Lettera a Papa Francesco della prof Palmieri (giovani tristi? li mando dallo psichiatra) – Eugen Galasso –
Credo che la lettera della prof.Palmieri al Papa Bergoglio (alias Francesco) vada bene. (vedi:http://www.nsoe.info/salute/psichiatria/lettera-aperta-a-papa-francesco-bergoglio) Grave, anche se forse incidentale, la frase papale, che sembra contraddire il papato precedente, quello lugubre di papa Natzinger, come lo chiamavo e tuttora chiamo io-non è un refuso di stampa- visti anche i suoi “coinvolgimenti” neppure troppo involontari con l’orribile dittatura nazista (non dico e mai dirò nazionalsocialista, visto che gli esponenti della “sinistra nazionalsocialista”, i fratelli Strasser, né antisemiti né pangermanisti sono stati repressi col sangue). “Voce dal sen fuggita”? Forse, ma grave “Li manderei dallo psichiatra”? Ci dovrebbe riflettere, il simpatico (ma vedremo…) papa argentino. D’accordo su tutto: ma forse la prof.Palmieri dovrebbe dire anche che le famiglie rimangono improntate a un autoritarismo sciocco e di comodo (non ci crede più nessuno, a certi valori), che vogliono imporre codici di comportamento repressivi, come scuole e altri”apparati ideologici di stato”. Non fanno eccezione , certo, gli oratori, dove, a parte il rischio di preti pedofili (che non sono pochissimi…), i modelli di autoritarismo si sprecano tuttora. Meglio sarebbero degli oratori fourieristi, ma temo proprio che la”Sancta Ecclesia Mater et Magistra”non sarebbe d’accordo. Benissimo, insomma, con ciò che chiede la prof.Palmieri con qualche piccola correzione… E papa Francesco, molto positivo verso la vita, ci vorrebbe tutti/e allegri/e, cosa che non è possibile. E lo psichiatra non c’entra e non deve entrarci in alcun modo”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 12 September, 2013
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I miei due primi incontri con Thomas S. Szasz, a Syracuse, New York – Piero Colacicchi
L’8 settembre di quest’anno cade il primo anniversario dalla morte di Thomas S. Szasz. In quest’occasione pubblichiamo l’intervento che segue.
(Durante gli anni ’70 il panorama della psichiatria, qui in Italia, era diviso tra tradizionalisti e cosiddetti anti-psichiatri. Tra gli anti-psichiatri erano molto in voga, con le loro pubblicazioni, Laing e Cooper, due medici inglesi che contestavano la psichiatria tradizionale pur accettandone l’impostazione di fondo, repressiva e segregante, e i lavori di Basaglia che criticava le istituzioni manicomiali e proponeva le attività che avrebbero portato alla legge 180. Con posizioni del tutto diverse, di rifiuto totale della psichiatria e quindi dei concetti di malattia mentale e relativa incapacità, lavoravano Edelweis Cotti e Giorgio Antonucci, l’uno come direttore, l’altro come responsabile di tre reparti, nell’Ospedale Psichiatrico Osservanza di Imola. Contemporaneamente venivano pubblicati dalle case editrici Il Saggiatore, Armando e Feltrinelli i libri di Thomas S. Szasz, medico, filosofo e psicoterapeuta ungherese trapiantato giovanissimo negli Stati Uniti, che proponeva una critica radicale alla psichiatria in termini molto simili a quelli di Antonucci e di Cotti. Nel 1980 Cotti e Antonucci, saputo che ad un simposio organizzato a Roma dal CDDU ( Comitato per la Difesa dei Diritti dell’Uomo) avrebbe parlato Szasz, decisero di andare a sentirlo e mi proposero di accompagnarli. Alla fine del convegno, però, riuscimmo a mala pena a traversare la folla che lo circondava e a salutarlo. Nel 1982 Giorgio Antonucci fu invitato a Zurigo ad un’altra tavola rotonda, organizzata, questa volta, dal CDDU svizzero, e a cui era invitato anche Szasz. Noris Antonucci ed io andammo con lui. E in quell’occasione Szasz accettò, dopo aver sentito l’intervento di Antonucci e malgrado ci fosse molta gente che voleva parlargli, di rilasciarmi un’intervista ( naturalmente in inglese ) che io registrai e in cui si dichiarava sostanzialmente d’accordo con quanto Antonucci aveva detto. Poi, avendola sbobinata, ma prima di tradurla in italiano, glie la spedii perché l’ approvasse, ma dovemmo parlarne varie volte al telefono prima che ce la rimandasse, corretta e un po’ modificata. Da quel testo Giorgio Antonucci ed io facemmo la traduzione che fu pubblicata su Collettivo R, rivista di politica e letteratura diretta da Luca Rosi, nel numero X del 1982 con il titolo “Conversazione con Thomas Szasz, a cura di Piero Colacicchi”. Un anno dopo, nel 1983, in preparazione di un mio viaggio di lavoro negli Stati Uniti e sapendo di dover passare per Syracuse, la città in cui Szasz viveva, gli scrissi per chiedergli un appuntamento. Mi rispose semplicemente: ” Quando è qui mi telefoni”.
Quel che segue sono gli appunti, presi proprio in quei giorni e rivisti oggi alla luce dei miei ricordi, ancora molto vivi.)
Syracuse, 25 febbraio 1983
[…]
Ho appena concluso gli incontri all’università e sono stanchissimo. Dovrei telefonare a Thomas Szasz ma non ce la faccio. Sono anche molto nervoso all’idea di incontrarlo perché, dopo le difficoltà che abbiamo avuto a metterci d’accordo sul testo della mia intervista, me lo immagino pignolo e difficile.
D’altra parte son qui con una missione importante a cui sia Giorgio e Noris che io teniamo molto: costruire un rapporto, stabile, tra Giorgio e lui, che permetta di promuovere con più forza le loro comuni posizioni contro la psichiatria. Devo mettercela tutta.
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Pubblicato il 2 September, 2013
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Cenni culturali a la critica alla psichiatria – Giuliano Krenmerz – Eugen Galasso
Giuliano Krenmerz (pseudonimo di Ciro Formisano, 1861-1930) è stato un esoterista e “alchimista” italiano, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Esponente della Napoli esoterica, non è certo qui il caso di esaminarne la dottrina: converrà, piuttosto, esaminarne quel “pezzo di dottrina” che si riferisce ai temi che generalmente trattiamo in questo sito. Ora, con la sua proposta di “terapia magica”, Klenmerz si pone in una dimensione difficilmente situabile oggi (ma dobbiamo “situare” ad ogni costo?), certo si serve di metodi analitici e di una riflessione “enumerativa” (lo dico in termini cartesiani: vuol dire semplicemente, di una sintesi che sappia ri-esaminarsi, rileggere criticamente i propri risultati. Ecco quanto scrive, in “Dialoghi ermetici” (ritrovo un’edizione del 1948, Milano, editore Spartaco Giovene, dove l’indicazione è di una seconda edizione, essendo quella precedente, ovviamente, anche perché nel 1930 Krenmerz muore): “Nessun principio vero e realizzante una terapeutica degli spiriti infermi. La psicoanalisi è l’inizio della presa in considerazione scietifica di elementi dell’anima vivente che la scienza ostinata avversaria di tutto ciò che non è fisico e fisicamente controllabile non ha mai voluto accettare. Anzi direi un secondo passo, perché il primo passo fu fatto da Charcot e da Baraduc alla Sorbona e a Nancy. La vetusta scienza della biochimica della vita, come esponente di verità della creatura umana, è un castello fortificato in cui una scienza dell’uomo-spirito vivente non può entrarvi senza lunga ed ostinata perseveranza. Questo perché prima della scuola sperimentale, dal divino Paracelso a noi, medici e medicastri abusarono di chiacchiere filosofiche campate in aria, e resta il ricordo incosciente di Aristotele e compagni come uno spaventapasseri dei saggi dottissimi delle università. Diremo quasi che questi propositi avanzati dai (sic: era l’ortografia dell’epoca, e.g.) psicoanalisti stanno facendo le loro tappe per assurgere alla categoria delle possibilità accolte dalla scienza ufficiale, come ai tempi del magnetismo animale si passò all’ipnotismo che è sembrato più probante del primo, screditato fin dai tempi del Mesmer e del Du Potet” (op.cit., p.37). Brevemente, senza entrare in merito alle concezioni dell’autore, francamente legate ai suoi tempi: A)Krenmerz risponde (inizio della citaz.) a un discepolo sulla “Psicoanalisi del Freud e seguaci” e la critica, in quanto “non realizzante” (cioè non in grado di realizzare) “una terapeutica degli spiriti infermi”. Attenzione ai termini: non “psiche inferma”, “anima inferma” (lo direbbero i vari preti ed esponenti religiosi, ossessionati dall’idea di peccato), ma “spiriti infermi”, quindi una dimensione minacciata della “spiritualità”, dove chiaramente non bisogna agire sui corpi, con elettroshock, lobotomia, contenzione, TSO (all’epoca non c’era, ma diciamo semplicemente “reclusione manicomiale”) perché tra corpi e spiriti, anche nella concezione esoterica, c’è una differenza molto netta; ma ogni intervento volto al controllo e alla punizione (“sorvegliare e punire”, foucaultianamente) è chiaramente nefasto, anche nell’ottica krenmerziana. Ancora: netta è la condanna di ogni ottica positivistica, in quanto è mera scienza di ciò che è “fisico e fisicamente controllabile” (cfr.sopra). Quella scienza che non capisce né emozioni, né sentimenti, ma che mira alla mera operatività, quindi…al controllo personale e sociale. Ancora: “il divino Parcelso”, dove bisogna ricordare che l’homo universalis Theoprastus Bombastus Paracelsus, alchimista e iatrochimico rinascimentale, vero apolide pur se Svizzero, aveva sviluppato una concezione per cui non si dava il “Pazzo” né la “Strega” e neppure lo “Stregone”. Ancora, dopo aver lodato (testo di poco anteriore, nello stesso testo, alla citazione) i progressi degli “studi psicologici” (ibidem) e quelli della psichiatria, che “fanno delle conquiste che sbalordiscono” (ibidem), afferma che “praticamente non siamo neanche al principio di una scienza dello spirito umano e della relativa terapeutica” (ibidem). Se da un lato, quindi, le critiche alla psichiatria venivano e vengono anche dai settori più “impensabili” della cultura, anche italiana, l’affermazione citata alla fine appare più che mai vera: ecco perché stupisce (no, “per contrappasso” non dovrebbe stupire per nulla) che i sostenitori della “Psichiatria quale vera scienza” ne cantino le lodi sempre e comunque.
Eugen Galasso
Pubblicato il 10 August, 2013
Categoria: Notizie
“Poemito” (piccolo poema) a Giorgio Antonucci – Eugen Galasso
A Georges: Stilettate da sempre/Percorsi non rettilinei/Re^ver un autre vrai re^ve/La norma? Quella di Bellini, forse/Coraggio, non quello dei guerrieri.
(Eugen Galasso, 08.08.2013)
Pubblicato il 8 August, 2013
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La pecora nera (Ascanio Celestini) – “Recupero” psichiatrico – Eugen Galasso
“Dopo vario tempo (la versione filmica è del 2010, quindi di tre anni fa) riesco a vedere, appunto, il film che Ascanio Celestini ha tratto dalla sua pièce “La pecora nera”, ovviamente precedente. Da puro “vivisettore del reale” (l’espressione è di Musil, lo ammetto, non mia) e da “puro artista” che però (ma perché l’avversativo “però”? Sarebbe meglio dire “che coglie” tout court) coglie l’essenza del reale, Celestini ci mostra l’invenzione fantastica e fantasmatica della “follia” che nessuno sa che cosa sia, ma tutti/e abusano del termine, usandolo sempre a sproposito e citandola quando non si sa che cosa dire di ciò che si osserva e non si capisce. Così la creatività del protagonista, Nicola, “sdoppiato” in due figure, diviene “folle”, perché famiglia, scuola, istituzioni varie (non diciamo, poi, del manicomio…), non ci capiscono nulla e allora recludono e ghettizzano. Direi che tutta la teoria foucaultiana è qui racchiusa e condensata in immagini e sequenze efficacissime, dove il bambino e poi l’adulto (ma anche qui si ha una progressione cronologica, logica o di che tipo, intendo, non nella pièce celestiniana, ma nella “realtà”? E’ avvertibile, percepita, imposta, tale “evoluzione”?) è emblematico di una dimensione che vive nel “pensiero divergente”, ossia nella creatività, che la psicologia americana (diremmo meglio statunintese, dato che gli States, nonostante l’infame dottrina Monroe, non sono =l’America, le Americhe!) con Torrance e Guilford ha colto bene già circa sessant’anni fa, ma da cui la psichiatria non è mai partita per cercare di capirla e di coglierla come tale, volendola invece, appunto “sorveglaire e punire”. Ovviamente, quanto detto per gli USA, vale a fortiori per gli altri paesi, europei e non, che della psichiatria hanno fatto un totem (con il corrispettivo del tabù, Freud docet…). Ecco allora che la persona incompresa in famiglia, vilipesa e punita (o “tollerata”) nella società , diventa emblematica di una condizione che non “ci mette nulla” a reprimere, lo fa cioè con totale nonchalance, salvo poi a “recuperare” solo in certi casi e in genere post mortem (se l’artista è riconosciuto universalmente), magari “suicidandolo”prima, come con Van Gogh, “suicidato dalla società”, come Van Gogh, nell’opera geniale di Antonin Artaud, che (come volevasi dimostrare) a sua volta diviene vittima, con l’eletttroshock e tutto il resto, salvo tardivo e comunque parziale ripensamento “dopo”.
Eugen Galasso
Pubblicato il 11 July, 2013
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Lucio Battisti “No dottore” – Eugen Galasso
Lucio Battisti, cantautore laziale accusato delle più atroci turpitudini (di essere “fascista”, in particolare) per malintesi continui, ma soprattutto per non essersi occupato troppo di politica, sia nella fase di collaborazione con Mogol (Giulio Rapetti) sia in quella successiva (dal 1980 in poi) con Pasquale Panella, dedicandosi invece a sentimenti, sensazioni, emozioni, ha però, anche nella fase Mogol, in particolare nell’album “La batteria, il contrabbasso etc.”(1976) scritto una canzone, “No dottore”, in cui il protagonista, forse (forse, però, il tutto è lasciato in una condizione di indeterminatezza, di “vaghezza”, voluta), in un contesto musicale da “progressive rock” con venature tra il funky e l’avvicinamento alla “disco music” più intelligente, accusato di omicidio della sua “lei” (“Quel che dice non mi piace” (rivolto allo psichiatra, a quanto pare)/l’ho lasciata che dormiva/respirava/era viva come me”), in una situazione kafkiana, che ricorda anche “L’orange” di Vidalin-Bécaud (testo e chanson precedenti di un decennio circa). Il protagonista è solo, con uno psichiatra, cui rivolge il “No Dottore”, viene evidentemente rinchiuso (“Son rinchiuso/Ma è un abuso”), dove la situazione richiamata, indeterminatezza o meno, è proprio quella del TSO e della reclusione psichiatrica. Tutto è già preparato dalle frasi brevi, paratattiche (del resto è una canzone), “No dottore, per favore/Non è urgente/non è niente/Per un attimo la mente mi si è accesa/e qualcosa si bruciò/Il mio nome?/Il cognome?/L’indirizzo?/Dica il prezzo/Stia tranquillo non son pazzo”. Non vorrei qui analizzare troppo in dettaglio tutto il testo, che è è facilmente reperibile, ma basterà dire qui che Rapetti-Mogol e Lucio Battisti a 4 anni dall’approvazione di una legge (La”Basaglia”, come viene impropriamente definita) affrontano un tema scottante allora, come lo è comunque ancora oggi, quando “fatta la legge, trovato l’inganno”, come recita un atroce detto italico (italiota, volendo)per cui, in buona sostanza, il potere della repressione psichiatrica, anche per ovvi motivi economici, ha potuto riaffermarsi, anche riproponendo le proprie terribili modalità (contenzione, elettroshock, sulla cui bontà giurava anche il “compianto” Giovanni Jervis, per vario tempo considerato quasi un “antipsichiatra” o comune un “alternativo”, espressione che rischia di non voler dire né designare alcunché. ”
Eugen Galasso (ringraziando Gerardo Musca che della canzone mi ha segnalato l’esistenza).
Pubblicato il 3 July, 2013
Categoria: Testi
Paula Cooper è tornata in libertà. Salvata dalla pena di morte con un appello di Giorgio Antonucci e Piero Colacicchi
Dopo ventisette anni di carcere Paula Cooper (http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2011/05/25/paola-cooper-16-anni-aspettava-l%E2%80%99esecuzione-della-condanna-a-morte-piero-colacicchi/) ha ottenuto in questi giorni la liberazione anticipata per buona condotta. Paula, che in carcere si è laureata ed ha seguito corsi di specializzazione in vari mestieri, ha oggi 42 anni ed è quindi ancora sufficientemente giovane per potersi ricostruire una vita in libertà.
Questo, però, se la città di Gary nell’Indiana dove vive, glie lo permetterà.
Infatti un articolo con la notizia della sua vicina liberazione, uscito in anticipo su uno dei principali giornali di quella città con la sua storia e il suo reato, è stato subito commentato da 165 persone, due soltanto delle quali hanno approvato la decisione del tribunale. Tutti gli altri hanno affermato con toni estremamente violenti che Paula “pericolosa assassina”, “mostro di crudeltà e di ipocrisia”, “puttana che ha ottenuto la libertà facendo sesso con tutti” ecc., avrebbe dovuto esser ammazzata ( il termine più usato è fried, cioè fritta) o che almeno avrebbe dovuto rimanere in carcere per il resto della vita.
Pubblicato il 22 June, 2013
Categoria: Notizie
ADHD e Merano – Eugen Galasso
La psichiatria, anche quando la cosa non “appare”, sembra essere aggettante, incombente nella vita e sulla vita di tutti/e le persone. Ciò, secondo attendibili informazioni provenienti dalle “fonti educative” che meglio conoscono i bambini e le bambine, sarebbe prassi corrente quanto indiscussa a Merano, “ridente cittadina termale” (già Kafka vi andava per curare i suoi disturbi polmonari, invero con esito non eccelso), cioè dell’Ovest altoatesino, cioè i genitori, avverrebbe nelle scuole primarie soprattutto di 1°grado del luogo, dove i bambini considerati affetti da ADHD (deficit di attenzione e iperattività, in molti casi definita dalla psichiatria come “sindrome” ossia come “complesso di disturbi”, quale “comorbilità”, nel “migliore dei casi” quale “disturbo semplice”, pur se in genere prevale la diagnosi di “sindrome da ADHD”) fanno una sorta di doposcuola in psichiatria, venendo sottoposti (pare)a test ma anche a somministrazione di Ritalin. Una considerazione, da persona che un tempo, per decenni, ha avuto consuetudine non solo dell’Alto-Adige, essendo bolzanino di nascita, ma di Merano e del Burgraviato (la valle che collega Terlano a Merano), operandovi ma anche trascorrendovi qualche raro soggiorno di “riposo”: la popolazione meranese e circonvicina, di lingua italiana e/o tedesca o anche mistilingue, con le indubbie differenze del caso, è legata a norme non scritte molto rigide: disciplina, obbedienza verso i superiori (insegnanti, medici, preti, dove questi ultimi estendono la loro influenza molto al di là del lecito, con interferenze inaccettabili) sono valori interiorizzati e “assorbiti” in modo incondizionato, per molte persone, per cui i bambini vengono affidati agli psichiatri, quasi fossero dei benefattori e dei filantropi…
Pubblicato il 6 June, 2013
Categoria: Notizie
Cervello, psiche, anima – Eugen Galasso
Si riapre un discorso sull’ “anima”, termine controverso, anche perché troppo connotata in senso religioso e metafisico. Nella cultura ebraica (Antico Testamento), per es., di “anima”, propriamente detta non si parla (in ebraico è “néphèsh, “soffio vitale”, che non ha la connotazione dell’ “anima” proriamente intesa), mentre è poi un termine greco (psychè, da cui anche, con notevoli slittamenti semantici, deriva “psiche”…) a”fare la differenza”…Ma se per “anima” intendiamo l’Ego, la coscienza (eventualmente supportata quanto fecondamente “minacciata” da quel coacervo di impulsi, istinti, sensazioni ed emozioni che la psicoanalisi chiama “inconscio”, interpretandolo variamente), allora sappiamo che quanto intendiamo per “cervello” non può fare tutto, ossia non può determinare tutta la vita psichica… Nel XVIII° secolo, un chirurgo e pensatore radicalmente materialista e meccanicista, Cabanis, affermava: “L’anima, io non l’ho trovata sotto il mio scalpello”,
Pubblicato il 6 June, 2013
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Residenze Sanitarie psichiatriche: riflessioni. Contenzione e valutazione del distress lavorativo- Vito Totire
Il luttuoso episodio verificatosi a Casalecchio il 27 agosto 2012 che ha determinato la morte di un giovane di vent’anni impone alcune riflessioni.
Da decenni portiamo avanti un approccio “non psichiatrico” a questioni che le istituzioni ritengono di poter affrontare con metodi violenti e custodialistici.
L’episodio di cui stiamo parlando può diventare un evento-sentinella che contribuisce a trovare la forza per nuotare controcorrente con rinnovato vigore,cercando di evitare errori che sono frequenti e, a volte, automatici, quali la classificazione dell’episodio come “errore umano”, si intende, errore umano degli operatori presenti al momento dell’episodio;
occorre spostare i riflettori dall’ottica della “colpa individuale” alla analisi delle costrittività organizzative e della inadeguatezza del sistema;
occorre cioè evitare la logica del “capro espiatorio” e cercare eventuali incongruenze e costrittività organizzative ; in linea di massima questo significa valutare se un comportamento che può senza dubbio essere considerato sbagliato o inaccettabile non sia causato o concausato da un carico eccessivo di fatica fisica o mentale o comunque essere correlato ad una sinergia negativa tra basso livello di autonomia e gravosità del compito;
si tratta, a mio avviso, di proporre ed adottare una chiave di lettura quale quella proposta da Karasek per la valutazione del distress lavorativo;