I miei due primi incontri con Thomas S. Szasz, a Syracuse, New York – Piero Colacicchi

L’8 settembre di quest’anno cade il primo anniversario dalla morte di Thomas S. Szasz. In quest’occasione pubblichiamo l’intervento che segue.

(Durante gli anni ’70 il panorama della psichiatria, qui in Italia, era diviso tra tradizionalisti e cosiddetti anti-psichiatri. Tra gli anti-psichiatri erano molto in voga, con le loro pubblicazioni, Laing e Cooper, due medici inglesi che contestavano la psichiatria tradizionale pur accettandone l’impostazione di fondo, repressiva e segregante, e i lavori di Basaglia che criticava le istituzioni manicomiali e proponeva le attività che avrebbero portato alla legge 180. Con posizioni del tutto diverse, di rifiuto totale della psichiatria e quindi dei concetti di malattia mentale e relativa incapacità, lavoravano Edelweis Cotti e Giorgio Antonucci, l’uno come direttore, l’altro come responsabile di tre reparti, nell’Ospedale Psichiatrico Osservanza di Imola. Contemporaneamente venivano pubblicati dalle case editrici Il Saggiatore, Armando e Feltrinelli i libri di Thomas S. Szasz, medico, filosofo e psicoterapeuta ungherese trapiantato giovanissimo negli Stati Uniti, che proponeva una critica radicale alla psichiatria in termini molto simili a quelli di Antonucci e di Cotti. Nel 1980 Cotti e Antonucci, saputo che ad un simposio organizzato a Roma dal CDDU ( Comitato per la Difesa dei Diritti dell’Uomo) avrebbe parlato Szasz, decisero di andare a sentirlo e mi proposero di accompagnarli. Alla fine del convegno, però, riuscimmo a mala pena a traversare la folla che lo circondava e a salutarlo. Nel 1982 Giorgio Antonucci fu invitato a Zurigo ad un’altra tavola rotonda, organizzata, questa volta, dal CDDU svizzero, e a cui era invitato anche Szasz. Noris Antonucci ed io andammo con lui. E in quell’occasione Szasz accettò, dopo aver sentito l’intervento di Antonucci e malgrado ci fosse molta gente che voleva parlargli, di rilasciarmi un’intervista ( naturalmente in inglese ) che io registrai e in cui si dichiarava sostanzialmente d’accordo con quanto Antonucci aveva detto. Poi, avendola sbobinata, ma prima di tradurla in italiano, glie la spedii perché l’ approvasse, ma dovemmo parlarne varie volte al telefono prima che ce la rimandasse, corretta e un po’ modificata. Da quel testo Giorgio Antonucci ed io facemmo la traduzione che fu pubblicata su Collettivo R, rivista di politica e letteratura diretta da Luca Rosi, nel numero X del 1982 con il titolo “Conversazione con Thomas Szasz, a cura di Piero Colacicchi”. Un anno dopo, nel 1983, in preparazione di un mio viaggio di lavoro negli Stati Uniti e sapendo di dover passare per Syracuse, la città in cui Szasz viveva, gli scrissi per chiedergli un appuntamento. Mi rispose semplicemente: ” Quando è qui mi telefoni”.
Quel che segue sono gli appunti, presi proprio in quei giorni e rivisti oggi alla luce dei miei ricordi, ancora molto vivi.
)

Syracuse, 25 febbraio 1983

[…]
Ho appena concluso gli incontri all’università e sono stanchissimo. Dovrei telefonare a Thomas Szasz ma non ce la faccio. Sono anche molto nervoso all’idea di incontrarlo perché, dopo le difficoltà che abbiamo avuto a metterci d’accordo sul testo della mia intervista, me lo immagino pignolo e difficile.
D’altra parte son qui con una missione importante a cui sia Giorgio e Noris che io teniamo molto: costruire un rapporto, stabile, tra Giorgio e lui, che permetta di promuovere con più forza le loro comuni posizioni contro la psichiatria. Devo mettercela tutta.





26 Febbraio 1983.

Stamattina, finalmente, mi son fatto coraggio ed ho telefonato a Szasz. Si è detto contento di sentirmi e si è offerto di venirmi a prendere all’albergo, all’una.
Puntualissimo, all’una in punto era nella hall. Mi ha salutato come se ci conoscessimo da sempre e al mio “Buongiorno, Professor Szasz” ha risposto: “ Ma no, chiamami Tom. Dopotutto siamo anche colleghi”, riferendosi al fatto che sia lui che io insegniamo alla Syracuse University, anche se in città diverse. Poi mi ha portato in macchina a casa sua.

La casa, in stile anni ’70, scura, di modeste dimensioni e simile a molte case del circondario di Syracuse ( in realtà è un po’ fuori città, nel comune di Manlius) è quasi immersa in un bosco in cui spiccano contro la neve, tra neri tronchi d’albero ed arbusti in questa stagione tutti spogli, verdi conifere e betulle dal tronco bianchissimo. Szasz mi ha fatto entrare e ci siamo trovati direttamente in cucina. Dopo avermi offerto un caffè ( scusandosi per avere in casa solo decaffeinato ) mi ha chiesto se avevo voglia di visitare i dintorni. Ho detto di si, lui mi ha prestato un paio di scarponi e un giubbotto pesante e siamo usciti. Abbiamo girato intorno ad un lago quasi ghiacciato di cui non so il nome, tutto circondato da fitti boschi e poi abbiamo seguito il sentiero che porta a Onondaga Falls, una bella cascata impreziosita da stalattiti di ghiaccio a qualche chilometro dal paese. Tornati a casa sua ci siamo ricambiati e, all’ora di cena, mi ha portato in un ristorante piuttosto elegante, in centro, e lì siamo rimasti a parlare fino alle 11.

Impossibile ricordare tutti gli argomenti su cui ci siamo soffermati in tante ore. Ci siamo scambiati idee su Mozart e sul jazz, abbiamo ragionato di politica, di letteratura e perfino di cucina – Szasz si mostrava sempre molto informato e curioso – ma specialmente, come è ovvio, abbiamo discusso di psichiatria. Mentre eravamo a casa sua, quando veniva fuori la questione di come dimostrare la stupidità, oltre che la criminalità, di un qualche aspetto particolare della teoria psichiatrica, si alzava, andava a prendere uno dei libri che aveva pubblicato, mi leggeva un passaggio, poi mi guardava e esclamava: ‘ Vedi, ho già affrontato anche quest’aspetto qua. Non bisogna proprio tralasciare niente’ e mi guardava sorridendo, soddisfatto.

A cena abbiamo parlato molto di Giorgio ed io ho cercato di spiegare meglio possibile il significato delle Calate, soffermandomi poi sulla sua attività ad Imola. Szasz voleva conoscere ogni particolare di questo lavoro ed era evidente che c’erano varie cose che non gli tornavano e su cui mi domandava con insistenza chiarimenti. Non gli era chiaro, per esempio, il perché Giorgio lavori così come fa a Imola, spendendosi così tanto nell’ospedale, nei reparti, dietro ai ricoverati. Mi ha chiesto se lo faccia per dimostrare agli psichiatri, ai medici, che la malattia mentale non esiste. Poi non capiva come avesse fatto Giorgio a raccogliere tanta gente durante le Calate di Reggio Emilia ed aveva molto timore che tutto quanto ha ottenuto derivi da una sua appartenenza al partito comunista. E così via. Quando però gli ho subito detto che non sono gli psichiatri che interessano a Giorgio, che lui non va ai grandi congressi di psichiatria a spiegare una sua versione della malattia e che, invece, il suo scopo è quello, primario, di liberare le vittime e contemporaneamente dimostrare non agli psichiatri, ma a coloro che hanno il potere di cambiare le cose – ai politici, alle persone di cultura, alla gente in genere – l’orrore infinito della vita nei manicomi, la criminalità della psichiatria e, d’altra parte, come se ne può e se ne deve fare a meno, insomma far capire che i trattamenti psichiatrici e la psichiatria stessa sono da eliminare, non da cambiare, allora si è eccitato moltissimo ed ha esclamato: ecco, così si, ora capisco, così va bene.
Anche sulla questione dei rapporti di Giorgio con i comunisti, che dopo le domande che gli avevo fatto durante l’intervista pubblicata su Collettivo R lo preoccupava molto, ho fatto di tutto per fargli capire come stanno le cose, ma temo che abbia ancora parecchi dubbi. Gli ho spiegato come Giorgio sia stato allontanato da Reggio proprio dal partito comunista e questo l’ha un po’ tranquillizzato, ma non più di tanto. Szasz è un libertarian, cioè liberale nel senso classico del termine, (che è un po’ come dire radicale da noi, in senso pannelliano), contrario alle ingerenze dello stato sull’individuo, fortemente anticomunista e contrario al wellfare state, che accomuna a idee anti-liberali . E’ un ebreo ungherese: vicino o parente di quelli che sono stati perseguitati, sono stati uccisi o sono sfuggiti al nazismo ( lui è in America da prima della guerra) e che dopo la guerra son stati perseguitati dai russi. Malgrado i miei tentativi non so quanto abbia capito sulle profonde differenze tra la situazione politica italiana e quella americana ( per non dire quella russa ), tra il nostro ed il loro concetto di sinistra e in particolare sulla posizione di Giorgio, lontana da ogni schema, con le sue necessità di costruire alleanze e nello stesso tempo mantenere la sua integrità: ma ho fatto del mio meglio. Ci sono tante somiglianze, tra loro due, che però trovano intralcio ad una perfetta comunicazione sia per le provenienze culturali diverse che per i due ambienti politici in cui oggi vivono, molto differenti tra loro. Il fatto che non abbiano una lingua con cui comunicare direttamente rende le cose ancora più complicate.
Abbiamo parlato di Cechov, uno dei nostri scrittori preferiti e che, oltre tutto, è l’autore del racconto “Il reparto n° 6”, primo e fondamentale pamphlet contro la psichiatria. Szasz non sapeva che esistessero raccolte di sue lettere e si è molto interessato a quanto glie ne dicevo. A sua volta mi ha consigliato i libri di Istvan Benedek ‘The guilded cage’ e quello di Jan Foudraine ‘Not made of wood’.
A fine serata siamo rimasti d’accordo che gli faremo mandare da Imola un invito a partecipare ad un incontro, sempre che, quando torno in Italia, ci sia possibile organizzare un gruppo di lavoro e raggranellare i soldi necessari.
Credo che Szasz sia ora veramente attratto dall’idea di venire a parlare direttamente con Giorgio. Ad un certo momento gli ho chiesto se conosce altre persone che sulla psichiatria la pensano come noi: “Nessuno”, ha detto, siamo soltanto io, te ed Antonucci.”
Con un brivido mi son venute in mente le donne del reparto 14.


27 febbraio.


Su invito di Szasz (che ora, sforzandomi un po’, chiamo Tom) siamo andati a fare un’altra bellissima gita di un’ora e mezzo durante la quale abbiamo affrontato i più vari argomenti ma, come è ovvio, quello più ricorrente era la psichiatria. Il momento più bello è stato quando gli ho detto che Giorgio ha dimostrato empiricamente, liberando i ricoverati, quello che lui, Szasz, ha sempre sostenuto teoricamente. Era entusiasta. Ora ha molta voglia di venire a Imola. Abbiamo anche concordato il tema del suo primo intervento: la radicalizzazione del concetto di pazzia e i problemi inerenti la 180. Lui spiegherà che mettere in ospedale civile le persone che prima erano in ospedale psichiatrico significa passare dal concetto, in qualche modo attaccabile legalmente e costituzionalmente, che una persona possa rappresentare un potenziale pericolo, all’idea che si tratti di un normale malato, concetto che è molto più difficile da smontare. Mi ha chiesto di mandargli due articoli, uno di Giorgio ed uno mio, sul rapporto tra psichiatria e libertà.
Si parlava camminando ai margini di un bosco, lungo l’argine dell’Erie Canal, sul sentiero costruito per i cavalli che, una volta, trascinavano le barche lungo quella straordinaria via d’acqua di quasi 600 chilometri che congiungeva ( ora è in parte abbandonata e navigabile solo a tratti ) i grandi laghi all’oceano, e ogni tanto ci si fermava a guardare il paesaggio.
Oggi il cielo era limpidissimo e la vista del canale mezzo ghiacciato, che si perdeva all’orizzonte, dava un enorme senso di pace.
Camminavamo e parlavamo, fermandoci ogni tanto quando l’argomentazione si faceva più intensa, poi tornavamo a camminare. Ad un certo punto, dopo un lungo silenzio, Szasz mi ha confessato, facendo finta di guardarsi intorno quasi fosse un segreto da mantenere tra noi, che era molto contento di poter passeggiare con me così come stavamo facendo, ‘all’europea’, cioè per il solo piacere di passeggiare e conversare, perché gli capita di rado: gli americani, sostiene, non sanno farlo: si muovono solo con scopi precisi – andare a far spese, fare jogging, ecc. Questa divertente, spontanea prova di intimità, quasi di complicità, mi ha commosso e mi ha fatto sentire molto a mio agio.
Parlando scoprivamo di avere sempre più punti in comune. Szasz ogni tanto mi faceva qualche domanda un po’ a trucco ( per sondare se eravamo veramente d’accordo) e ogni volta che le mie risposte lo soddisfacevano scoppiava a ridere fragorosamente gridando: of course, of course ( naturalmente, naturalmente). Stava zitto per un po’, guardandosi intorno, poi, per esempio, mi chiedeva, a bruciapelo: tu cosa pensi di uno che dice di essere Gesù Cristo? E io: che la sua è un’opinione come un’altra e che ha il diritto di pensarla come vuole. “ Right, of course”.
Ci si conosce da due giorni, nel senso che solo in questi due giorni abbiamo fatto amicizia uscendo dal rapporto formale che avevamo prima, e sembra che ci si conosca da anni. E’ straordinario vedere come lui si apra sempre più a me e, di conseguenza, a Giorgio. Non più diffidente come prima, ripete spesso: ” Non riesco a credere alle opportunità pratiche che il nostro lavoro in comune ci presenta”.
Che personaggio fantastico. Credo che il 21 maggio, quando verrà, sarà una data storica. Quello che Giorgio e Szasz possono fare insieme è enorme.

E’ un cammino faticoso, accidenti, ma piano piano si va avanti: nel ’64, quando ho visto per la prima volta l’interno di San Salvi, pensavo che niente potesse fermare quell’orrore incomprensibile, poi dal ’66, quando ho conosciuto Giorgio, ne ho capito l’origine e a Imola sono stato testimone di quanto è possibile fare per eliminare la violenza di cui sono vittime i ricoverati, ed anzi come sia possibile liberarli. Ora sta prendendo forma il collegamento con Thomas Szasz e, attraverso di lui, forse, la possibilità che Giorgio si inserisca in un grande movimento internazionale contro la psichiatria…! Che bello!

( Purtroppo quel 21 maggio Szasz non venne perché fu impossibile trovare i fondi e organizzare in tempo la sua venuta. Passò da Firenze, invece, di sua iniziativa, nei primi giorni d’agosto del 1985. In quell’occasione Noris Antonucci preparò una gran cena per lui e per un gruppo di amici italiani e Thomas Szasz e Giorgio Antonucci, un po’ direttamente e un po’ attraverso di me che facevo da interprete, riuscirono, finalmente, a comunicare abbastanza bene. Fu quella sera che Szasz accettò di scrivere la prefazione al libro che Antonucci stava finendo di elaborare,’I Pregiudizi e la Conoscenza: Critica alla Psichiatria’, libro che uscì, per le Edizioni Coop. Apache, nel dicembre del 1986)


Syracuse, 9 gennaio 1987


Sono a Syracuse dalle 12,30 di stamani.
Prima di partire da New York (dove mi ero fermato per una settimana) avevo telefonato a Tom Szasz per dirgli che avrei passato un paio di giorni nella sua città e che l’avrei visto volentieri. Mi aveva risposto che nel pomeriggio di oggi sarebbe stato libero e che avrebbe aspettato in ufficio una mia telefonata. Così ho fatto. Lui mi è venuto a prendere al terminal della navetta con una sua amica, una psichiatra di nome Isabel, e siamo andati a mangiare da Fagan, un piccolo ristorante piuttosto buono. Presto mi sono accorto, però, che Szasz si mostrava parecchio imbarazzato nei miei confronti perché ogni volta che la conversazione toccava i temi su cui io e lui volevamo parlare nascevano, tra lui e lei, interminabili discussioni a cui lui non sapeva come sottrarsi. Io, per allentare la tensione, cercavo di portare il discorso su argomenti neutri, ma senza molto successo: in realtà, dato il poco tempo che avevamo a disposizione, ero io stesso troppo ansioso di parlare della possibile traduzione in inglese del libro di Giorgio, appena uscito in Italia con prefazione scritta proprio da Szasz, per non sentirmi un po’ sulle spine. Per fortuna, Isabel è dovuta scappar via alle due e ci ha lasciati soli.
Abbiamo, così, potuto affrontare gli argomenti che ci stanno a cuore. Per prima cosa ho consegnato a Szasz una copia di ‘I Pregiudizi e la Conoscenza’ con la dedica di Giorgio e, sfogliandolo, gli ho sommariamente spiegato com’è composto. Poi Szasz mi ha descritto a lungo il suo ultimo libro, appena uscito, “Insanity”, di cui è molto soddisfatto. ‘ E’ il libro più importante che io abbia mai scritto’ ha detto, convinto.
Parlando del libro di Giorgio mi sono accorto che diceva “your book” ( che in inglese può significare il ‘tuo’ oppure il ‘vostro’ libro) e poi ne discuteva come se fosse stato il mio: e glie l’ho fatto notare. Lui ha cercato di spiegare perché lo faceva, ma non ho capito bene. Penso che, semplicemente, non avendo Giorgio presente, Szasz si rivolga a me come se fossi Giorgio sapendo che io poi gli riferirò quanto è stato detto. Inoltre, come mi ha fatto capire in altre occasioni, lui è convinto che con me i rischi di incomprensione siano minori perché… io non sono un medico.
Dopo pranzo siamo andati nel suo ufficio all’università dove io mi sono divertito a fargli una fotografia mentre mi scriveva la dedica su una copia di Insanity.
Ho ripreso il discorso sulla pubblicazione del testo di Giorgio in America e Szasz ha telefonato al suo editore, la John Wiley and Sons di New York, ed ha parlato a lungo con la persona che cura i suoi libri. La risposta è che dobbiamo fare subito una traduzione, anche molto rozza, e mandargliela per una prima valutazione.
Dopo abbiamo conversato ancora un po’. Tra le altre cose gli ho detto che i titoli dei suoi libri sono molto mal tradotti in italiano. Allora me ne ha fatto vedere uno che aveva appena ricevuto dall’Italia e, in questo caso è la prefazione, oltre al titolo, che non rispecchiano affatto il suo pensiero! C’è rimasto male.
Tra vari argomenti su cui ci siamo soffermati c’è stato quello della pena di morte, una questione che mi è molto presente in questi giorni che mi sto preoccupando per la sorte di Paula Cooper. In un primo momento Szasz mi aveva lasciato molto perplesso, chiedendomi cosa pensassi fosse meno tremendo tra finire in manicomio o ammazzati. Vedendo che non rispondevo mi è venuto in aiuto dicendo che lui certamente è contro la pena di morte, ma che il giudizio di malato di mente è anch’esso una pena di morte perché produce una svalutazione della persona, totale e prolungata per tutta la vita. Inoltre il delinquente è punito per un reato che ha commesso (o che alla fine di un dibattimento tra accusa e difesa si giudica che abbia commesso); chi è dichiarato malato di mente, cioè incapace di vivere in mezzo agli altri, si trova escluso per sempre dal resto della società, e spesso incarcerato anche per anni, in base al giudizio insindacabile di uno psichiatra, cioè di una persona con più poteri degli stessi giudici ma che si basa su una serie di argomenti del tutto privi di valore scientifico.
Non potevo non dargli ragione.

Dopo esser rimasti ancora un po’ in ufficio siamo andati a casa di sua madre, anziana ma piena di vita, vera donna d’altri tempi: molto elegante, cinturino bianco di seta al collo e modi straordinariamente cortesi. Vive in una bella villetta arredata con mobili di valore. Ci ha versato caffè da antiche brocche d’argento e ci ha offerto degli ottimi biscotti ancora tiepidi, appena fatti da lei, porgendoceli su bei piatti di cristallo sfaccettato.


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1  La traduzione del primo libro di Szasz, storicamente il più importante, intitolata ” Il Mito della Malattia Mentale” era stata pubblicata per il Saggiatore nel 1966, ma fu dalla seconda edizione, del 1974, uscita quando anche Feltrinelli cominciava a pubblicare i suoi libri, che i testi di Szasz entrarono a pieno titolo nelle nostre discussioni.
2  Vedi: http://www.spunk.org/library/health/sp001619/08_CONVE.HTM
Le Calate, di cui avevo parlato a Szasz nell’intervista ricordata sopra, sono state chiamate le visite di controllo al manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia effettuate tra il 1970 e il 1971 da gruppi di cittadini della montagna nei confronti di una istituzione posta in pianura e controllata da Reggio.
4  Vale la pena ricordare, qui, che solo il New York Times, letto da tutti a New York ma solo da alcuni intellettuali nel resto degli Stati Uniti, riporta di tanto in tanto qualche notizia di particolare rilievo riguardante l’Italia. Szasz, naturalmente, conosce le opere principali della nostra letteratura e sa tutto dei vari movimenti interni alla psichiatria europea e italiana, ma non sempre è in grado di collocarli con precisione nel nostro panorama politico e culturale.
5  vedi: http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2011/05/25/paola-cooper-16-anni-aspettava-l%E2%80%99esecuzione-della-condanna-a-morte-piero-colacicchi/

Pubblicato il: 2 September, 2013
Categoria: Notizie

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo