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SI FA PRESTO A DIRE FOLLIA Intervista con Giorgio Antonucci



‘l Gazattin – novembre 2014


Lo scopo attuale del Dr. Antonucci è quello di tirar fuori dai manicomi, dagli ospedali e dai reparti psichiatrici la gente che vi è rinchiusa perché rifiutata dalle logiche dominanti. L’argomento di questa intervista è la violenza, che sempre più spesso i media e l’opinione comune fanno risalire alla cosiddetta malattia mentale, anziché sottoporre ciò che la genera all’analisi della ragione.




Qualche decade fa c’era bisogno di spaccare i muri. E’ successo…Ma oggi, per aiutare una persona in difficoltà, cosa si può fare?
Innanzitutto si sono sì eliminati dei luoghi dove c’erano le persone rinchiuse, ma ce ne sono altri anche ora, per cui il lavoro non è finito. Poi il problema non si riduce ad essere rinchiusi. Il problema è che si fraintende il pensiero degli altri, a tutti i livelli e si prendono alcune persone con la forza e si portano in clinica psichiatrica. E’ un problema della cultura. Per esempio: è successo questo fatto in Norvegia (il caso Breivik, autore del massacro di 77 persone nel luglio del 2011, ndr) e tutti i mezzi di comunicazione parlano di follia dell’attenzione. Follia non vuol dir niente, significa soltanto non cercar la spiegazione. Cioè, le spiegazioni possono esser tante.
Questo attentatore, intanto, risulterebbe essere uno di estrema destra che ce l’ha con gli immigrati, e in particolar modo con gli islamici, e ha fatto quest’azione perché ritiene che il governo norvegese li accoglie, mentre lui vorrebbe buttarli fuori. Ma definirlo un folle non vuol dir nulla. Lui ha fatto delle cose per un motivo, e allora in tutta la nostra cultura quando non si vuole o non si sa spiegare una cosa, si usa questa parola priva di significato che è “follia”. Che senso ha, come è accaduto e accade ancora, dire che Hitler era un folle? Hitler era uno che ha organizzato mezza Europa in un certo senso, e purtroppo ha fatto un sacco di guai prima di essere sconfitto. Ma se Hitler è stato un folle allora il grande maestro di musica Furtwangler, che gli andava dietro e Heisenberg che era un grande scienziato, e tutti i tedeschi che gli son andati dietro, gli italiani, Mussolini, son tutti matti? Con il discorso degli psichiatri non solo si emarginano delle persone facendo finta di non capire o non comprendendo chi siano, ma si costruisce una cultura del nulla.
E’ vero. Si è sentito dire, da psichiatri francesi, che Breivik fosse malato… Qual è l’opinione di Giorgio Antonucci a proposito della linea che demarca crimine e follia?
Il fatto è che la psichiatria non fa altro che confondere le idee. Cioè gli uomini, con i progetti che hanno, da Caino in poi, uccidono. Si tratta di vedere, di discutere cosa significhi. Cioè, uno uccide per un motivo, un altro uccide per un altro motivo. Nella Bibbia non è scritto che Caino non aveva la testa a posto. Caino ha ucciso Abele perché riteneva che Abele fosse un privilegiato nei suoi riguardi. Se ne può discutere.
Per capire le nostre azioni, i nostri pensieri, bisogna togliere completamente la psichiatria, che confonde le idee, perché non significa niente, non ha nessun fondamento. E’ una cosa completamente arbitraria, perché io posso dire, se sono uno a cui piace vivere nel mondo pratico, nel mondo sensuale, che l’eremita è matto. L’eremita può dire che io mi disperdo nel mondo e sono un matto. L’aggettivo matto che si dà al pensiero degli altri, diverso dal nostro, è un aggettivo sbagliato. Nel senso che ci sono tanti modi di pensare, tanti modi di agire, che vanno esaminati senza questi pregiudizi. Infatti io sono completamente d’accordo, con Thomas Szasz, che la psichiatria non debba esser riformata: deve sparire, perché è un attentato alla cultura.
S’era parlato di Dante (‘l Gazetin, giugno-luglio 2014), parliamo ora di Szasz. Thomas Szasz è un ungherese nato nel 1020, di famiglia ebraica. I suoi genitori sono venuti via dall’Europa nel ’33, quando Hitler è salito al potere, prima quindi di arrivare a organizzare lo sterminio degli ebrei. Sono andati in America con il figlio. Szasz si è poi laureato in fisica e in medicina e io una volta ho avuto occasione di chiedergli: “Ma perché la laurea in fisica? Che c’entrano le due cose insieme?” Uno può laurearsi in quello che vuole, ma io volevo saper perché…Allora mi ha detto che si è laureato in fisica perché, giunto in America, non trovava un’università americana che accettasse gli ebrei per gli studi di medicina e ne ha trovata una che l’ha accettato in fisica. Così si è laureato in fisica. Poi, a Cicinnati, ha trovato una facoltà di medicina che lo ha accettato anche se era ebreo e ha conseguito la seconda laurea.
Ora, perché dico questo? Perché mi sembra interessante il fatto che sia stato un ebreo, per la prima volta al mondo, ad aver capito che la psichiatria sia una truffa e un crimine. Mi sembra che sia interessante, se si pensa a quello ch’è successo! I campi di concentramento sono stati imitati e organizzati sulla base di com’erano fatti i manicomi, non il contrario. Szasz, dopo aver esaminato attentamente il mito della malattia mentale, della psichiatria, dice che i giudizi psichiatrici sono arbitrari e falsi. Arbitrari perché? Perché se di uno si può dire che è matto o non è matto come si vuole. Per esempio l’omosessualità: da Freud in poi gli omosessuali sono stati considerati malati di mente e questo è continuato anche nel manuale americano, il famoso DSM Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Per tanto s’è scritto che l’omosessualità fosse una malattia, poi un giorno, a una riunione degli psichiatri americani, uno di loro si alza e dice: “Ci sono molti tra di noi che sono omosessuali”. Allora hanno discusso e hanno cancellato l’omosessualità dalle malattie. Ora è chiaro, è intuitivo che l’omosessualità non sia una malattia, però l’hanno cancellata per interesse loro. Ma vi immaginate a un convegno sui tumori che ad alzata di mano decidono se un tumore allo stomaco è una malattia o no? E’ una cosa che fa ridere, e invece lì, nelle riunioni per il DSM, ultimamente, hanno deciso che il narcisismo è una malattia, per alzata di mano, a maggioranza.
Poi usano sempre parole che non si sa che cosa vogliano dire. Non si sa cosa vuol dire, però comunque… se uno mi sembra troppo affezionato a se stesso, gli do il cartellino di “malato mentale”, lo sbatto dentro, gli faccio l’elettroshock. Mi ricordo quando sono arrivato a Imola nel 1973: Edelweiss Cotti era già arrivato qualche mese prima e aveva tolto la macchina dell’elettroshock. Lì, fino ad allora, al reparto osservazione facevano l’elettroshock agli omosessuali. Ecco che cos’è la psichiatria: un giudizio arbitrario. E allora smettiamola e ragioniamo in termini concreti sul pensiero e le azioni degli uomini cercando di capirne il significato. Se uno uccide ne risponde alla legge, che decide perché l’ha fatto, se ci sono le aggravanti o le attenuanti; se uno ruba è lo stesso. La psichiatria non c’entra nulla coi tribunali, deve sparire. Perché fintanto che c’è, confonde le idee e rende tutto più difficile.

A volte si dice: “Questa persona ha commesso questo crimine perché quando era bambino ha subito degli abusi” (prendi l’esempio della pedofilia). E per questo viene giudicato come ammalato mentale. Perciò possiamo distinguere due gruppi: le vittime di crimini e gli autori di crimini, che a loro volta – vien detto – possono aver subito abusi… Si crea un po’ di confusione: la psichiatria tratta “vittime” ma tratta anche soggetti che commettono crimini…


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Pubblicato il 27 January, 2015
Categoria: Testi

“A chi lo fanno il TSO” – Eugen Galasso






In una (bella, ben curata, peraltro) antologia di testi del grande poeta e scrittore romantico Gerard de Nerval (1808-1855) trovo tuttora, nella nota biografica, l’indicazione “les crises de folie se font plus fréquentes” (non c’è bisogno di traduzione, direi) e la nota è replicata in tutte le altre edizioni di opere nervaliane che possiedo (sono recenti, ben curate, della “Gallimard”, casa editrice di grande importanza). Sarebbe il motivo (per gli estensori di introduzioni a opere letterarie e altre) che l’avrebbe spinto al suicidio, come Schumann, ma anche altri, romantici e non. Un vero scandalo, per la nostra sensibilità anti, a-psichiatrica, ma proseguono le barzellette (di livello sottozero, ammesso che l’espressione regga…) sui “matti”, la volontà di controllare i/le pazienti psichiatrici/che, che sarebbero potenziali assassini(e)… Una società che impone il massimo del profitto, il “pareggio in bilancio”, lo Stato Forte, il controllo onnipervasivo, ha paura di tutto ciò che sfugge o può sfuggire al suo controllo: chi pensa e si comporta “diversamente”, come ricorda sempre molto opportunamente Giorgio Antonucci, è sempre a rischio di internamento, di reclusione, dove in Italia, nonostante i “passi avanti” (molto relativi e discutibili, certo) della legge 180, erroneamente denominata “legge Basaglia”, rimane la “spada di Damocle” del TSO, che prevede il ricovero coatto in struttura psichiatrica…  Di recente, una persona non del tutto disinformata mi chiedeva: “Ma a chi lo fanno il TSO?”sottintendendo “a nessuno, praticamente”, il che non è vero. Ma pregiudizi e disinformazione sono duri ad essere sradicati e su ciò “marcia” e continua a proliferare il potere (strapotere) psichiatrico.

Eugen Galasso

Pubblicato il 20 January, 2015
Categoria: Testi

L’ infinito – Giorgio Antonucci



Pubblicato su “Senza confine”, 1992





Dire 1000 anni luce per un matematico è come dire un chilo di pane.
L’ astrazione è la stessa e anche il processo mentale. Ma se invece uno pensa in termini che una volta si sarebbero detti di filosofia naturale, o se uno corre con la fantasia o naviga con l’immaginazione, allora arriva la vertigine, quella che afferrava Pascal e Leopardi, o che preoccupava Cartesio e Spinoza.
Allora girano nella testa ‘le fughe’ di Bach.
Ora dicono che a 1300 anni luce vi sono altri pianeti che ruotano intorno a una stella lontana, che pulsa negli spazi.
E io corro col pensiero e trovo la solitudine, e mi perdo.
Eppure la solitudine più grande è l’odio tra gli uomini, con la nostra ferocia di assassini, con il nostro fanatismo di ottusi, paurosi di ogni novità e chiusi alla luce come sepolcri.
Assistiamo all’esecuzione di un uomo che brucia sulla gratella come una bistecca, o al bombardamento di una metropoli che invoca soccorso dal cielo come Gerusalemme nei giorni di rovina, e torniamo a parlare di affari, di realismo politico, e di ordine costituito, come custode della nostra tranquillità di privilegiati, soddisfatti di vivere sulla morte degli altri.
Tra le persone da me liberate dalle celle psichiatriche a Imola ricordo una donna che, come gli psichiatri volevano, aveva identificato la sua femminilità e i suoi desideri con una forma di alienazione o malattia di mente, e diceva con candore “Io sono schizofrenica perché mi piacciono gli uomini”.
La storia vera è che era stata internata per coprire lo scandalo e salvare l’onorabilità della famiglia dopo essere stata violentata dal padre con la madre silenziosamente complice.
E ormai da anni pensava con la testa degli altri.
Prima del mio arrivo era vissuta in cella per trent’anni di continuo.
Anche ora i ricoveri nei ‘Centri di diagnosi e cura’ nascondono storie come questa, o altre storie di moralismo, che una volta erano nascoste dai roghi delle streghe.
Il fatto è che le società moralistiche non possono sopravvivere senza ipocrisia, e l’ipocrisia ha bisogno di vittime come capri espiatori.
In una visita di un mese fa a ‘Santa Maria della Pietà’ a Roma, insieme al presidente del Centro di ecologia umana della Lega Ambiente, Alessio Coppola, ho veduto nel grande recinto del vecchio manicomio della capitale persone abbandonate o sorvegliate, terrorizzate o legate ai letti, seguite a vista o rinchiuse, dopo più di dieci anni da una legge che pretendeva di dare il via e aprire la strada al superamento dei manicomi.
Dopo siamo andati a trovare in una borgata della periferia un giovane di ventidue anni mutilato a una gamba per essere rimasto immobilizzato in un letto di contenzione che ha preso fuoco.
La sua storia psichiatrica era cominciata a diciassette anni con la tristezza naturale e fisiologica di una delusione d’amore.
Così mi ha raccontato lui stesso e mi hanno confermato i genitori.
Nella malinconia delle metropoli, tra uomini opulenti e disoccupazione, non solo non è ammessa la rivolta, ma è vietata ogni forma di sensibilità, perché tutto funzioni a perfezione.
Intanto i legislatori puntano su nuove forme di controllo e i farmacologi su nuove sostanze per paralizzare il cervello, e il desiderio di libertà è considerato pericolosa utopia.
Scriveva Daniil Charms (morto in un ospedale psichiatrico nel 1942 per mano di Stalin): ‘Komorov e l’artista Michel Angelo si siedono sull’erba, e se ne stanno seduti sull’erba come dei funghi. Si tengono per mano e guardano il cielo. In cielo intanto prende forma un enorme cucchiaio. Cos’è mai? Nessuno lo sa. La gente corre a chiudersi in casa. Chiudono porte e finestre. Ma può forse servire a qualcosa? Macchè! Non serve a niente”.


Vedo una terra
dietro la luna

che risplende
in un sogno di gioia.


Giorgio Antonucci, Firenze, febbraio 1992

Pubblicato il 14 January, 2015
Categoria: Testi

Il pregiudizio spacciato per verità – Eugen Galasso

Chi scrive, essendo anche “critico letterario”, riceve molte pubblicazioni, anche di poesia e varia umanità. In una di queste, “Il Convivio”, Anno XV, luglio-settembre 2014 n.58, p.95, una notizia dalla Sicilia (Motta Camastra) parla della depressione, con un convegno colà svoltosi,  con la citazione testuale seguente, da una relazione della responsabile del centro “Lanterna bianca”, che pare opportuno riportare per esaminarla: “(si deve prendere coscienza di quanto) sia importante prendere coscienza e conoscenza di cosa sia la malattia psichica e delle devastanti conseguenze all’interno della famiglia”. Seguono roboanti descrizioni, riferite al “baratro della totale solitudine interiore” etc. Ma, in questa sequela di pregiudizi spacciate per verità, non si dice che “le devastanti conseguenze all’interno della famiglia” come anche nel singolo derivano solamente dai pre-giudizi invalsi, di origine sempre e unicamente sociale. C’è una falsa “norma” inculcata e tutto ciò che ne sta al di fuori è “anormale”, magari “aberrante”: facile che a tale visione inculcata si adattino le famiglie, microcosmo sociale sempre e comunque tendenzialmente repressivo (“Famiglie, vi odio” diceva non certo sempre a torto Jean-Paul Sartre), se non in casi eccezionali e come tali felici ma anche i singoli “depressi”, costretti ad adattarsi da “congiure” più o meno “soft”.

Eugen Galasso

Pubblicato il 3 January, 2015
Categoria: Testi

“Premio Giorgio Antonucci” in concomitanza spettacolo “Libere donne di Magliano” – Eugen Galasso



Nel giorno in cui Firenze celebrava, inter cetera, il quarto premio Giorgio Antonucci, in un teatro neppure periferico, anzi, quello delle Laudi, proponeva, per la realizzazione della Fondazione Mario Tobino e dell'”Associazione compagnia italiana”, “Le libere donne di Magliano”, dall’omonimo libro biografico e autobiografico (come quasi tutte le opere di Tobino, peraltro) Mario Tobino (1910-1991), psichiatra e direttore di manicomi (sì, così, va bene anche la parola, che egli stesso usava), scrittore e poeta, viareggino, che accettava in pieno, anche in epoca basagliana e di David Cooper e di Roland Laing, di Felix Guattari (con tutte le sue contraddizioni, certo) etc., la psichiatria classica, dai “fondamenti” (si fa per dire, qui Giorgio Antonucci, insieme a Thomas Szasz e pochi altri, ha fornito molto materiale per una seria decostruzione epistemologica) molto contaminati anche in senso organicistico (la psicofisiologia dominante), dove la comorbidità (presenza di altre malattie, meglio di sindromi)gioca un ruolo fondamentale. Mai una parola contro la concezione classica della psichiatria, da parte di uno scrittore-poeta (di indubbio valore, come tale), che non era un teorico né voleva esserlo, ma che, con il ruolo che ricopriva, avrebbe potuto fare molto per “stanare” la psichiatria e i gravissimi danni da essa indotti. Il torto dell’Associazione compagnia italiana? Nessuno, essendo eccelsa la regia di Andrea Buscemi e anche l’interpretazione di Livia Castellana, ma è l’operazione ad essere, a suo modo, “pericolosa” o almeno discutibile: un avallo sostanziale all’ideologia (nel senso marxiano e sociologico – Max Weber, in primis – di “falsa coscienza”) psichiatrica. Poi c’è l’umanità (qualcuno ne dubita, ma non saprei distinguere tra quanto tramandato e tali critiche) di Tobino uomo e medico (purtroppo anche psichiatra…), la sua aspirazione “ad maiora”; all’altezza, in una visione anche “cristiana” delle cose, ma, in qualche modo “il prodotto non cambia”, quello cioè per cui il manicomio, magari con un po’ di umanità in più (le beffe, oltre al danno) è bene che  esista.
Eugen Galasso  

Pubblicato il 21 December, 2014
Categoria: Testi

I GIORNI DELLA LUNA – testo di Giorgio Antonucci

 

Quaderni di “Collettivo R” gennaio-agosto 1984, 34-35





“Se moro, ricopritemi di fiori,
E sottoterra non mi ci mettete:
Mettetemi di là de chelle mura
Dove più volte vista mi ci avete”


da un rispetto toscano raccolto da N. Tommaseo e musicato da Hugo Wolf


In quella sala anatomica di via Alfani, all’Istituto di anatomia normale, mi pareva che gli ostacoli sulla via della conoscenza, fossero teoricamente infiniti, e che fosse in pratica impossibile laurearsi in medicina.
Il corpo di una giovinetta quindicenne, portato il giorno prima, era già oggetto dell’interesse anche licenzioso di un gruppo di studenti. Io me ne stavo da una parte con un cuore in un vaso di formalina a cercare di capirne la struttura contorta, in aperto conflitto con la mia scarsa capacità di concentrarmi almeno in quell’ambiente.
In quel periodo la notte facevo sogni spaventosi con corpi che si contorcevano nelle fiamme o con mani bianche che mi stringevano. Tra gli studenti universitari io (abituato alla vita più familiare del liceo) mi sentivo completamente estraneo e fuggivo via spesso perché mi sentivo addosso l’impressione spiacevole di essere di troppo. Del resto i miei diciassette anni erano d’una tristezza che raramente poi ho ritrovato di nuovo.
Non riuscivo a capire dov’era che gli altri giovani miei colleghi trovavano la loro sicurezza che spesso anche si trasformava in esuberanza.
Mi ritiravo per conto mio e al più presto mi allontanavo facendo lunghe passeggiate per la città da solo e tra sogni a occhi aperti puramente immaginari e impossibili a realizzarsi.
La morte (che vedevo nei corpi della sala anatomica) mi pareva a portata di mano, sul punto di verificarsi, e mi angosciava il vuoto d’esperienza che mi sentivo dentro.
Era la conoscenza intuitiva del distacco dalla vita reale in cui mi avevano educato.
Ero un giovinetto cerebrale con niente corpo, oppure con un corpo che mi pesava come un’appendice superflua.
Un rapporto col corpo soltanto al negativo era dovuto a una molteplicità di esperienze che andavano dal disprezzo culturale del corpo in genere, al disprezzo del proprio corpo visto come qualcosa di irrimediabilmente difettoso. E questo doppio concetto concavo era stato costruito colpo su colpo fin dall’infanzia. Naturalmente non era legato a nessun difetto reale: mia madre mi diceva sempre: – non vedi che sei magro come uno stecco!
A livello astratto la religione m’era sembrata inaccettabile e ridicola fino dai dodici anni quando ero un lettore ammirato del Dizionario filosofico di Voltaire e già da tempo avevo in antipatia l’autoritarismo o ipocrita o brutale dei preti che avevo conosciuto.
L’orgoglio dell’individualità e l’insofferenza alla sottomissione sono una delle mie esperienze interiori più antiche. Però pareva un paradosso questa congiunzione dell’individualismo più spinto con il sentirsi di troppo e in condizione d’inferiorità in ogni momento.
Non riuscivo a capire quali sarebbero stati gli effetti di questa strana mescolanza. A volte così pensavo che sarebbe stato meglio morire subito (visto che poi in realtà non sarebbe cambiato niente) e andavo a passare pomeriggi interi fino a sera davanti ai binari della stazione del Campo di Marte.
Ma era anche questa una fantasia irrealizzabile. Era un altro modo di sognare a occhi aperti, aiutato anche dalla mia passione per i treni che mi s’era sviluppata fin da bambino.
Il professore di anatomia era un ometto opaco che faceva lezioni pignole sugli strati del pelo e che nella sua giovinezza, si diceva, era stato molto fedele al fascismo.
Il custode della sala anatomica era un uomo grasso e grosso che preparava i pezzi di cadavere con l’accetta e si chiamava Dante.
L’istituto di via Alfani era un labirinto di stanze e di chiostri, che a me pareva uno di quei luoghi in cui si entra e poi non si trova più la via d’uscita come succede spesso in sogno.
Una volta lì io mi ero rifugiato in un sotterraneo per sfuggire ai cacciatori di matricole.
L’università degli anni ’50 a Firenze era una istituzione morta con studenti timorosi e conformisti che si preoccupavano di informarsi in anticipo delle domande che i professori avrebbero fatte agli esami legate all’ignoranza e ai pregiudizi che quegli individui nulli di cultura e privi di immaginazione si erano portati in cattedra.
I professori venivano tutti dalla cultura anteguerra basata esclusivamente sulla sottomissione alle autorità e sulla chiusura totale a ogni tipo di emancipazione sociale. Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 15 November, 2014
Categoria: Testi

ADHD: La posizione dei pedagogisti – Eugen Galasso



“Al congresso mondiale dei Pedagogisti clinici” il 25 ottobre scorso a Firenze (Palazzo dei Congressi) dal tema “IL divenire della pedagogia clinica. Nutrire la persona” il prof. Federico Bianchi di Castelbianco ha letteralmente infiammato la platea con la sua relazione, brillantissima, al Congresso Mondiale di pedagogia clinica. In essa, dove l’assunto principale il titolo era “Bes e DSA: troppa sanità, poca pedagogia”, Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta, spiega come in realtà tutte le diagnosi, ora proliferanti quasi in dimensioni elefantiache, di ADHD, siano in realtà dovute a un fraintendimento: i bambini e in seguito i ragazzi, lasciati soli dai genitori – vale per la madre ma anche per il padre, entrambi impegnati nel lavoro – per gran parte della giornata risentano di una carenza affettiva, non certo “rimediabile”con le medicine normalmente prescritte per il famoso (quasi “misterioso”, dovremmo dire) ADHD. Al contrario tali “medicine”, “farmaci” (qui varrebbe l’ètimo della parola, che significa prima di tutto “veleno” in greco) sono notoriamente dannosissime, come nel caso del Metilfenidato (nome commerciale Ritalin, ma poi con varianti, ossia prodotti analoghi…), di cui si conoscono gli esiti anche cancerogeni.  La tesi dello studioso, frutto di anni di studio anche e soprattutto sperimentale, spiega ancora una volta in modo autorevole e documentato come molti medici, pediatri, genitori, insegnanti, si adattino per comodità e quieto vivere (una sorta di “così non rompono le scatole” in riferimento al comportamento quotidiano)alla medicalizzazione di qualcosa, che non è propriamente un “disturbo” ma piuttosto una maniera di comportarsi, che irrita ed è considerata molesta in una società quale quella attuale, improntata alla massimizzazione del profitto e all’orientamento attivistico-produttivistico della vita in ogni settore. Il fatto che la relazione, molto brillante e condita di deciso umorismo, abbia riscosso molto successo, dimostra come almeno in certi ambienti (“pedagogisti clinici”, ma anche altri educatori, persone comunque interessate) certe tesi stiano prendendo finalmente piede.

Eugen Galasso

Pubblicato il 1 November, 2014
Categoria: Testi

Marijuana e malattie mentali – Eugen Galasso

Nella giornata odierna (l’orario: poco prima di mezzogiorno) il pluricelebrato “mezzotasto di regime” (così si esprimeva Sergio Saviane, critico radioTV, a proposito dei detentori del potere mediale) Lorenzo Opice, su Raiuno, parlando dei possibili effetti nocivi (a quanto pare: più nocivi del previsto, con qualche rischio di dipendenza, ventilata, però, periodicamente, dalle istitituzioni scientifico-farmacologiche, anche in accordo, sempre, con la dirigenza USA e del mitico”Occidente”) della marijuana (marihuana, dicono altri), ossia della “canna”(cannabis indica) con il prof. Giuseppe Remetti (altro volto noto, pare, nel panorama  mediatico) dell’Istituto Mario Negri, gli chiedeva delle possibili correlazioni tra “fumo” e “malattia mentale”; ora, in questa sede, il primo termine della cosa ci interessa meno, mentre il secondo sì, chiaramente. Ora, per entrambi, l’esistenza della malattia mentale (mai definita con precisione, come ovvio) è un assunto, un assioma ineliminabile. Lo dicono governi d’ogni sorta, il Vaticano, il Dalai Lama, le “autorità medico-scientifiche” (leggi psichiatri) dunque dev’esser vero, questo il ragionamento assunto come un “a priori” da Opice come da Remetti, che in effetti la correlazione la vedono, naturalmente, tanto che il più prudente Remetti, dopo varie titubanze, si accorge forse d’essersi spinto troppo in là…nel e con il dubbio fa marcia indietro, dandola per “assodata”. Vedasi dunque che, anche nel caso di trasmissioni non specificamente dedicate alla “follia” (“malattia mentale”etc.) essa torni a far capolino, tipo Babausette o fantasma-révenant (il ritornante, il fantasma, appunto, “qui hante”, che ossessiona). Il marchio rosso (o di altro colore, ma in genere si associa a quello della passione, di cui si ha paura) della “Pazzia” torna dunque sempre, come nei racconti e nei romanzi del grande Guy de Maupassant (1850-1893), che da quest’idea era letteralmente “invaso”….
Eugen Galasso

Pubblicato il 4 September, 2014
Categoria: Testi

L’antipsichiatria di Mario Tobino – Eugen Galasso.



“Lo scrittore  e intellettuale Fausto Gianfranceschi, scomparso poco più di due anni fa, nella sua prefazione a “Il figlio del farmacista”, primo romanzo di Mario Tobino (pubblicato la prima volta nel 1938), nell’edizione mondadoriana del 1980 afferma tra l’altro: “Nella sua visione del mondo e nella sua opera letteraria Tobino non è mai stato toccato da questo impoverimento umanistico che ha raggiunto punte assurde e inique.  Non a caso egli è stato uno dei pochi psichiatri – certamente il più coraggioso e battagliero – che si sono opposti alla ventata di follia, abbattutasi, per motivi più ideologici che medici, sul mondo psichiatrico italiano” (Prefazione di F. Gianfranceschi a “Il figlio del farmacista”, Milano, prima edizione Oscar Mondadori, 1983, p.10). Palese l’incongruenza tra la prima parte, che si vorrebbe incentrata sulla rivendicazione di valori umanistici e la seconda, nella quale si rivendica la posizione tobiniana (Tobino era psichiatra e direttore di manicomio, oltre che scrittore) contro l’antipsichiatria.  Per Gianfranceschi, di provenienza neofascista (da sempre oscillante tra il neopaganesimo dichiarato di Julius Evola e il tradizionalismo cattolico, Gianfranceschi), con alle spalle vari fatti penalmente perseguibili (il neofascismo, sia ricordato per accidens, è proibito dalla Costituzione italiana), l’umanesimo è quindi quello delle celle, delle torture, dell’elettroshock, della camicia di forza, della reclusione forzata (TSO) in manicomio….   No comment, dato che il commento è ampiamente implicito in quanto scritto sopra. Eppure, come ricorda sempre il vero fondatore dell’antipsichiatria, il dott.Giorgio Antonucci,  nella sua battaglia per il superamento della psichiatria aveva trovato a suo tempo sostegno nel collega Vita Finzi, anch’egli vicino al MSI (Gianfranceschi, almeno inizialmente era ancora più a destra). Diverse sensibilità, dunque, ma anche diverse maniere (pur nel mondo della destra) di intendere la vita e il mondo, dove viene da osservare che testi come questi, molto usati per la lettura personale ma anche lo studio forniscono una visione distorta di problemi fondamentali, quelli dell’esistenza e della società, quindi politici (ma non partitici, come si vede anche da questo breve excursus). Insopportabile lo stile paludato del Gianfranceschi , cantore dell’ortodossia cattolica reazionaria (in questo totalmente in disaccordo con Evola, come già segnalato), che parla di  punte “assurde e inique” (possono essere assurde e non inique, anche a rigor di logica) nell'”impoverimento umanistico”.
Eugen Galasso

Pubblicato il 6 July, 2014
Categoria: Testi

Ray Bradbury e la duplicità dell’essere umano – di Eugen Galasso

“Siamo tutti misteri di luce e di buio”: così, in una lettera del 10 giugno 1974 di risposta a un lettore a proposito di Walt Disney (vexata quaestio da sempre, negli States, anche per l’impatto sociologico e “psicologico” sulle persone e le dinamiche di gruppo-identificazione con l'”eroe medio” e simili, omologazione etc.), “riscoperta” e tradotta ad hoc in un quotidiano,  il grande scrittore Ray Bradbury (1920-2012), partendo dal “caso Walt Disney” universalizza una riflessione che vale senz’altro, per demolire ulteriormente i dogmi psichiatrici. I comportamenti umani, i “misteriosi atti nostri” (Federigo Tozzi) sono qualcosa di imponderabile, che è irriducibile (pur se Bradbury si guarda bene dal parlare di ciò) a presunte “malattie psichiche”, a “traumi invalidanti”(che esistono in campo fisico, segnatamente in osteopatia, non nell’ambito della psiche) a qualcosa di “raddrizzabile” come le ossa. Dice Bradbury, in un  passaggio, quello che dice/ci dice in tutte le sue opere, ossia che “Siamo tutti misteri di buio e di luce” (concetto che è già, almeno, nei Tragici Greci, in Shakespeare, Baudelaire, Dostoevskij, per non dire di teorici quali Machiavelli, Hobbes,  De Sade). Non interessa qui, in alcun modo, riflettere su quanto Bradbury pensasse della psichiatria, ma è importante considerare che, invece, vale la considerazione fondamentale espressa da Bradbury stesso sulla duplicità dell’essere umano, “Jekyll e Hyde alla stessa maniera”, anche se con modalità alterne/alternate.  Nulla di che, nessuna “schizofrenia” ma un richiamo dostoevskijano (esemplifico, riduco all’essenziale) fondamentale, appunto: “siamo tutti misteri di luce e di buio”, dove l’intervento di  “truppe addette alla salute psichica” chiaramente non ha senso, come non ha senso, credo, l’istituzione di alcuna truppa, mai, se non di un esercito popolare che nasca dai desideri (non da quelli instillati, però) del popolo in situazioni di reale emergenza.
Eugen Galasso

Pubblicato il 27 April, 2014
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo