Ritratti dal Senegal- Massimo Golfieri





http://vimeo.com/24120995


Massimo Golfieri


da Dakar alla Bassa Casamance…
“L’Africa non ha bisogno di sostegno progettuale o di ingerenze umanitarie che prolunghino la sua agonia, permettendole esclusivamente di sopravvivere. Per aiutare l’Africa non è necessario essere animati da un sentimento altruistico che spinge a dare incondizionatamente, ma sempre con il rischio di affermare la nostra pretesa superiorità. Si tratta piuttosto di portare avanti un’azione di sensibilizzazione al Nord che ci permetta di cambiare i nostri modelli di vita, le cui ricadute al Sud sono devastanti. Solo autolimitando le nostre società opulente e riorientando radicalmente i nostri stili di vita in Europa, possiamo sostenere l’Africa. Invece di esportare il nostro immaginario materialistico economicistico e tecnicistico, occorre cominciare a decolonizzarlo, elaborando nuovi parametri di ricchezza e riconoscendo le altre priorità dell’umano. Per questo l’Africa non ha bisogno della nostra sollecitudine interessata ma piuttosto di fiducia, di dignità e di riconoscimento. D’altronde, se si vuole aiutare qualcuno bisogna cominciare con l’avere qualcosa da chiedergli e non solo qualcosa da offrirgli. Solo chiedendo all’Africa di aiutarci a risolvere i nostri problemi dimostriamo di riconoscerla davvero come partner.”
(tratto da un testo di Sergio Pasini)

Pubblicato il 25 May, 2011
Categoria: Notizie, Video

Shabbetày Tzevì, etichettato cosidetto “bipolare” – Eugen Galasso


Shabbetày Tzevì, fondatore del sabbatianesimo, che riprende in modo originale la Qabbalà, che è già un movimento “gnostico” (esoterico ed “altro” rispetto all'”ortodossia” che però propriamente non si dà, nell’ebraismo), Ebreo di Smirne (vi nasce nel 1626, i suoi genitori forse provenivano dalla Grecia), proponeva a sé e ai suoi seguaci digiuni, immersioni rituali nell’acqua anche in inverno inoltrato, dopo qualche incertezza si propone come il nuovo Messia, non senza incontrare vivaci resistenze e anche pesanti boicottaggi da parte di autorità civili(islamiche), come anche da parte della sinagoga. “Eccentrico” nei comportamenti(ma anche qui andrebbe detto che la cultura, occidentale e nonorientale-turcomanna, nella fattispecie di Costantinopoli etc., prescrive norme che vanno rispettate e anche nel presunto “libertarismo” degli anni Duemila un’imposizione di norme e comportamenti si dà, escludendo chi non si “conforma” e non acconsente). Sposato varie volte senza aver “consumato” il matrimonio, in varie occasioni, al suo terzo matrimonio Shabbetày sposa Sarah, ragazza passata attraverso differenti esperienze di vita e di fede (un tempo, segnatamente nel 1600 vita e fede tendevano ad identificarsi o quasi), quasi una sorta di evocazione di Elena, sposa di Simone, uno dei grandi esponenti storici esponenti della gnosi, detto Simone Mago dalla chiesa cattolica per condannarlo, ma anche della storia del profeta Osea, che sposa una prostituta “salvandola”. Questo sarà un matrimonio fecondo (cosa importante, in quella fase e condizione in specie nell’ebraismo della diaspora), ma poi Shabbetày lascerà e “riprenderà” Sarah, staccandosene poi, per un quarto matrimonio, invero solo “teorico”(cfr.sopra). Nel frattempo SHabbetày era divenuto apostata, convertendosi all’Islam, dopo esser stato costretto a tale passo con la violenza. Dopo un ulteriore fidanzamento, non pervenuto a matrimonio per la morte della ragazza, Shabbetày si sposa una quinta volta.

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Pubblicato il 24 May, 2011
Categoria: Testi

Incontro-Dibattito con Giuseppe Bucalo, Verona

 

Pubblicato il 24 May, 2011
Categoria: Eventi, Notizie

“ECT” di Paolo di Giosia e vari – Eugen Galasso

In relazione all’intervento precedente, in cui richiamavo le parole di Giorgio Antonucci sulla necessità di parlare di persone, delle loro sofferenze, di reclusi o “ospiti” di istituzioni totali quali cliniche psichiatriche, manicomi criminali (OPG, anzi, pardon, Ospedali Psichiatrici Giudiziari) etc. Ora, consultando non solo il bel volume di Paolo di Giosia, operatore tecnico nell’ Ospedale di Teramo, fotografo, “poeta” (certamente, in senso ampio), “Solitudini“, ma anche solo il volumetto “ECT”, ossia Electro Convulsive Treatment, troviamo proprio questo: corpi e cuori non tanto “messi a nudo” (andrebbe anche bene, fosse fatto nell’accezione baudelairiana), ma martirizzati, vittima di quel sacrificio che René Girard, con tutte le critiche che possiamo rivolgergli, soprattutto in quest’ultima fase, di “maturità estrema”, vede nel bouc emissaire, cioé nel capro espiatorio: in ogni società , dice Girard, i persecutori identificano gli “individui nocivi”, i “cattivi”, i “reprobi”, fino a farne dei capri espiatori. Il problema, semmai, è nel fatto che Girard vede gli “agnelli sacrificali” quasi esclusivamente nell’ “agnus Dei”, nell’ “agnello di Dio” e nei suoi seguaci, senza considerare , per es., che un grande drammaturgo e poeta cattolico quali Giovanni Testori identifica tale “agnello sacrificale” anche nell’omosessuale, drogato, malato di AIDS (in “In exitu”, per es, testo teatrale ormai non più rappresentato, in quanto non “commerciale”, ma senz’altro leggibile, anche perché Testori scrive benissimo anche per la pagina, non solo per la scena), ma suggestioni simili le troviamo anche in Pier Paolo Pasolini, “ateo” e “materialista storico” (forse sedicente tale). Cioè: per essere agnelli sacrificali non occorre essere nella “sequela Christi”, basta essere scomodi, per i motivi più vari, ai poteri dominanti in una certa epoca. Lo saranno rasta, neo-e post- hippies, harekrishna, come lo erano e sono omosessuali, dissidenti politici (di ogni orientamento), “pazienti” (perché poi, dico ancora con Giorgio Antonucci, continuano ad esserlo?), negri, Ebrei, non-cristiani o cristiani, sinti,  rom, ma anche semplicemente chi “non si rassegna a portar le catene” (“Il fannullone”, antica canzone di Fabrizio De André, testo di Paolo Villaggio). La donna sola dell’ex-manicomio del volume e del volumetto di Paolo, realizzato con tanti collaboratori, tutti giustamente elencati, da Alessandra Lisciani a Vito Bianchini, a tanti altri/tante altre. Da vedere, guardare, leggere, per “compatire” (da “cum-pati”, soffrire ma anche “sentire” insieme con), un sentimento tra i più nobili, che io credo profondamente essere presente, in forme diverse, anche in tante specie animali (ma siamo “animali” anche noi, attenzione!), certo in maniera diversa. Lo si evince da molti studi recenti, in specie made in USA, ma anche da quel “rudere politico” che critico ma ammiro, Petr Kropotkin, che era anche uno straordinario naturalista.

Eugen Galasso

Pubblicato il 22 May, 2011
Categoria: Testi

Testimonianza di Eleftherio Tzirarkas sul lavoro di Giorgio Antonucci al manicomio di S.Lazzaro

“Eleftherio Tzirarkas
Un saluto affettuoso,rispetto ed ammirazione, da una persona che dal lontano 1970 ricorda il tuo lavoro, la tua lotta presso le comunita’ montane (Reggio Emilia-Ramiseto-Castelnuovo Monti ) ove si sono organizzate mobilitazioni e manifestazioni per la chiusura dei manicomi e per il riconoscimento dei diritti civili per le persone affette da disturbi mentali. Personalmente e’ stata un’ esperienza sconvolgente, ed ammiro la tua abnegazione e dedizione in questa causa che ancora oggi ha bisogno di persone come te, perche’ la strada da percorrere e’ ancora lunga.”


La testimonianza scritta nella pagina pubbica del dott Giorgio Antonucci, sulla piattaforma sociale FACEBOOK il giorno 19 maggio 2011, si riferisce ai fatti raccontati nel libro del dottor Giorgio Antonucci: “I pregiudizi e la conoscenza critica alla psichiatria” ed Coop. Apache, 1986, capitolo 8 “Le calate, visite popolari al manicomio di S. Lazzaro”, e-book http://www.spunk.org/library/health/sp001619/.

foto:

Le visite popolari al manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia

http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2008/12/02/le-calate-al-san-lazzaro-di-reggio-emilia/

Pubblicato il 21 May, 2011
Categoria: Notizie, Testimonianze

“Solitudini” di Paolo di Giosia – Eugen Galasso

In questo bel volume “Solitudini” di Paolo di Giosia, troviamo, con i testi importanti del compianto filosofo dell’educazione Antonio Valleriani e di altri, una documentazione ricca su come ci sia emarginazione, anzi meglio, di come l’emarginazione venga creata. Concezione dicotomica del mondo, nata con e da (almeno, personalmente credo anche da prima) Parmenide e Platone, con il mito cui tutti/e (compreso chi scrive, ma oggi con riserve) indugiamo di “Hellàs”, della filosofia greca dove “il pensiero vede finalmente terra” (G.W.F.Hegel), dove c’è la “ragione” e la “sragione”, la verità e la sua negazione e…tertium non datur. Concezione poi confermata da Descartes, Kant, da Hegel, che pure ci pone di fronte alla complessità, da una concezione miope ed escludente del marxismo (di cui Marx ed Engels non furono in alcun modo né colpevoli né correi), dalla grande parte del pensiero dell’Occidente, magari “cristiano” (definizione coniata da Novalis, poeta romantica che ingenuamente rincorreva il Medioevo, poi statuito in ogni fascismo, in quello spagnolo “In nome dell’Occidente cristiano fucilateli”, in quello greco dei colonnelli e di Pattakòs, in quello cileno di Pinochet o salvadoregno di D’Aubisson, in quello in salsa argentina di Viola e Videla, nella superiorità del WASP (White Anglo- Saxon Protestant) à la Ku-Kux-Clan, nel razzismo di Piek Botha in Sudafrica etc.. Ma anche nel razionalismo “democratico”, “tollerante” (aggettivo che già dovrebbe far riflettere, infuriare chi lo legge!) le sacche di “emarginazione” vanno represse, se c’è bisogno, anche “a ferro e fuoco”…  Idem con tanti altri, tante altre manifestazioni orribili, dove il “matto”, l’ “extracomunitario”, il “deviante”, chi parla altre lingue o ha altre culture (in accezione antropologica, cioè usi, costumi, abitudini, modi di pensare) viene ripreso/represso/disperso, “emarginato” e…scegliete voi quale termine sia più adatto, a seconda delle situazioni e dei contesti.  “Follia”,  dunque, miseria, diversità, da vedere in queste foto e da leggere in questi testi, dove, con riferimenti a Ricoeur, a Lévinas, a Maria Zambrano, a Galimberti (filosofo e psicoanalista, sia detto inter cetera), a Cambi etc., si documenta e si riflette sul “Monde comment ça va”,  come diceva Franòois Marie Arouet, id est Voltaire e cioè, per dirla solo con un avverbio: “male”, finché il rispetto non la vincerà sulla pelosa “tolleranza”, la giustizia sociale non avrà la meglio sulla pelosa “carità”etc.

Eugen Galasso

Pubblicato il 20 May, 2011
Categoria: Libri, Testi

– DENTRO FUORI: “Teresa B.” – Roberta Giacometti e intervista a Giorgio Antonucci su Teresa B. –

Dentro Fuori. Testimonianze di ex-infermieri degli ospedali psichiatrici di Imola” di Roberta Giacometti, ed Bacchilega editore, 2009.

“Il dottor Antonucci era stato l’unico medico, che io abbia visto, che entrasse nel suo camerino senza camice, la toccasse, le rivolgesse la parola, stesse seduto accanto a lei sul letto a parlare senza timore. Lei lo aspettava con trepidazione e mi diceva che anche lui aveva delle belle mani.

TERESA B.

La storia di Teresa è incredibile, per questo la scrivo a parte, per farne un quadro più preciso.
Mi raccontano di lei le infermiere Giuseppina Pelliconi, Anna Piancastelli e Ileana Mingotti.
“Teresa era la donna con la museruola. Aveva subito una depressione post-parto, quindo poco dopo i vent’anni arrivò da noi. Aveva una bellissima voce, era un usignolo, quando spuntava il sole cantava le canzoni romagnole. Stava nel primo camerino al pian terreno del reparto 14. Giorno e notte teneva le braccia incrociate bloccate davanti e il corpetto allacciato dietro. Aveva cinque fascie di contenzione e i “zamparelli” di cuoio alle caviglie. Aveva un gran forza e faceva del male anche a sé: si metteva le mani “dentro” e tentava di tirarsi fuori l’utero. Prima che la tenessero legata per l’intero giorno, menava le altre malate: una volta rientrò dal cortile con le mani insanguinate e volle che la mettessi subito a letto legandola ben bene. “Cosa hai fatto?” le chiesi. Andai fuori e vidi una malata con la faccia pesta di sangue: le aveva quasi cavato un occhio. Da quel giorno fu legata.
Quando arrivava sera, e io stringevo le fasce per la notte, lei mi diceva: “tira, tira più forte.”. Io tiravo più che potevo, aiutandomi con i piedi appoggiati al letto. La tenevamo legata stretta perchè non muovesse neppure la testa, perchè mordeva il lenzuolo, la coperta, il materasso. Faceva così tutto il giorno, se la slegavi, il tempo che ti voltavi, un attimo, lei mordeva qualsiasi cosa. Non si sa come facesse, non ce lo siamo mai spiegate. La slegavamo solo per lavarla e stavamo accanto a lei sempre in due o tre, perchè mollava dei bei ceffoni. E poi sputava, bisognava stare attenti. Ma andava alzata, non poteva restare così, stava facendo le piaghe da decubito e allora in sartoria idearono per lei un vestito imbottito che, come un albero di Natale, stava in piedi da solo. Ma lo ruppe lo stesso, dove passava “sbragava”. Allora i medici decisero di far eseguire dal calzolaio dell’ospedale una maschera in cuoio con un telaio di tubolare di ferro, che noi allacciavamo dietro con cinghie di cuoio, affinchè non arrivasse a mordere nulla e non ci sputasse addosso, e le prime volte la portammo fuori così……Ricordo che il dottore non poteva vedere Teresa in quel modo, si guardava sempre le scarpe, erano comunque pochi i medici che guardavano i malati in faccia, specie se erano messi male. E così quando c’era la visita dovevamo metterla a letto, legarla e toglierle la maschera. E pensare che era lui che l’aveva ordinato….Poi misero un’infermiera che si prese cura di lei, gentile e paziente, con lo scpo di portarla fuori. Poco alla volta ci è riuscita”.
Ileana è la giovane infermiera di cui parla Anna. E’ lei che continua la storia di Teresa, con la quale ha passato quasi otto mesi nel tentativo di recuperare in lei un pò di dignità. Quando nel ’71 venne affidata a Ileana, Teresa era rinchiusa in manicomio da tanti anni e abbandonata nel suo camerino perchè, dopo tanti tentativi, tutti erano scoraggiati dal suo comportamento. Era considerata la paziente donna più pericolosa, un’irriducibile, forse l’unica che non si sia mai rassegnata alla sua condizione.
“Prova, mi aveva detto la capa. Io non sapevo nulla di Teresa. Mi fece entrare nel suo camerino e mi chiuse dentro. Il camerino era circa 3 metri per 4, con il letto al centro fissato a terra e un finestrone alto dal quale neppure io vedevo fuori, solo la cima degli alberi. Il pavimento di cemento aveva un avvallamento sotto il letto nel quale si concentravano i bisogni della malata. La puzza era pungente, perchè il cemento aveva assorbito negli anni la pipì. Le quattro pareti della stanza erano pieni di sputi, non c’era un centimentro libero; erano macchie rosate in quanto, in mezzo alla saliva, c’era del sangue, perchè Teresa si mordeva le guance. Teresa era legata al letto, strettissima, e aveva imparato a sputare anche attraverso la maschera. Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 15 May, 2011
Categoria: Libri, Testi, Testimonianze

La demolizione di Villa dei Fiori – Massimo Golfieri

http://vimeo.com/23678411

“Video realizzato con la documentazione fotografica della demolizione dell’ex centro di diagnosi e cura Villa dei Fiori a Imola.
In questa clinica venivano decisi i trattamenti psichiatrici a cui sottoporre gli internati, i ricoveri TSO le le lungodegenze.
I trattamenti e il giudizio psichiatrico arbitrario continuano ad essere applicati nonostante la demolizione o chiusura dei manicomi…

Una riflessione sulla rappresentazione delle nostre macerie interiori”  Involves massimo golfieri


http://vimeo.com/demolizione


Pubblicato il 15 May, 2011
Categoria: Video

Psichiatria e antipsichiatria – Eugen Galasso

Parliamo delle persone, diceva Giorgio Antonucci, in videoconferenza con Tolè, sabato scorso,  non di psichiatria o antipsichiatria. Sacrosanto, quando invece gli psichiatri parlano di “casi”. Di un “borderline”, di uno “schizofrenico”, di un’ “isterica” (sì, persino questa diagnosi, sempre contra mulieres, vale ancora, per taluni “strizzacervelli”), di un paranoico etc. Casi, da risolvere(neanche fossero Sherlock Holmes, questi men and women), per incasellare-inquadrare-classificare. Senza i loro schemini non sanno far nulla. Talora verrebbe da rimpiangere epoche più crudeli (?) nelle quali almeno si usava la violenza senza troppa pre-meditazione. Ora, trovano la signora o ragazza che è scomoda per lasciarle l’eredità, il tipo che è troppo artista per assumersi “la responsabilità” e allora avanti, badabing-beng-bong (è in una canzone, anche bella, francese, non preoccupatevi… ); lo sbattiamo in “RP” (Reparto psichiatrico) con un bel “TSO” per “scioglierlo”/”liberarlo”/sollevarlo dagli impegni-impacci del “quotidiano”… Psichiatria d’assalto, altro che storie… Se volete, trovate parole e frasi più adatte, per “travestire”, metaforizzare etc., ma in realtà il succo della cosa è questo… Un ginepraio, se vogliamo, anche di leggi e cavilli giuridici, dove invece sarebbe molto meglio “en sortir”, con un’abolizione di tutto quanto limita la libertà. Un conto è il delinquente che uccide, che va recluso (esprimo al maschile solo per comodità, non è disprezzo della par condicio), per evitare che ricada nel delitto, ma chi è ingiustamente “accusato” (vale quanto detto prima) di “pazzia” sia libero, oltre e contro i pregiudizi degli sciocchi.

Eugen Galasso

Pubblicato il 14 May, 2011
Categoria: Testi

CONFERENZA NAZIONALE TELEFONO VIOLA


21 MAGGIO 2011
ORE 9.00 – 17.00

“I Vent’anni del Telefono Viola”
Contro gli abusi e le violenze psichiatriche
da Davide Catalano a Francesco Mastrogiovanni

http://telviolaroma.blogspot.com/

Pubblicato il 13 May, 2011
Categoria: Eventi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo