento dei bambini zingari a famiglie borghesi perbene, magari di fede fascista.
O a fermare una bambina straniera che affoga mentre chiede soccorso dichiarando che non ha diritti perché clandestina.
Quello che voglio dire è che il razzismo non è un fenomeno marginale né un frutto di ignoranti e di analfabeti, ma va cercato proprio dentro la cultura, nel nostro Pantheon, tra i cervelli più preparati.
E quando si parla di nazismo conviene partire da Martin Heidegger e da altri professori come lui, espressioni rivedute e corrette di Socrate ateniese, maestro dei giovani.
Dobbiamo leggere – I Diari – di Anna Frank insieme ai suoi discorsi politici universitari a favore di Hitler.
Invece di rifarsela sempre e solamente con i fanatici ingenui, per nascondere la propria complicità, secondo l’ipocrisia e la malafede dei farisei.
Probabilmente deve ancora nascere una scienza dell’uomo che sia anche rispetto della libertà.
Firenze 6 settembre 1993
Pubblicato il 14 July, 2015
Categoria: Testi
LA PAURA DEL DIVERSO – Psichiatria e razzismo
Renato Curcio intervista Giorgio Antonucci
Questa intervista è stata raccolta per il volume “Contrappunti” di Giorgio Antonucci, pubblicato dalla Cooperativa Editoriale “Sensibili alle foglie”.
Vi sono singolari e insidiose analogie tra il giudizio psichiatrico sulle presunte patologie della mente e la paura del diverso che è alla radice dei più nascosti razzismi contemporanei. Ma come criticare queste realtà usando lo strumento di per sé “autoritario” che è la lingua?
Come fondere in un nuovo crogiolo liberante i linguaggi muti e quelli parlati, quelli del corpo e quelli dell’immagine?
Renato Curcio ne ha discusso con Giorgio Antonucci, uno dei più lucidi anti-psichiatri italiani.