Su Maupassant – Eugen Galasso



I testi di Guy de Maupassant, grande scrittore dell’Ottocento sulla “follia” non sono pochi, trattandosi soprattutto di novelle e racconti.  Sono testi , in genere, che spiegano come il “pazzo” o venga preso per tale perché non lo si capisce/non lo si vuole capire, oppure perché si comporta in modo considerato “eccentrico”, ossia, praticamente, quasi la stessa cosa.  Il “paradosso”, se vogliamo, è che lo stesso Maupassant sia morto in una condizione considerata (da quasi tutti, purtroppo) di “alterazione mentale” (altri parlando tout court di “paranoia”) e che si sia suicidato, in preda a una “crisi”. Forse, anche a questo “proposito”, converrebbe proprio rileggere i “Pensieri sul suicidio” di Giorgio Antonucci.  Il discorso si potrebbe, certo, estendere ad altri personaggi, ma credo che questo sia un caso “esemplare” che non può lasciare “indenni” da una riflessione che vada oltre a stereotipi e “idee ricevute” o pregiudizi di vario tipo…    Eugen Galasso

Pubblicato il 10 June, 2020
Categoria: Testi

Il Patibolo – Giorgio Antonucci




Joan Mirò – La Danzatrice –


“Uomo, tu sei qui solo, sei solo nel mezzo della gente: solo sei nato, e solo devi lasciare il mondo”.
Veikko Koskenniemi


– Ora l’immagine è più importante del fatto – : si discute di pena capitale nascosta in prigione o in diretta televisiva invece che inorridire perché lo Stato si permette di disporre della nostra vita.
Nel Medio Evo e nel Rinascimento il supplizio comminato ai sudditi dai potenti era spettacolo di popolo in piazza.
L’episodio più grande della storia della Toscana è l’aver abolito per prima la pena di morte.
Ma la burocrazia di Stato continua il suo corso.
La maggior parte delle nazioni del mondo conserva la pena capitale anche per reati senza danno diretto alle persone.
La schiera degli schiavi deve vivere nel terrore, tutti devono, non solo sapere, ma anche vedere coi loro occhi di carne, che la trasgressione è mortale, sia nel’azione sia nel pensiero.
La virtù del popolo è la sottomissione, e questo deve essere frequentemente ribadito col sangue.
La morale dei sudditi nasce e si mantiene con il terrore, mentre la concezione etica del mondo è ancora un’utopia, perché il potere è maestro di sopraffazione.
Il potere è male in sé, come scrive Burckardt.
Ma Mosè disse “Tu non ucciderai” oppure disse “L’omicidio va bene solo quando è legale”?
S’io dovessi scegliere tra omicidio e omicidio troverei più umano il delitto del singolo come effetto di passione, che quello al servizio dello Stato, come effetto di ordini ricevuti.
Si può uccidere per amore o per odio, ma squallido è l’omicidio a freddo di carattere burocratico, sia nella pena capitale, sia nel bombardamento di guerra.
Preferisco Otello ad Eichmann, anche se a scuola ci insegnano il contrario.
E così il singolo, lacerato dalla morale di Stato, e dalle altre morali autoritarie, vive in tradimento della sua sensibilità, e si consuma nei sensi di colpa, che spesso sono motivi di suicidio.

Ho imparato

-scrisse la giovinetta-

a desiderare con paura

e ogni mia
gioia


mi pareva
un peccato

Così mi sono
Uccisa
Per punirmi

-che non nascano più
sotto il sole e la luna
queste amare apparenze-

Così pregavo
Prima di morire
Il mio Dio.



Firenze, febbraio 1991

Pubblicato il 25 October, 2015
Categoria: Testi

Il Sogno di Bruna – Vincenzo Jannuzzi – Prefazione di Giorgio Antonucci



Il Sogno di Bruna
di Vincenzo Jannuzzi 2014


Prefazione

Com’io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu l’sai, chè non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran di sarà si chiara.

Dante Alighieri ­
Purgatorio I Canto





Nel fumetto c’è, come problema centrale, il problema del suicidio. Si parla del problema del suicidio. A proposito di questo prima di tutto voglio dire che quando lavoravo a Imola, nel Reparto 17 Uomini, il terzo reparto che avevo preso, dopo averne preso due di donne, quando lavoravo lì liberando tutte le persone, che erano state rinchiuse per anni, liberai anche una persona di parecchi anni, che era stata ricoverata molto tempo prima, dopo la guerra. Era un uomo che aveva fatto la guerra nell’esercito italiano, dopo aveva fatto il partigiano e infine, ritornando a casa, dopo questa lunga esperienza tragica, si trovava in condizioni anche economicamente difficili e non era stato capito quello che lui voleva dire, fu internato in manicomio e vi era stato per anni interi con tutte le condizioni del manicomio: dalla camicia di forza, alla cella, al cortile, a tutto quello che c’è in manicomio, e al silenzio di tutti intorno a lui. Quando arrivai insieme agli altri, io entrai in contatto con ognuno di loro per ristabilire la loro storia, mentre loro si liberavano, e acquistavano la possibilità di tornare a casa se volevano e se potevano, nel senso che io ristabilivo tutti i rapporti con quelli che erano restati, dopo tanti anni, in modo tale che se loro se ne volevano andare se ne andavano e per andare via dovevano naturalmente avere un posto dove andare,delle persone che le accoglievano. Non ho mai mandato via qualcuno mettendolo in mezzo alla strada, che sarebbe stato un delitto uguale a quello che hanno fatto mettendolo dentro. Allora lui, che era molto intelligente tra l’altro, molto sveglio, si
mise in contatto con i parenti che gli restavano. Siccome poteva, era libero, anche con me andò da questi parenti. E poi andò anche da solo, poteva andare quando voleva. In
dialogo con loro, si rese conto che non lo volevano, cioè che lui era rifiutato. Allora dopo una vita intera di rifiuti, nel momento in cui arriva qualcuno che gli dà la possibilità di essere libero e di avere rapporti con altri, si accorge che ancora una volta questo rapporto gli veniva negato. Allora si buttò nel Santerno, che è il fiume che passa da Imola, si seppe che si era buttato nel Santerno e morì. Questo è il discorso del suicidio di una
persona che sa che non ha più nessuna prospettiva, che nessuno lo considera come dovrebbe considerarlo. Quindi è un suicidio per la sua dignità, esattamente uguale a quello di cui parla Dante all’inizio del Purgatorio, cioè quello che riguarda Catone Uticense. Perché Catone Uticense si suicida perché non aveva più possibilità di esprimere la sua personalità, perché sarebbe stato sottoposto al tiranno, oppure sottoposto a uomini che non lo consideravano nulla, e Dante, facendo eccezione su tutte le regole della chiesa cattolica, come fa spesso, lo mette non solo all’inizio del purgatorio ma ne esalta la scelta. Questo è l’aspetto essenziale, il fatto che uccidersi significa dire
che se la mia vita non è più corrispondente alla mia dignità, io preferisco morire. Questo riguarda tanti suicidi.
Per confermare questo discorso c’è la testimonianza di un soldato americano che era stato in Vietnam, mi ricordo di aver letto la sua testimonianza in un libro. Questo soldato,
tornato dal Vietnam, raccontava che nel macello terribile che era il Vietnam, dove si massacrava la popolazione, si ammazzavano donne e bambini, si bombardava dappertutto, ci si uccideva giorno per giorno in continuazione, però quando accadeva che uno dei soldati americani si suicidasse, i comandanti che erano sempre tranquilli anche di fronte al macello e alla distruzione di un intero villaggio, entravano in grande crisi quando sentivano parlare di suicidio. Nel senso che loro che concepivano qualsiasi macello, però
non concepivano che uno decidesse per conto suo di togliersi dal mondo. Questo è l’altro aspetto. Cioè un aspetto è il significato che ha il suicidio per il singolo individuo, l’altro aspetto è il suicidio come minaccia del potere. Ecco queste sono le cose che io vorrei dire all’inizio di questo discorso.
In antico i suicidi non li seppellivano negli stessi cimiteri per i cristiani, per la religione il suicidio era inammissibile. Questo rende ancora maggiore la testimonianza di Dante che se ne infischia, pur essendo cattolico, come in altri momenti se ne infischia completamente, come quando parla con Brunetto Latini, che è stato il suo maestro, che
era un uomo di cultura che si è occupato di Dante nella giovinezza del poeta; lui trova Brunetto Latini e in questo caso, rispettando le regole, lo mette all’inferno tra i sodomiti, questa è la prima parte. Nella seconda parte c’è il fatto che quando lo vede lo tratta con affetto, e non solo con affetto ma gli dice “tu mi insegnasti come l’uomo si eterna”, cioè come l’uomo diventa immortale, tu mi hai insegnato l’essenziale della cultura, per cui il
personaggio di Brunetto Latini diventa un personaggio di grandissimo splendore, anche se si trova nel girone infernale. Perché poi tra l’altro Dante non ha mai considerato migliori quelli che sono in paradiso rispetto a quelli che sono nell’inferno. Delle persone di cui ha stima, che siano da una parte o l’altra, la stima la mantiene lo stesso. Questo nel discorso di Dante che va letto vedendo quello che c’è di originale, oltre a quello che c’è di
formale; come succede a tutti, c’è una parte formale e una parte originale. Questo per dire che il suicidio nel mondo cristiano, ma anche nel mondo musulmano, ma anche nel
mondo della bibbia, cioè nel mondo degli israeliti, non è ammesso perché viene considerato come una violazione della volontà di dio, nel senso che è dio che ha deciso
che sono nato ed è lui che deve decidere che io muoio. Il fatto invece che un essere umano lo decida da sé è una violazione delle grandi religioni, cosa diversa si trova solo in altre tradizioni diverse come nel buddismo, ma questo è un altro discorso. Il riferimento a Dante è importante perché attraversa i secoli, cioè si discute ancora su che cos’è il suicidio quando lui nel ‘200 aveva già detto la cosa chiara, trasgredendo tutta la dottrina e
il potere.
Dopo che è stato considerato un reato, quando arrivano gli psichiatri, come in antico succedeva che considerassero un reato e mettessero l’omosessuale, quando si arriva in
un epoca più moderna l’omosessuale invece che fare un reato va a finire in manicomio.
Si passa sempre da un discorso antico, che è quello direttamente della prigione, a un discorso diciamo meno antico in cui lo psichiatra sostituisce anche il carceriere. La colpa diventa una malattia. Qui si entrerebbe nel discorso che gli psichiatri fanno e che va rifiutato completamente, perché non ha nessun fondamento. Basta pensare che l’omosessualità per anni interi è stata considerata una malattia e alcuni la considerano
ancora malattia. Poi ad un certo punto è successo, alla riunione che fanno gli psichiatri americani per fare quel loro catalogo delle malattie mentali come dicono loro, che un
giorno uno di loro disse, quando si parlava di omosessualità: “…ma come si fa, quando so che molti tra noi psichiatri sono omosessuali? Allora togliamo l’omosessualità dalle malattie!…”. Se si trattasse di malattie non si mettono­ – e – ­si ­tolgono… Non è che si fa un
congresso di medicina in cui si decide che il tumore al polmone non è più una malattia. E’un’idiozia. Soltanto gli psichiatri si inventano delle cose che chiamano malattia e le
possono anche abolire. Questo fa vedere che la psichiatria non ha nessun fondamento scientifico, è una pseudoscienza, si spaccia come medicina ma non è medicina, per il
fatto che la medicina è un’altra cosa, la medicina si occupa di squilibri biologici dell’organismo, che sono reali perché sono testimoniate da esami, sono oggettivi, mentre
dire che un obiettore di coscienza, per esempio, è un malato di mente, è il giudizio moralistico di qualcuno. Come dire che l’omosessuale è un ammalato di mente, come dire che la donna che ha molti uomini è una ninfomane, come la donna che non sopporta più il marito è un isterica. Sono tutte invenzioni della psichiatria, come ha dimostrato
benissimo Thomas Szasz, sono invenzioni punto e basta, non hanno nessun significato di nessun tipo. Il discorso è molto semplice: gli psichiatri cercano di eliminare la persona
che viola quelli che da loro sono ritenuti i costumi: la rinchiudono o la uccidono. Fatto attuale: Francesco Mastrogiovanni, dei nostri giorni, è stato ucciso. Per quelli che sono i criteri moralistici della società in cui vive. Cosa che passa inosservata, perché è ben
mascherata dal fatto che, si dice, tutte le persone, anche ora se si parla di Francesco Mastrogiovanni, non pensano che ogni clinica psichiatrica sia un luogo di uccisione o di
eliminazione, ma pensano che sia stato un momento sbagliato di alcuni che non ce la fanno, non pensano che tutto l’insieme deve essere sottoposto a critica. Per quello io dico sempre che il discorso basagliano del superamento dei manicomi non ha nessun significato. Come il discorso che si potrebbe fare del superamento dei campi di
concentramento. Bisogna abbattere il nazismo, perché se ci sono i nazisti ci sono i campi di concentramento, perché non si eliminano i campi di concentramento lasciando in giro i
nazisti. Certo, i campi di concentramento non ci devono essere, ma non ci deve essere chi mette le persone nei campi di concentramento, e questo vale anche per la psichiatria.
Non è il manicomio il problema. Il manicomio è una conseguenza. Non è il campo di concentramento il problema, ma è la conseguenza di un impostazione… Se io penso che
lo zingaro deve essere tolto dal consenso civile, anche se non lo mando in un campo di concentramento la cosa è simile. Se io penso che l’ebreo non è come gli altri, o lo
zingaro, o il napoletano, o l’africano … perché cambia sempre ma non importa, allora insomma si può mettere al posto dei rifugiati chiunque. Ognuno ci mette gli altri. Però se si continua così, si continua con la violenza, non c’è niente da fare, e si continua anche con i pregiudizi. La psichiatria è violenza. Si comincia a prendere una persona con la forza, e portarla via perché il suo pensiero non ci piace, per cui è violenza fin dal principio, per cui la critica al manicomio, se non si abolisce il diritto dello Stato di prendere una persona e metterla dentro con la forza per il suo pensiero, non si abolisce niente.
Bisogna cambiare la struttura del potere. Siamo in lotta contro il potere, non c’è niente da fare, fintanto che il potere stabilisce che certi vanno eliminati e la gente gli va dietro.


Giorgio Antonucci

Pubblicato il 29 January, 2015
Categoria: Testi

Gassman attore e martire della depressione – Eugen Galasso –


N.B:Il titolo è nato mutuandolo da “Saint Genet comédien et martyr” (Saint Genet commediante e martire) di Jean Paul Sartre (Paris, Gallimard, 1952, 1988).

Di Vittorio Gassman è nota la “depressione”, che gli causò notoriamente alcuni ricoveri a Pisa, presso la Clinica Psichiatrica dell’Ospedale “Santa Chiara” di Pisa, diretta da Giovan Battista Cassano. Sono noti quelli degli anni Novanta, ma è quasi certo che ve ne siano stati altri, precedenti. Gassman ha sempre dichiarato “fedeltà e ammirazione” (riassumo, ovviamente) all’opera del prof. Cassano, sostenitore del carattere organico della depressione,  ma come  sia arrivato a tale ammirazione non lo sappiamo. In un personaggio teatrale, “Kean” (testo di Alexandre Dumas, rivisto da Jean- Paul Sartre), che Gassman diresse e interpretò negli anni Cinquanta , l’attore e regista teatrale e cinematografico si era identificato con Edmund Kean, rendendone i “cambi d’umore”, per dirla meccenicisticamente e comunque in modo meramente descrittivo. Il “Kean” di Gassman è alternativamente euforico e triste, malinconico, fino alla disperazione, per poi tornare a una condizione di maggiore “interazione” con il mondo, di “serenità” (la messa in scena teatrale è del 1956, il film ricavatone, che è solo teatrale, è del 1956). In due film diversi, nei quali era presente solo come attore, Gassman torna al tema: in “La pecora nera” di Luciano Salce, 1968 e con “Anima persa” di Dino Risi, 1977. Nel primo c’è il gioco dei “Menecmi”, ossia un fratello ministro-serio, compassato, posato, nell’altro ancora due fratelli, ma in versione “dark”, il serio e compassato nobile e il fratello entomologo “pazzo”. Nonostante il gioco sia comico nel primo film, il fratello “serio” finisce in un manicomio “old style”, nella versione  thriller-drammatica del secondo film, invece, il tema dell’implosione della personalità è presente, quasi rasentando una situazione “schizo”, à la Deleuze-Guattari (cfr.almeno “L’Anti-Edipo”(1))  . Tentativi di mettere in scena la “follia”, pur se con diverse modalità (cfr.sopra) oppure altro-volontà di giocare con la propria supposta “malattia”? Difficile dirlo, certo è che una lettura “psichiatrizzante” delle cose non ci servirà a nulla. Il rispetto per il maestro (anche “genio e sregolatezza” come nel suo “Kean”) Gassman non ci consente di parlare di “autoinganno”, ma senz’altro il consiglio di qualcuno o il condizionamento di un trend culturale lo ha spinto a fidarsi del “luminare”, senza interrogarsi meglio sui risvolti della cosa.  Se guardiamo alle definizioni di “depressione”, troviamo che si inizi a categorizzare, distinguendo tra “episodi leggeri di depressione” (F32.0), “episodi di depressione di media gravità” (F32.1), “episodi di depressione gravi senza sintomi psicotici” (F 32.2),  “episodi di depressione gravi con sintomi psicotici” (F 32.3) (2),  dove comunque si rilevano complessivamente “perdita di interesse oppure perdita di gioia per attività normalmente piacevoli”(3), “notevole perdita di appetito”, perdita di peso”,  “rilevante perdita della libido”,  “ridotta capacità di concentrazione e di attenzione”,  “ridotta autostima e fiducia in sé”,  “negativismo e pessimismo verso il futuro”,  “pensieri suicidari”(4).  Dove ognuno di questi elementi potrebbe essere invece riferito, chiaramente, a malattie vere e proprie (di carattere fisico, però) o ad altro (protesta consapevole verso il mondo, l’ “esterno”, un quadro socio-culturale intollerabile, protesta sorda ma comunque motivata), non a un quadro psico-clinico che la psichiatria deve pur identificare per poter esistere, eternandosi, ri-costituendosi sempre quale potere.  Non si prende neppure in considerazione che le cose siano e stiano come le vede per es. Giorgio Antonucci nel suo “Pensieri sul suicidio”(5), cioè che le riflessioni sul suicidio, come quelle sul dolore e sulla sofferenza siano in realtà assolutamente inefficaci, auto-consolatorie, imponendo una forma di arbitrario controllo sociale per impedire che vi siano dei “pericolosi sovvertitori”. Ora, forse, il fortissimo (in ogni accezione del termine) Vittorio Gassman ad un certo punto ha creduto più “facile” e “comodo” soccombere a un sistema, a un tipo di diagnosi-terapia (per ovvi motivi di “deontologia ” e “privacy”non li conosciamo, ovviamente, quasi certamente a Gassman Cassano non avrà “somministrato” l’elettroshock…). Ipotesi, certo, ma probabili: Gassman se non suicidato dalla società (come in una bella opera di Antonin Artaud su Van Gogh…)(6), vittima del fatto di aver assorbito teorie -“sirene” della cultura dominante.

(1)G.Deleuze-F.Guattari, L’Anti-Edipo, trad.it., Milano, Feltrinelli, 1972, 2002
(2)ICD 10. Parte quinta. Classificazione internazionale dei disturbi psichici, 1993, 1999. I paragrafi sono quelli indicati. In italiano ediz.Roma, Zecca dello Stato, 2001
(3)ibidem
(4)ibidem
(5)G. Antonucci, Milano, Eleuthera, 1996 e 2004.

Eugen Galasso

Pubblicato il 3 April, 2012
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo