“Vuoti a perdere” – Eugen Galasso
Recupero ora in registrazione, non avendola seguita direttamente, la trasmissione “Vuoti a perdere”, a cura di Sivia Bacci, con la regia di Giovanna Cornaglia e Marco Testa, impostata sulla storia della psichiatria in Italia, inserito in “La storia siamo noi”. Lavoro probo, non c’è nulla da dire, onesto, ma almeno in parte monco. Intervengono Tommasio Losavio, antipsichiatra romano, Massimo Marà, Peppe dell’Acqua (già collaboratori di Basaglia), Giovanna del Giudice, antipsichiatra di area torinese. Lo sforzo di tutti/e è di dimostrare le virtù della legge 180, “l’unica legge civile in Italia assieme a quella sul divorzio e l’aborto”, dicono alcuni esponenti politici. Può anche essere vero, purché si dica che essa, però, ammette il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), comminabile – uso volutamente il verbo che in genere regge il complemento oggetto “pena”, perché la reclusione psichiatrica è una pena- senza troppi problemi.Esistono ancora elettroshock (non solo in poche strutture), psicofarmaci à gogò, letti di contenzione… Il documentario è di per sé cosa nobile, anche ben realizzato (impressionante il documentario in bianco e nero, dove l’elettroshock, presentato come una terapia “sine cura”, viene chiamato à l’italienne elettrourto, manco elettroscossa…), con una sostanziale “celebrazione” della legge, appunto, umanitaria, libertaria, sottacendone appunto gli elementi negativi, quali quello accennato sopra; piace sentire la storia della creazione di assemblee di ricoverati, infermieri, medici, in una chiave di democrazia diretta almeno abbozzata, sentire il dott. Marà che ricorda gli orrori, oltre che dell’elettroshock, del “coma insulinico”, i cui effetti sono ugualmente devastanti, dando la sua testimonianza umana di quando pianse, dopo la somministrazione di tale tortura travestita da terapia. Ma, al di là di un “i remember”, scarso l’approfondimento in chiave di bio-politica (ossia di come la politica influisce direttamente sulla vita), dove stupisce non poco che il dott.Giorgio Antonucci, protagonista vero della lotta non solo contro le aberrazioni della psichiatria, ma contro la psichiatria tout court, che si dirige all’ irreggimentazione degli individui, in queste occasioni (telefilm RAI su Basaglia di due anni fa, “C’era una volta la casa dei matti”etc.) non venga mai consultato. Oppure la cosa, invece, non stupisce affatto, perché chi “canta fuori dal coro” è sempre considerato pericoloso… e forse, in certo senso, lo è davvero, per logiche di potere che si vorrebbero inveterate, che si riproducono sistematicamente, con camouflages di facciata (cambiamenti nelle denominazioni di alcuni partiti etc.) e altro, che si eternano -si spera non letteralmente- senza alcun ritegno.
Eugen Galasso
Pubblicato il 17 October, 2011
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5° Vetrina della stampa anarchica e alternativa – Antipsichiatria – Eugen Galasso
Se non nelle manifestazioni alternative, dove trova spazio l’antipsichiatria? Ecco, allora, che effettivamente alla Vetrina della stampa anarchica e alternativa (Firenze, Teatro -Tenda Saschall, dal 7 al 9 ottobre), c’era la bella mostra del Collettivo antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa, “Nuoce gravemente alla salute”, c’era anche il filmato – efficacissimo nella sua nuda violenza – su Vallo della Lucania, sulle fasi immediatamente precedenti la morte di Mastrogiovanni. Il fatto è che, in una manifestazione che presenta e ha presentato tanti libri, tante riviste, tanti video e concerti-spettacoli teatrali, iniziative lodevolissime come questa sono importanti, ma rischiano di perdersi in un mare magnum di proposte, di altro… Non è una critica, ma una constatazione: forse, almeno in certe occasioni, concentrarsi su un tema (per es la repressione in carcere e nel “post-manicomio”, perché tale rischia di essere il reparto psichiatrico dell’ospedale e della clinica, può essere utile. Certo, l’urgenza di parlare della crisi e di come essa venga fatta pagare sempre ai più poveri è reale, ma, anche il problema delle prigioni e dei “post-manicomi” e dei TSO è, a pieno titolo, “strutturale”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 12 October, 2011
Categoria: Testi
“Svelando e rivelando” di Giorgio Antonucci – Eugen Galasso
“Svelando e rivelando” di Giorgio Antonucci, assieme a tutto il resto (la produzione poetica, saggistica, gli interventi ai convegni etc., ora sempre debitamente repertoriati e quindi facilmente reperibili sul nostro sito) della produzione di questo instancabile protagonista della vita culturale ma soprattuttto sociale (tutto quanto è sociale è di per sé culturale, mentre la cultura-se intesa solo come produzione scientifica e letteraria-artistica non è sempre sociale; se invece intendiamo per “cultura” tutti gli atteggiamenti, i modelli di comportamento-patterns-gli stili di vita, le abitudini, gli schemi di pensiero etc., cioè nell’accezione dell’antropologia culturale, allora sì, è=cultura), purtroppo spesso ignorato o boicottato dalle istituzioni, ci dice anche come la psicologia sia monca, quantomeno. Se dalla psicologia e dal suo studio non si può prescindere, è però vero che se essa si arrocca, divenendo, anzi volendo divenire una clavis universalis per spiegare il mondo, allora diventa una pietra d’inciampo. Un esempio: le diagnosi (con pretesa di validità scientifica incontrovertibilie) fatte a tavolino o in TV. Ma ancora: le opere letterarie o d’arte (teatro, arti visive, cinema etc.), i volumi divulgativi o anche i sommari di psicologia e ambiti affini a senso unico (tutto si legge in chiave freudiana, junghiana, kleiniana, lacanina, di cognitivismo etc.). Cercherò allora di fare un’autoanalisi, non sui sentimenti, le passioni, i gusti (al lettore, alla lettrice non interesserebbero) ma sulle scelte politiche, precisando: A)di non svolgere né aver svolto attività politica in senso proprio, se non situazionalmente e sporadicamente, su temi precisi (per es. la lotta contro la reductio psichiatrica, certo); B)di essere in politica un pragmatico e un utopista. Mi spiego: volendo ottenere “tutto”, ossia le mete più inaccessibili, mi accontento, poi, di poco, purché qualcosa si ottenga, comunque. Non “compromessi”, ma “mediazioni”, se così vogliamo dire. Se considero la mia posizione politica attuale rispetto a quella di dieci o vent’anni fa, rispetto a un quarto di secolo fa, constato che: 1)non funziona nessuno schema psicologico e/o psicoanalitico che voglia valere “assolutamente”, cioè come a sé stante e pretendendo di avere in sé la verità “a prescindere”; 2)credo funzioni piuttosto uno schema, certo ampiamente inteso, “dialettico”, perché partendo da una certa “tesi”, ho frequentato e incorporato l'”antitesi”, arrivando (chissà, forse, magari semplicemente auspico che sia così) a un qualcosa che forse può definirsi “sintesi”. Tesi=sinistra; antitesi=destra, sintesi qualcosa d’altro? NO, sarebbe rozzamente semplicistico, anche perché credo al “transpolitico” baudrillardiano: la partizione accennata risale alla partizione francese post-Rivoluzione, quindi a fine Settecento-inizio Ottocento e da allora di acqua ne è pur passata, sotto i ponti… Ciò non vuol dire negare le differenze, che credo siano ineliminabili, vuol dire ridefinirle in parte. Non per questo sarei convinto dell’assoluta giustezza della dialettica hegeliana o marxiana…
Eugen Galasso
Pubblicato il 11 October, 2011
Categoria: Testi
Ne è passata di acqua, sotto i ponti – “Basaglia: intervista”- Eugen Galasso
Basaglia-intervista: tentativo di commento.
Quando si parla di antipsichatria o di”non psichiatria” (David Cooper) c’è il rischio di finire nella retorica nominalistica, di giocare con le parole, magari volendo invece ragionare con i concetti. Rivedendo (riascolando, soprattutto) l’intervista di Basaglia risalente agli anni Settanta (Basaglia muore nell’80), contiene alcuni elementi fondamentali: A)Giustissimo quanto Basaglia afferma nell’intervista (ma è un ribadire quanto scritto nei libri, nei vari interventi, quanto detto nei convegni), che cioè non è questione di psichiatria, antipsichiatria, non-psichiatria (se Cooper vuol costruire una nuova etichetta è affar suo, dice Basaglia), ma di andare incontro ai bisogni delle persone. Quanto teorizzato da Cooper (non psichiatria come negazione radicale) rispondeva a esigenze ideologiche, anche comprensibili e accettabili (anzi forse sacrosante) ma rischiava di dividere un movimento già difficile da gestire e in cui trovare un minimo comun denominatore. Oggi la situazione è quasi la stessa: B)Dire che la “scienza è politica”, invece, vuol dire riprodurre, con scarse variazioni di senso, quanto diceva Bogdanov, distinguendo tra “scienza proletaria” e “scienza borghese”. Dicotomie che forse non andavano bene neppure negli anni Venti del Novecento, quando si voleva costruire una teoria forte per la rivoluzione bolscevicaa, ma certo inutili oggi. Oggi “Proletariato” e “borghesia” sono termini relativi, ancora validi ma, appunto, relativamente. Tale distinzione vale nel “Terzo Mondo”, decisamente meno nei paesi “avanzati”. Un tempo i ricoverati in manicomio erano soprattutto proletari, oggi i degenti in cliniche psichiatriche o in reparti psichiatrici sono di ogni classe sociale. C)parlare di lotta contro l’istituzione manicomiale andava bene allora, meno oggi dove “i giochi sono più complessi”, non esistendo più, almeno in Italia i “manicomi”, ma essendoci ancora le realtà cui accennavo sopra: oggi TSO, elettroshock, psicofarmaci etc. sono ancora “bien vivants”. Attenzione: non affermo che Basaglia si limitasse agli alberi senza vedere la foresta, ma credo che abbia profondamente ragione Antonucci quando ci ricorda l’arroganza diffusa del potere psichiatrico, che oggi si disperde in tanti gangli, quasi proliferando mostruosamente con psichiatria usa e getta, mentalità radicate nel pregiudizio etc. Tutto è sempre più difficile di quanto non sembri, insomma.
Eugen Galasso
Pubblicato il 6 October, 2011
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“Libertà nella produzione poetica e saggistica di Giorgio Antonucci” – Eugen Galasso
Vorrei partire, ancora una volta, da un testo compreso in “Diario dal manicomio” di Giorgio Antonucci, dove Giorgio commenta un incontro tra Francisco Varela, grande biologo e neuroscienziato nonché epistemologo cileno, scomparso circa 10 anni fa (nel maggio del 2001, per la precisione) e il Dalai Lama, dove entrambi convengono sul fatto che certi atteggiamenti, comportamenti e modi di pensare dei mistici buddhisti in Occidente, da molti, in specie psichiatri, verrebbero considerati schizofrenici; ma, aggiunge Antonucci, né l’uno né l’altro, ne traggono la debita conseguenza, per cui bisogna mettere in discussione ogni tipo di psichiatria. Sviluppando tali concetti e altri ancora del libro ed in genere del pensiero di Antonucci, la dottoressa Maria Rosaria D’Oronzo, presidente del Centro di Relazioni Umane, ha articolato la sua interessantissima relazione al convegno bolzanino sull’opera e il pensiero di Giorgio Antonucci, mostrando come non si possano in alcun modo conculcare i dirtti umani, costringendo a un TSO, all’ “obbligo” di assumere psicofarmaci, al letto di contenzione, all’elettroshock etc. (cito tutto ciò assieme, in una serie un po’ confusa, ma molti psichiatri con queste cose fanno una gran confusione eppure su ciò tengono ferma la loro convinzione, anzi tendono ad imporla o la impongono tout court), ad altro ancora, quasi non ci fosse alcuna capacità di discernimento della persona (o individuo che dir si voglia, pur se si tratta in entrambi i casi di lemmi pesantemente connotati), quasi avessero valore scientifico le loro diagnosi, dove invece la dottoressa D’Oronzo, rifacendosi al pensiero di Antonucci ma anche all’esperienza semantica, cioè diretta, mostra come si oscilli , quasi in un valzer grottesco ma anche drammatico per il “paziente” tra “schizofrenia”, per es., di moda più che altro un tempo e “disturbo bipolare”, con cui oggi invece si largheggia, notoriamente, tanto che termine designante e relativa diagnosi appaiono decisamente inflazionati, ormai. Proprio rifacendosi a ciò, dunque, la dottoressa D’Oronzo ha sviluppato argomenti e controargomenti rispetto a prese di posizione, addotti dai partecipanti, a parziale difesa di posizione da”psichiatria democratica”. Maria Rosaria D’Oronzo, a questo proposito, informata su specifiche realtà altoatesino/sudtirolesi (“Casa Basaglia” alla periferia di Merano, in specifico) ha messo in evidenza manchevolezze locali, invitando giustamente a porre maggiore evidenze sulle stesse, spesso trascurate e/o tout court rimosse. Il convegno-incontro, svoltosi lo scorso 20 settembre a Bolzano, presso la biblioteca provinciale “Claudia Augusta” del capoluogo altoatesino, ha fatto rilevare tre aspetti: A)l’interesse vivo dei/delle partecipanti (decisa la prevalenza femminile) per la tematica, nonostante si trattasse di una matinée, il che ha ridotto per molte persone la possibilità di partecipare; B)l’interesse anche umano, empatico per la problematica; C)la convinzione sostanziale di varie persone, per le quali la psichiatria dovrebbe essere “soft”, “democratica”, “Umana”, ma ha/avrebbe comunque da essere, convinzione fondata in ogni caso sull’illusione che una diagnosi psichiatrica sia possibile e che possa discenderne in qualche modo, una terapia adeguata e non solo velleitaria-arbitraria. Ma, parafrasando Freud, da non freudiano che però ne riconosce i meriti di “pioniere”, il quale però ne parlava in tutt’altro contesto (“L’avvenire di un’illusione” è un saggio freudiano che parla polemicamente della religione), c’è da augurarsi che tale illusione non abbia alcun avvenire…
Eugen Galasso
Pubblicato il 3 October, 2011
Categoria: Notizie