Un romantico contro la psichiatria – Eugen Galasso
Spesso un discorso, anche involontariamente-inconsciamente, “anti-psichiatrico” si nasconde “nelle pieghe”: è il caso, oltre che di affermazioni varie nell’antichità e nel Medioevo (pensiamo a quella sofoclea per cui “il più grande enigma è l’uomo”, che tuttavia è probabilmente ancora troppo “generica”, in vari sensi) a un’affermazione radicale e precisa di Théophile Gautier (1811-1872), grande scrittore romantico e teorico del Romanticismo, che in “Avatar” scrive, tra l’altro (tralascio il contesto, qui “inessenziale”): “Non si è ancora sezionata un’anima in un amfiteatro anatomico” (Avatar in “Avatar, la mort amoureuse et autres récits fantastiques, Paris, Gallimard, p.213). Considerando che il romanzo in questione è del 1857, quindi della metà (poco più) del 1800, la “psichiatria” dell’epoca era in piena fase meccanicistica, la Salpetrière in piena funzione (molti decenni prima aveva “accolto” il “Divino” Marquis de Sade), dunque, anche se appunto “involontariamente”, magari riprendendo la dicotomia cartesia tra res cogitans (pensiero, mente ma anche “anima”, dato che il concetto di “psiche” è posteriore) e res extensa (corpi e natura), segna una netta cesura tra “dilemmi della mente e dell’anima” (mi esprimo volutamente in maniera generica) e corpo, dove è solo sul corpo-sui corpi che anatomia e chirurgia possono agire… Una precisazione importante che, pur se in maniera “accidentale” (non risultano trattati del saggista Gautier su questi temi) chiarisce molto bene la questione in gioco. Che poi il dilemma (dirò così, ma potrei dire “sofferenza”) del protagonista di “Avatar” (nulla a che vedere con il “cult-movie” di qualche anno fa, ma è quasi pletorico metterlo in chiaro), Octave sia “un chagrin d’amour” (una sofferenza d’amore) è questione che attiene strettamente al Romanticismo, ma al tempo stesso, se vogliamo estendere la cosa e farne un problema anche ai giorni nostri, vuol dire quasi “Giù le mani dall’amore, psichiatri eventuali!”. E non è questione peregrina: se si pensa ai suicidi per amore, tuttora, ma anche a persone che per lo stesso motivo finisconmo in “clinica psichiatrica” etc… Qui l’esperienza lunga e profonda di Giorgio Antonucci docet. Sarebbe, ovviamente, una pura sciocchezza voler leggere le frase, quasi “intervallata” (ricorro a una similitudine musicale credo non peregrina, dato che anche sintatticamente la frase che ho tradotto è un inciso, una proposizione incidentale) di Gautier quasi fosse un predecessore di Szasz, Antonucci, Laing, Cooper etc., ma sicuramente una riflessione a riguardo credo sia opportuna, dato che la parola o meglio l’espressione intera “è gettata”. Certo gli “psichiatri” non leggono Gautier, però…
Eugen Galasso
Pubblicato il 12 February, 2014
Categoria: Notizie
Convegno: Si può fare in maniera diversa – con Maria D’Oronzo
25 febbraio 2014, Rimini
Cinema Teatro Tiberio, Chiostro Chiesa di San Giuliano Martire, via San Giuliano 16 Rimini
ore 13: Maria D’oronzo
Relatori: Riccardo Sabatelli, Stefania Guerra Lisi, Vincenza Palmieri, Nunzia Maniacardi, Francesco Miraglia, Maria D’Oronzo, Marisa Golinucci, Mariano Loiacono, Roberta Casadio
Pubblicato il 8 February, 2014
Categoria: Notizie
Psichiatria ma spesso anche psicologia – Eugen Galasso
Una psichiatria al servizio dei poteri, del potere (ma al Potere pasolinianamente inteso non credo, se non come efficace metafora) quando i poteri convergono su una linea, accerchiano chi si colloca al di fuori di certe logiche, ma anche certi orientamenti psicologici e psicoanalitici rischiano di essere o divenire “invasivi”, soprattutto se fraintesi nella loro essenza. Così psicologi e psicoanalisti (ma anche psichiatri tendenzialmente orientati verso la psicoanalisi) di orientamento freudiano curiosi di estorcere ai loro clienti (o “pazienti”, se vanno dallo psichiatra) “confessioni” sul sesso, anche in età infantile, per sapere se abbiano assistito alla “scena primaria”, quando e come…Adleriani intenti a chiedere informazioni sul rapporto con la propria individualità, con l’autoaffermazione etc., junghiani (o presunti tali, ma vale per gli orientamenti precedenti e per altri che qui non enumeriamo per non tediare troppo chi legge) che interrogano le persone sulle opzioni simbolico-religiose etc. Anche nell’ambito che sembrerebbe meno invasivo o dovrebbe essere tale, quello umanistico di Carl Rogers (ma anche altri psicologi della “Terza Ondata”, come spesso si chiama, fanno uso, per es., di LSD, quasi fosse versione più moderna del Pentothal, peraltro ancora in uso…). Studiando, vari anni fa, le opere di Rogers con un professore rogersiano, avevo trovato, nella formulazione, abbastanza oppressiva, delle domande rogersiane, tale rischio, ma avevo trovato poi una sorta di prontuario rogersiano (meglio: di suoi seguaci ed eredi) che si distingueva per essere pedantesco, noioso, mirato comunque sempre a indirizzare la persona, a guidarla a dire anche ciò che non vorrebbe dire. Ho ritrovato da poco un romanzo non di grande momento, “Marnie”di WInston Graham, che considero di gran lunga inferiore al film omonimo che ne aveva ricavato Alfred Hitchock (il romanzo è del 1961, il film del 1964). Non mi soffermo sulle differenze tra romanzo e film(molte e molto significative, peraltro), non entro nel merito delle questioni estetiche e poetiche relative, ma vado al nocciolo della cosa, ossia a un elemento chiave del libro, che nel film non c’è, perché là sarebbe inutile: il dottor Roman, che vuol curare, per indicazione del marito Mark la moglie, giovane cleptomane (cito qui la definizione desunta dalla vulgata psichiatrica) terrorizzata dal sesso (anche qui definizione semplificata, per intenderci). Ebbene, Roman, che Graham definisce”psichiatra” (cfr. quanto detto sopra; ma c’è anche da dire che un romanziere, per di più anglosassone, non è obbligato a distinguere troppo tra questi ruoli, e comunque l’autore non lo fa…), ad un certo punto chiede alla protagonista se lei non voglia(generare ma poi avere, educare, curare etc.) bambini. Una violenza inaccettabile, orientata ad un paradigma teleologico, ossia di finalismo procreativo imposto alle persone. D’accordo, non c’era il femminismo, si potrebbe obiettare, ma anche dei maschi potrebbero rivendicare (chi scrive spera lo facciano sempre di più, ma questo è altra cosa) la loro intenzione di non generare. Discorsi culturali a parte, però, rimane la violenza fatta al pensiero e alle intenzioni di una persona, specie se donna (nella fattispecie) indotta se non obbligata, comunque “persuasa occultamente” (l’espressione è di Vance Packard) a generare anche se non vuole farlo. Si dirà: ma è un romanzo. Invece no: a parte il fatto che molto spesso, se non sempre, i romanzi riflettono la cultura del proprio tempo, nel caso specifico si sa di medici (anche per nulla psichiatri), psichiatri, psicologi, psicoanalisti insistono, che, anche se non sono cattolici integralisti, su questo tipo di argomentazione insistono, sulla necessità di “sorvegliare e punire”, di controllare, in particolare chi si ritiene (meglio: il potere machista ritiene) sfugga alla cultura, collocandosi più sul versante della natura. Ma, se il discorso vale a fortiori per la donna, sempre repressa (Giorgio Antonucci, “non psichiatra” che ha il merito di aver chiuso i reparti femminili dei manicomi, ma anche di aver teorizzato la sua prassi, docet), esso vale anche per l’uomo, o meglio per quegli uomini che non rientrano negli stereotipi logocentrici della “sola cultura”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 29 January, 2014
Categoria: Notizie
Giorgio Antonucci – Intervento “Premio Giorgio Antonucci”, 2013-2014 –
http://www.youtube.com/watch?v=fyAgKEk_R9U
Youtube:sul canale del Centro di Relazioni Umane http://www.youtube.com/channel/UChx-KT4kt8mfO5zv4mE602w
Pubblicato il 19 January, 2014
Categoria: Notizie
“Frast’ uomo cromatico: Memorie ancestrali” Stefania Guerra Lisi – di Eugen Galasso
“Frast’ uomo cromatico: Memorie ancestrali”, di Stefania Guerra Lisi (Pietrasanta, Petrarte edizioni), docente a Roma Tre (Università romana) e nelle scuole Montessori di Roma, ideatrice del corso quadriennale sulla”Globalità dei linguaggi”, esperta di riabilitazione di “diversabili” sensoriali, motori e psichici, spiega qui le opere dell’artista fiamminga, ma residente a Carrara, non è un “semplice” catalogo d’arte, quanto un commento importante e in linea con quanto l’autrice fa e con il campo in cui opera da anni: la diffusione della creatività in ogni ambito, per ogni persona, l’individuazione degli archetipi nei quali si muove ogni cultura umana e ogni persona che ne sia partecipe. L’opera di Linda Roels, espressa nel “Bewusstwording” (divenire consapevole) formata a Gent/Gand (Accademia d’Arte), mima, che ha lavorato anche con l'”Arca”, compagnia teatrale del regista De Bels e del grande drammaturgo spagnolo Fernando Arrabal, colui che, con Roland Topor e Alejandro Jodorowski (oggi il “vate” della “psicomagia”), avevano creato il “Mouvement panique”, il movimento teatrale e in genere artistico che aveva rivitalizzato le tematiche surrealiste, senza peraltro inserirsi stabilmente nel surrealismo. E nell’opera di Linda Roels le tematiche “surreali”, ben più che “surrealiste” sono pienamente presenti, non come riproposizione del già conosciuto in forma nuova ma come individuazione di quegli elementi “eterni” che spesso riteniamo persi, ma, in quanto appunto”ancestrali”, ci appartengono, invece, a pieno titolo e che ritroviamo nell’arte, l’espressione più diretta e “materializzata” del nostro vissuto e delle tensioni verso ciò che vorremmo vivere. Un altro contributo importante per conoscere e conoscersi, in una dimensione di irruzione del'”onirico” nella nostra “realtà quotidiana”, dove virgoletto non a caso le due espressioni, in quanto risultano da una nostra volontà di classificare e di distinguere esperienze e realtà che, per es. in altre culture, sono e si presentano come unite, senza alcuna distinzione.
Eugen Galasso
Pubblicato il 31 December, 2013
Categoria: Notizie
Racconto vero di ieri (tutela massima privacy)-Eugen Galasso
Non mi capita spesso, in occasione extra-prassi, extra- rapporto con i clienti, di capitare in queste situazioni. Ieri, con una conoscente (quindi, non può essere cliente, per me in quanto reflector) mi spiegava il divenire di un suo spettacolo, realizzato in collaborazione con un famoso ballerino, tratto da “Il grande Gatsby” (“The great Gatsby”) di Francis Scott Fitzgerald(il romanzo è del 1925). Per non dare coordinate di riconoscibilità, tutelando al massimo la privacy, dirò solo che si tratta di un’attrice semi-professionista, un’intellettuale, moglie e madre di famiglia, senza aggiungere altro. Mi racconta della genesi faticosa ma feconda dello spettacolo, della difficoltà nel trovare un “fil rouge” comune con il danzatore, suo amico, con cui realizzerà lo spettacolo ma ha rotta l’amicizia, per controversie estetico-realizzative. Ad un certo punto narra di un sogno, in cui vedeva suo marito come un pedofilo, che minacciava suo figlio. Da sveglia, di mattina, inveisce contro il marito, colpendolo più volte (pugni e calci)finché il marito chiama il 113 e poi il reparto psichiatrico. Ricoverata in reparto (sempre racconto suo, cui peraltro mi attengo fedelmente), colpisce anche gli infermieri poi, sedata, dorme. Ricovero di 2-3 giorni, a quanto ho capito, avvenuto circa due mesi fa. Un TSO, senz’altro, di cui (definizione, modalità) la persona è all’oscuro. Ritiene di aver così “metabolizzato, capendola, la situazione”. Rimane il pregiudizio per cui chi grida ed inveisce va “rinchiuso” in “reparto psi”, non più in “manicomio” (oggi amiamo gli eufemismi). Ora: si tratta del culmine di una mera “crisi artistica” (non psichiatrica), di un work in progress faticoso, duro, che sfida la sensibilità e l’intelligenza (forte) di due persone, essendo nella fattispecie molto dotata (la donna) a livello logico-deduttivo (“pensiero convergente”) come anche anche creativo (“pensiero divergente”), mentre sul danzatore non posso esprimermi, ma essendo lui prevalentemente dotato, ritengo, soprattutto a livello “creatico-divergente”. Non mi azzardo ad interpretare il sogno, il cui senso comunque credo sia abbastanza chiaro (con transfert su altre persone), essendo il bambino in realtà la creazione artistica, lo spettacolo. Certo che, ancora una volta, la sola interpretazione freudiana (e in parte lacaniana) appare insufficiente…ma non voglio dire di più. Ancora una volta: A)La psichiatria non coglie il fulcro della cosa, anzi non coglie nulla, anche se la persona è convinta del contrario, anche se non vuole interessarsi dei “dettagli” (TSO, ricovero, sedazione, etc.); B)La creatività, ma anche la ricerca scientifica, quando attinge vette “estreme”, che impropriamente chiamiamo “parossistiche”, ha una sua dinamica, che porta al contrasto, allo sconto (meglio se non fisico, “nonviolento”, ovviamente). Dal furore michelangiolesco a quello beethoveniano, a quello di Van Gogh, che si taglia un orecchio, da Antonin Artaud, “inquieta” vittima della psichiatria e dell’elettroshock, allora invenzione recente (erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale, dal 1939 al 1945, mentre Cerletti e Bini usarono per la prima volta la tecnica elettroconvulsivante nell’aprile 1938). Sapienti sat, per il sapiente/saggio basta così. Merry Christams, without (and against) psychiatry (Buon Natale senza e contro la psichiatria).
Eugen Galasso
Pubblicato il 25 December, 2013
Categoria: Notizie
A volte ritornano: le gabbie – Eugen Galasso
A volte ritornano: ma non solo i vecchi ceffi della politica (uno dei quali, che ha tagliato il traguardo degli 88 anni, si è fatto rieleggere, dopo vari tira e molla, Presidente della Repubblica, caso unico nella storia repubblicana, non solo in Italia….), non solo i fantasmi e simili nei libri di Stephen King, ma anche i vecchi pregiudizi , come quello psichiatrico, duri a morire. Non basta il pre-giudizio popolare verso e contro i “matti”, ma anche quello intellettuale. Oltre a Pier Aldo Rovatti, filosofo, marxista e fenomenologo, che in un libro recente (Restituire la soggettività, ediz.Alphabeta Verlag), scritto comunque da un”Basagliano”, che ora prende la distanza, parzialmente, dal “Maestro”, più decisamente critico nei confronti del “lascito” basagliano è Gianfranco De Simone, psichiatra (sic!) e psicoterapeuta che, in un articolo de “L’Unità” del 17.12.2013 rilegge Basaglia, tramite appunto Rovatti, come “incapace di prassi” (l’espressione, devo chiarirlo, non è dell’autore, è di chi scrive per riassumere quanto è in Rovatti, meglio, nel libro curato da Rovatti, con testi suoi e di altri), come condizionato da Binswanger e Heidegger (credo invece sia piuttosto la fenomenologia di Husserl ad aver agito su Basaglia, più che Heidegger…) oltre che da Marx, che avrebbe letto male (riassumo ancora una volta, ad usum lectorum). Ma quale, allora, l’alternativa proposta da De Simone: la psichatria “nuova”, quella di Massimo Fagioli, “guru” della sinistra radical-chic (poi, pare, passato con i Radicali di Pannella, a causa di screzi con i post-PCI), il vate di Ascoli Piceno che ha dato”vita nuova” a un orientamento che vuole il confronto, la soluzione dei conflitti etc. Lo psicoanalista che ha attratto registi come Marco Bellocchio, nonché folle acclamanti, parte comunque da una valutazione psichiatrica, che distingue, separa, pur se non in modo kraepeliniano-tassonomico. Finché si pongono barriere tra “sani” e “malati” nel campo della mente (concetto oltremodo discutibile e flou, come si è detto spesso, da parte di Giorgio Antonucci e, molto più modestamente, da parte di altri , tra cui chi scrive questa nota), finché ci si muove comunque in un’ottica in qualche modo “giudicante” verso la “patologia”, il passo “avanti” nei confronti di Basaglia è in realtà un netto passo indietro. In Basaglia, se pure contraddittoriamente, c’era la consapevolezza della non scientificità della psichiatria e della non esistenza della “malattia psichiatrica”; qui, con tutti i distinguo nobili e accettabili quali excusationes non petitae (giustificazioni non richieste) il pre-giudizio verso i malati da “aiutare” e in qualche modo da “curare” rimane, permane, per cui, rispetto ai “Matti da slegare”, essi non saranno più legati materialmente, ma imbrigliati in una gabbia (teorica ma non solo) che li fa ripiombare in una condizione di “minus habentes” rispetto agli altri.
Pubblicato il 20 December, 2013
Categoria: Testi
Presentazione documentario “Gli occhi non li vedono” – Maria D’Oronzo
Pubblicato il 9 December, 2013
Categoria: Eventi
“Premio Giorgio Antonucci” di Eugen Galasso
Il dottor Giorgio Antonucci, notoriamente, non ha bisogno di presentazione. In varie pubblicazioni, anche poetiche (la più recente “Diario dal Manicomio”, Milano, Spirali), sospese tra poesia, diario e riflessione, ha negato il concetto di “malattia mentale”. Lo ha fatto, però, sempre, tenendo presente la “prassi clinica”: da giovanissimo medico fiorentino, dapprima, frequentando un personaggio come Roberto Assagioli, il fondatore della psicosintesi, colui che Freud aveva indicato a Jung quale il tramite-diffusore della psicoanalisi in Italia. In seguito, operando a Cividale del Friuli, a Gorizia con Franco Basaglia, all'”Osservanza” di Reggio Emilia con Edelweiss Cotti, a Imola, Antonucci ha veramente aperto i “reparti psichiatrici”, andando molto al di là della proposta basagliana, fondando un pensiero (in sintonia pur se non uguale a quello di Thomas Szasz, antipsichiatra statunitense, di origini ebraico-ungheresi, autore di “La malattia mentale”, tra l’altro) che si basa sulla totale negazione del concetto di “malattia mentale” e sulla considerazione dell’ascientificità della psichiatria, che non rientra(rientrerebbe, per riferirsi alla soggettività del pensiero di Antonucci) in nessun ambito medico, in quanto non esiste alcuna possibilità di rilevare scientificamente i processi della mente, che non è tout court identificabile con il cervello, per non dire del fatto che la mente non è senz’altro uguale alla psiche (di “anima”, in altra accezione, si parla solo nella psicologia del profondo junghiana) e del fatto che anche dire “mente”, “psiche” etc. rischia di non descrivere quanto è intimamente dinamico e soggettivo, sfuggendo dunque all’osservazione altrui. Naturalmente, le tesi antonucciane, sostenute dal CCDU (Comitato dei Cittadini per i diritti umani) sconcertano chi non è capace di mettere in discussione le idee ricevute, i pregiudizi generalmente accettati e introiettati, la convinzione banale per cui “I matti esistono” etc. IL Premio Antonucci è un premio che ogni anno premia chi opera nel settore, dando rilievo a chi opera nel campo, difendendo, appunto, i cittadini in difficoltà, con accuse (il pregiudizio psichiatrico si basa sempre sull’idea di colpa) di diverso tipo, che però, sostanzialmente si rifanno sempre al fatto che i presunti “malati psichici” pensano e agiscono diversamente dalla banale e acquisita normalità. Un pensiero (ma anche un’azione) di tipo decisamente libertario, che incrina le sicurezze dell'”uomo della strada” come quelle (in primis, ma non solo, economiche) dei superpoteri psichiatrici e farmaceutici. Si riporta qui un testo di presentazione relativo al Premio Antonucci di quest’anno: http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2013/11/22/premio-giorgio-antonucci-firenze-30-nov-2013/
Eugen Galasso
Pubblicato il 23 November, 2013
Categoria: Notizie
“Premio Giorgio Antonucci” – Firenze, 30 nov 2013
PREMIO GIORGIO ANTONUCCI
per onorare coloro che si sono distinti con il proprio lavoro e impegno a difesa dei diritti umani nel campo della salute mentale
L’edizione 2013 del “Premio Giorgio Antonucci” si terrà Sabato 30 Novembre a Firenze presso l’ Auditorium del Duomo dalle ore 16.00.
Ritireranno il premio la dottoressa Maria D’Oronzo, la regista Valentina Giovanardi e il pianista Andrea Passigli, per l’impegno nella diffusione del rispetto dei diritti della persona attraverso il loro lavoro.
Il “Premio Giorgio Antonucci” è organizzato dal Comitato Internazionale dei Cittadini per i Diritti Umani, un’organizzazione onluss di volontariato finalizzata ad investigare e denunciare le violazioni psichiatriche dei diritti umani. Ogni anno Giorgio Antonucci seleziona i premiati scegliendo chi, grazie alla propria attività, lotta significativamente per la difesa della dignità umana nel campo della salute mentale.
Giorgio Antonucci, famoso psichiatra, ha lavorato al fianco di Basaglia negli anni ’70 a Gorizia; nel 1973 all’ospedale psichiatrico dell’Osservanza di Imola e in seguito, primario del reparto Autogestito Lolli fino al 1996. Oggi Antonucci prosegue la sua attività culturale e scientifica, continua a diffondere la cultura del rispetto e della libertà delle persone psichiatrizzate anche con eventi come questo.
La prima edizione del 2009 ha visto la premiazione dello scultore Piero Colacicchi docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Partecipò all’organizzazione del laboratorio di scultura e ceramica La Tinaia nell’Ospedale Psichiatrico San Salvi di Firenze nel 1965. La seconda edizione ha premiato il fotografo Massimo Golfieri per aver documentato con immagini suggestive e originali le realtà all’interno delle strutture psichiatriche di Imola dove visse da vicino le varie fasi del percorso di liberazione delle persone internate. Nella scorsa edizione ha ritirato il premio Giovanni Angioli infermiere psichiatrico, poi coordinatore presso il reparto Autogestito Lolli di Imola per 15 anni.
Quest’anno sarà premiata la psicologa Maria D’Oronzo, che dopo aver lavorato nel reparto Autogestito dell’Ospedale psichiatrico Lolli di Imola, si è occupata a Bologna del Telefono Viola. Ha fondato e coordina Il Centro di Relazioni Umane riferito a Edelweiss Cotti, colui che primo in Italia ha negato il significato scientifico della malattia mentale. Il Centro si propone di costruire una cultura di cittadini che non abbiano più bisogno di psichiatri, dà consigli se richiesti, per evitare i ricoveri e liberarsi dagli psicofarmaci. Collabora inoltre con “Giù le mani dai bambini” comitato nazionale per la farmacovigilanza in età pediatrica, nato nel 2004, e con “Perché non accada” campagna socio-culturale nata nel 2006 per modificare “la dilagante ed erronea tendenza a identificare arbitrariamente i comportamenti e le difficoltà umane come malattie o disturbi”
Verrà poi la premiazione della regista Valentina Giovanardi che con i suoi video ha contribuito alla formazione di un pensiero critico contro ogni forma di violenza sulla persona. “Reparto 14“, opera prima del 2005, è un’ intervista a Giorgio Antonucci accompagnata dalla perlustrazione degli edifici ora dismessi del vecchio manicomio di Imola e “Code di Lucertola” del 2008, un documentario-inchiesta sui metodi e gli abusi della psichiatria di oggi.
Infine il “Premio Giorgio Antonucci” sarà assegnato al grande pianista Andrea Passigli, docente di pianoforte al conservatorio di Ferrara, che intervallò la sua attività concertistica in Europa e negli Usa per esibirsi più volte nei reparti delll’ospedale psichiatrico “Osservanza di Imola” nel periodo in cui Edelweiss Cotti era direttore e il Dott. Antonucci era primario.
La serata del 30 Novembre inizierà alle ore 16.00 con il concerto dalle note blues e swing dei Rabarbari trio, seguirà la proiezione del video “Reparto 14” di Valentina Giovanardi e il documentario “Gli occhi non li vedono” di Maria D’Oronzo.
Ci sarà poi la premiazione di Maria D’Oronzo, Valentina Giovanardi e Andrea Passigli.
Dopo le premiazioni seguirà un buffet.
Pubblicato il 22 November, 2013
Categoria: Eventi