Author Archive

Pregiudizi della cultura: Luigi Einaudi – Eugen Galasso


Di Luigi Einaudi, da “rosso sfegatato” (così mi definivano, ma in realtà non lo sono o non credo di esserlo) ho sempre avuto una pessima opinione: apologeta del capitalismo, vegliardo laudator temporis acti, roboante scrittore ed economista, ma anche uomo politico (non a caso giunto ad essere Presidente della Repubblica…), anticipatore dell’iper-liberismo o neo-liberismo; persino il non certo sovversivo Benedetto Croce era entrato in polemica con lo stesso, distinguendo tra liberalismo (concezione politica, religione della libertà etc.) e liberismo (spazio al privatismo economico, all’iniziativa privata quasi senza freno). Ma non farò qui un’analisi economica, anche perché non ne sarei capace. Vorrei segnalare, invece, la nota n.6, dello stesso Einaudi, a “Lezioni di politica sociale” (ora in edizione libri del Corriere della sera, Milano, 2011, p.255): “La legislazione lascia fuori dal proprio campo quello che gli inglesi chiamano il submerged tenth, il decimo sommerso degli incapaci (sic!-nota di Eugen Galasso, chiaro) , dei costituzionalmente deboli (ri-sic!), dei deficienti (…!), dei criminali, dei vagabondi, degli oziosi(…).  A parte l’accostamento di “vagabondi” e “oziosi” ai “criminali”, c’è da notare che “vagabondi” non si sa che cosa voglia dire, anzi meglio non capirlo, “oziosi” è il classico incasellamento che dai “liberali autoritari” è sempre stato fatto…”Uomo d’ordine”, ovviamente, il “grande Einaudi”, come oggi lo è “l’uomo del loden” Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 26 February, 2012
Categoria: Testi

INTERVIEW GIORGIO ANTONUCCI – SAVERIO TOMMASI


Saverio Tommasi interviews Giorgio Antonucci about psychiatry, translated and subtidled by:
www.ilcappellaiomatto.org


Pubblicato il 25 February, 2012
Categoria: Testi, Video

La chirurgia (e talora la medicina) versus una concezione “soft” – Eugen Galasso


La chirurgia , se non da Ippocrate in poi, almeno da Giovanni Battista Morgagni in poi,  è basata sulla necessità di salvare la persona magari togliendone – sacrificandone una parte, magari piccolissima (penso alla tonsillectomia e all’asportazione di polipi adenoidei, ma non solo).  Se la medicina antica (e medievale, ma fino al Seicento, appunto) sostanzialmente espungeva dal suo codice la chirurgia,  bollando i chirurghi come “cerusici”, cioè grosso modo al livello di barbieri e ambulanti, id est meri artigiani, privi di un iter studiorum (e difatti erano pesanti le condizioni d’ammissione di un cerusico alla facoltà di medicina), oggi la chirurgia è talora persino più considerata della medicina, per merito dei progressi della scienza e più ancora della tecnica. Se un tempo il “taglio della pietra”, cioè l’asportazione di calcoli (soprattutto vescicolari, all’epoca)era demonizzato come affare di/da mestieranti, ora essere un chirurgo è titolo di vanto, con tanto di onore per “trapiantisti” ma non solo. Ma…ogni rosa ha le sue spine: il chirurgo, quando opera e il paziente è in “anestesia totale”, dispone di un notevole margine d’arbitrio. Così, in uno dei migliori policlinici italiani, il primario-chirurgo ha di recente introdotto dei clips al titanio nel petto di una paziente operata di tumore al seno. La paziente, che non è medico ma ha qualche conoscenza di anatomia e medicina (è psicologa) aveva pre-avvertito il chirurgo di non volere simile trattamento (si tratta, come sarà noto a varie lettrici, di un procedimento relativamente nuovo quanto da tempo discusso), ma il “fatto” si è consumato lo stesso. Ora, non è il caso, in questa sede di proporre un’ennesima “lamentatio”, che non avrebbe senso, ma al contrario di opporre due metodologie e due filosofie: quella del chirurgo che opera (nel doppio senso del lemma) Leggi l’articolo completo »

Pubblicato il 24 February, 2012
Categoria: Testi

Honduras: cose da terzo mondo. – Eugen Galasso


A Comayagua, Honduras centrale, un incendio in carcere ha provocato certamente più di 350 vittime, oltre a feriti, contusi etc. Sarebbe sciacallaggio mediatico voler attribuire semplicisticamente tutta la responsabilità di ciò al governo honduregno (attualmente presidente è Porfirio Lobo), ma è certo che dopo il golpe del giugno 2009, che ha cacciato il presidente legittimamente eletto, la situazione sia drammaticamente peggiorata, nel terzultimo stato per condizione economica in latinoamerica, che è anche uno dei paesi più violenti del mondo. Porfirio Lobo, tra l’altro, tornato al potere dopo il golpe e un interregno feroce gestito da Roberto Micheletti (l’italo-honduregno “dal pugno di ferro”, comunque espressione dell’esercito dell’Honduras tout court), quale leader del blocco conservatore era stato sconfitto proprio da Zelaya alle elezioni del gennaio 2006. E’ indubbio, in ogni caso, che la situazione pessima, sul piano economico e sociale, sia peggiorata parallelamente  anche a livello di diritti umani, facendo precipitare ogni “habeas corpus”. Da sempre l’Honduras è paese in cui latifondisti, multinazionali, organizzazioni criminali hanno molto da dire, in un intreccio di potere molto forte e nel quale l’intreccio tra i poteri penalizza i più deboli, quali carcerati, “malati psichiatrici”, malati, persone svantaggiate sul piano economico.  A parte il fatto che vari carcerati lo sono per “reati politici”, è da rimarcare il comportamento violento dei poliziotti honduregni, che hanno usato subito i lacrimogeni contro i familiari delle vittime dell’incendio. Temi su cui riflettere maggiormente per tutti noi, credo. Con il colpevole disinteresse di chi scioccamente dice “cose da terzo mondo”, quasi la mondializzazione/globalizzazione non fosse in atto già da decenni.

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 February, 2012
Categoria: Notizie

Articolo su Giorgio Antonucci in intervista a”La Nazione” sul significato della depressione – Eugen Galasso



Giorgio Antonucci, che da decenni nella pratica e nella teoria (libri, conferenze, saggi etc.) si batte contro il pregiudizio psichiatrico, ribadisce giustamente tali posizioni in un’ intervista/conversazione a “La Nazione” del 7 febbraio 2012, con Ilaria Ulivelli,  dove smonta l’illusione-mito fabbricato ad arte (dei produttori di psico-farmaci, soprattutto) della depressione, ricordandoci, invece, che esistono  problemi di  felicità o tristezza, voglia di vivere più o meno intensa, in quella che (credo Giorgio sarebbe d’accordo, nell’uso di quest’espressione come nel concetto che sottende) è una società “tanatofera”, che cioè “porta la morte”, che scoraggia la felicità. Se pensiamo all’imprenditore come all’operaio che si uccidono (non è interclassismo, è scelta diversa, ma motivata da problemi economici oltre che esistenziali), a chi non ha più voglia di vivere, magari senza volerne trarre fino in fondo le conseguenze, credo sia chiarissimo quanto Antonucci vuol dire. Così anche: il no al TSO (internamento, in realtà, in strutture psichiatriche, che solo nominalmente sostituiscono manicomi), alle terapie psichiatriche incluse i famosi psicofarmaci nuovi, di cui molti (psichiatri e fabbricanti-commercianti di queste “droghe legalizzate”) decantano “magnifiche sorti e progressive” (così ironicamente o meglio con amara ironia Giacomo Leopardi, non a caso, contro, tra l’altro il parente acquisito Terenzio Mamiani…). Il problema sarà quindi ancora una volta il dialogo e l’ascolto per problemi che sono esistenziali, filosofici, appunto, non medici. Se Antonucci non viene accettato dalla medicina ufficiale (una lode a un giornale altrimenti “conservatore” come il QN -“La Nazione” per avere ospitato comunque questo articolo-conversazione) è perché smonta il potere e gli interessi della psichiatria e di quanto è peritestuale e periferico ma afferente alla stessa.

Eugen Galasso

Pubblicato il 15 February, 2012
Categoria: Testi

Policlinico S.Orsola: trattamenti non pattuiti – Eugen Galasso


Contro la volontà del chirurgo, in molti casi, non c’è nulla da fare, nel senso di trattamenti aggiuntivi, non pattuiti. Il paziente, in particolare quando è sotto anestesia totale (ma in certi casi anche parziale) non ha alcuno spazio di libertà da esprimere. Così i “diritti del malato” (c’è persino il tribunale relativo) va a farsi benedire. Un esempio (ma sarebbero legioni): a Bologna, presso l’ Ospedale S.Orsola-Malpighi, quindi un centro policlinico di eccellenza, qualche giorno addietro la responsabile del “Centro di relazioni umane”, psicologa, durante un intervento per la rimozione di un tumore al seno, è stata sottoposta, appunto in anestesia totale, all’impianto (non voluto, da sottolineare), di clips al titanio e ha appreso la novità solo al suo risveglio. Facendo anzi rinnovando gli auguri di pronta guarigione e di ottima convalescenza alla persona è però da ribadire come il chirurgo agisca sempre per un “motu proprio”, certo in conformità a quanto ritiene opportuno, sul piano terapeutico, ma tenendo in “non cale” la volontà del paziente. Non essendo medico, sarebbe scorretto se entrassi in dettagli che mi sfuggono, ma credo sia chiaro il concetto generale.

Eugen Galasso

Pubblicato il 14 February, 2012
Categoria: Eventi, Testi

Abusi e tso: le vicende di Davide Omet – Eugen Galasso


In realtà, le vicende di Davide Omet di San Daniele del Friuli, sottoposto a continui arresti/sequestri/TSO e quella di Katia, “oligofrenica” sottratta alla madre , che ora può andarla a trovare solo un’ora in settimana al ricovero, nella loro differenza di fondo, presentano sorprendenti analogie. I meccanismi di reclusione, di repressione, di privazione della libertà , contro l’enfasi retorica conclamata dei Grandi Valori, dell’Umanesimo Cristiano (che implicherebbe mitezza e  tolleranza, ma poteri politici e religiosi hanno dimostrato di praticare ciò “a modo loro”, cioè a dire bruciando sul rogo, sterminando, con quella logica del nazismo, che ha avuto la terribile, orribile, vomitevole onestà di esplicitarla,  che si chiama “ausmerzen”, “sradicare”) funzionano sempre contro la persona, dato che si fa paura, fondamentalmente, del fatto che la persona pensi, agisca, in un’ottica non di e da mero gregge. E non è, si badi, solo questione sociale e politica ma anche di rapporti tra persone (qualcuno dirà, giustamente, che anche queste questioni sono “politiche” e “sociali”), dove, per esempio la “direttrice del centro di Torino” si barrica dietro la propria “neutra freddezza” per non esprimere le proprie paure, le proprie ritrosie. Chi non raggiunge determinati standard lavorativi, “psico-fisici”, sociali, viene espulso, in un modo o nell’altro, come anche chi “non si rassegna a portar le catene” (“Il fannullone” di De André-Villaggio). Aggiungere altro rischia di farci ripiombare in una sorta di “controenfasi”, anche perché le testimonianze e i documenti, nella loro drammatica evidenza, parlano da soli.

Eugen Galasso

Pubblicato il 10 February, 2012
Categoria: Testi

L’antipsichiatria: “Malattia mentale? Non esiste” – Articolo/Intervista di Ilaria Ulivelli a Giorgio Antonucci


La Nazione, martedì 7 febbraio 2012


“Depressione è un termine sbagliato: le persone possono essere più o meno tristi, possono avere più o meno voglia di vivere. Ma non per questo devono essere ‘bollate’ come depresse”. Giorgio Antonucci, medico e psicoterapeuta, un faro dell’antipsichiatria (“La psichiatria è fatta apposta per togliere la libertà agli altri”, è il suo pensiero), ribalta gli assiomi. Un rivoluzionario, per sempre. Fin dal 1963, quando inizia la sua formazione come psicoanalista con Roberto Assagioli (fondatore della psicosintesi) e comincia a dedicarsi alla psichiatria cercando di risolvere i problemi dei pazienti evitando i ricoveri e qualunque metodo coercitivo. Niente etichette, niente manicomi, niente forzature perchè <la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che a volte possono essere insolubili>. Ma allora come si possono curare le persone che soffrono? “Se ci sono problemi da discutere, si discutono: la persona non deve essere curata con la clinica ma deve essere ascoltata per quello che è. Le malattie sono un’altra cosa. Anche Freud ha detto che i problemi psicologici non sono problemi clinici. Partendo da qui, ogni caso si affronta a sè”.
Antonucci lavora sul pensiero: “E il pensiero non può mai essere sano o malato, può essere solo giusto o sbagliato: gli organi sono malati o sani”. Il suo lavoro, sul piano teorico, è la negazione del pensiero psichiatrico. Si avvicina alla corrente esistenziale-umanistica di Carl Rogers e alle correnti di critica alla psichiatria (di Goffman, Laing, Cooper e Szasz) e alla critica all’istituzione manicomiale di Franco Basaglia con cui collabora nel 1969 a Gorizia. “Quando lavoravo con Basaglia, che contrastava le istituzioni psichiatriche, gli dicevo che per criticare le istituzioni bisognava mettere in discussione anche il pensiero che le ha create”. Quindi la psichiatria.
“Gli uomini possono essere felici o infelici, pensare che la vita valga o non valga la pena di essere vissuta – spiega Antonucci – e sono liberi di cambiare opinione: i problemi devono essere affrontati sul piano del pensiero critico, devono essere discussi, perchè sono problemi filosofici e non hanno nulla a che vedere con la medicina e con la malattia mentale. Per questo motivo non si può classificare la depressione e non si può dire quanti depressi ci sono, perchè il termine non ha nessun significato”.
Riassumendo, Antonucci è il fondatore dell’approccio non-psichiatrico alla sofferenza psichica che si basa sui seguenti assunti:

1) Il trattamento sanitario obbligatorio non può essere un approccio scientifico e medico alla sofferenza in quanto basato sulla forza contro la volontà del paziente.
2) L’etica del dialogo viene sostituita all’etica della coercizione. Il dialogo non può avvenire se non fra individui che si riconoscono come persone in un confronto alla pari.
3) La diagnosi viene negata in quanto pregiudizio psichiatrico che nega di intraprendere il vero lavoro psicologico alla sofferenza degli uomini per le contraddizioni della natura e della coscienza e per le contraddizioni della società e per i conflitti della convivenza.
4) Gli psicofarmaci o droghe psichiatriche servono per sedare, drogare la persona e per migliorare le condizioni di vita di chi si deve occupare dello psichiatrizzato. Vengono negati tutti gli altri strumenti che danneggiano la persona dalla lobotomia, alla castrazione (proposta da alcuni in Italia in rapporto ai reati sessuali) e tutti i tipi di choc.
5) Per criticare le istituzioni bisogna mettere in discussione anche il pensiero che le ha create.

Pubblicato il 8 February, 2012
Categoria: Notizie, Testi

“FOUCAULT” E L’ANTIPSICHATRIA – Eugen Galasso



Sapevamo che Michel Foucault , con l'”Histoire de la folie è l’age classique” (storia della follia nell’epoca classica, in italiano) aveva fatto da antecessore, da “apripista” esterno (antropologo, storico, filosofo, comunque si voglia considerare il più grande pensatore del Novecento, almeno per molte persone). Se consideriamo che la prima edizione dell’opera nell’originale francese è del 1961, bisognerà pur riflettere sul fatto che Ronald Laing, solo di un anno più giovane di Foucault (1926, data di nascita di Foucault, mentre Laing è del ’27) scrisse “The divised self” (L’Io diviso) già nel 1955, da giovanissimo, ma partendo da un’impostazione teorica totalmente differente (in Laing: la psicologia esistenziale di Biswanger e di Jaspers). Ma prima di Laing assolutamente nulla. Né i contributi di Franco Basaglia (nato nel 1924) sono importanti, prima di metà anni Sessanta. Ora, in questo “Le beau danger” (Paris, Ehess, ossia Editions de l’Ecole des hautes études en sciences sociales, 2011), testo inedito in italiano,  che recupera un’ intevista con il filosofo con il grande poeta Claude Bonnefoy (definiamolo approssimativamente così) Foucault, troviamo non la ripetizione di concetti espressi nelle opere, ma una ridefinizione di approcci alla scrittura e il chiarimento di punti di partenza. Molto “timido” e prudente, Foucault rivendica però i concetti di quell’opera ripresi poi sempre.  Ecco un estratto dall’opera (conversazione, ma è comunque un’opera) citata:  (qui Foucault, figlio e nipote di medici, anche chirurghi “prende posizione”, si rapporta cioè al problema: “La psichiatria aveva uno statuto molto particolare, a dire il vero uno statuto peggiorativo. Perché? Perché per un vero medico, per un medico che cura i corpi, a maggior ragione per un chirurgo che  li apre, è evidente che la follia sia una “cattiva” malattia (correttezza vuole che io precisi che le virgolette sono mie, E.G.).  E’ una malattia che, per esprimerci all’ingrosso, non ha sostrato organico e in cui un buon medico non può riconoscere un sostrato organico ben preciso. In questa misura, si tratta di una malattia che gioca uno scherzo al vero medico, che scappa alla verità normale (anche qui ci sarebbe da virgolettare, ma…, E.G.). E’, di conseguenza, una falsa malattia ed è prossima a non essere una malattia per nulla. Per arrivare a quest’ultima conclusione, che la follia è una malattia che pretende di essere tale ma che non lo è, non c’è che una piccola distanza da superare… Se la follia è una falsa malattia, allora che cosa dire del medico che la cura e che crede che non sia una malattia?  Questo medico, cioè lo psichiatra, è necessariamente un medico dileggiato, che non sa riconoscere che ciò con cui ha a che fare non è una vera malattia, dunque è un cattivo medico e, dunque, a dire il vero, un falso medico. ..”(op. cit., pp.43-44). Credo che queste riflessioni di un grandissimo pensatore, di una persona estremamente intelligente, non solo di un “intellettuale” (riprendo la distinzione non peregrina ventilata da alcune persone “fuori quota”-Juliette Greco, inter  ceteros, dove temo fortemente di dovermi mettere tra i secondi…) ci spieghino le aporie di una concezione della “malattia mentale” che, da un lato vuole affermarla come realtà di malattia, dall’altra non ne conosce-riconosce eziologie organiche e quindi entra in un paradosso dove l’unico motivo per affermare che la “pazzia” esista è la conservazione di poteri (quello medico-psichiatrico, quello della chiesa “una santa, cattolica, apostolica” gerarchiamente intesa, che deve affermare, pena sua sparizione che i “pazzi”, come gli “eretici”, i “reprobi” esistono). Tutti  concetti che, mutatis mutandis, troviamo negli approcci a-psichiatrici, anti-psichiatrici, che anche recentemente Giorgio Antonucci ha ribadito, da altri punti di vista anche diversi, giungendo però ad analoghe conclusioni. 

Eugen Galasso  

Pubblicato il 31 January, 2012
Categoria: Testi

Peter Shaffer: “Equus” – psicoanalisi e psichiatria in teatro – Eugen Galasso


In “Equus” del 1973 il drammaturgo inglese Peter Shaffer, autore anche, ma successivamente, di “Amadeus”, dove pur si sottolinea in chiave grottesca, ma non psichiatrizzante, l’ “altro” di Mozart con il suo “cachinno”, si parla poeticamente (ma il teatro è anche poesia visiva, più che scritta) di un ragazzo che aveva accecato dei cavalli, dove Shaffer era partito (lo scrive nella premessa al dramma) da un fatto di cronaca, immaginando il resto. Avendo lavorato da manutentore in una scuderia il ragazzo, innamorato di cavalli, aveva vissuto un’esperienza piacevole (“La prima volta” con una ragazza) interrotta dallo sguardo, per lui inquisitorio, di un cavallo bello, grande e imponente.  Lo psicoanalista (ma è una sorta di impiegato da AUSL, salvo che il sistema sanitario inglese è molto diverso, anche se all’epoca era “socializzato”, perché governavano i Laburisti, quindi una via di mezzo tra psichiatra e psicoanalista), che lo “cura” è un frustrato per motivi familiari (rapporto conflittuale e di disprezzo verso la moglie) e progressivamente si accorge di essere inadeguato, in un climax che verso il finale lo porta allo scacco, al fallimento. Si inizia così: Dysart (lo psico):”Sogni molto?” Alan (ragazzo):  “E lei?”  Dysart: “Far domande è il mio lavoro. Tu pensa a rispondere”. Alan: “Chi lo dice? ” Dysart: “Lo dico io. Sogni molto?” Alan “E lei?” Dysart: “Andiamo Alan…”  Alan: “Rispondo se risponde lei. Una volta per uno” (Pausa)  Dysart: “Va bene. Ma dobbiamo sempre dirci la verità” Alan (con scherno): “Ci sto”. Dysart: “Sogni molto?” Alan: “Sì. E lei? ” Dysart: “Fa spesso lo stesso sogno?”. Alan: “No. E lei?”….(Atto nono, scena prima, op.cit., traduzione italiana, Genova, ediz. Teatro di Genova, terza edizione, 1974, p.31).  Qui si vede come lo psicoanalista si limiti a una batteria di domande in stile inquisitorial-menefreghista,  non rendendosi conto che l’altro glissa ogni sua domanda.            
Idem quando (cit., oltre, a pp.53-54,scena sedicesima),  vuol sapere se Alan aveva appuntamento con la ragazza e quando l’altro non glielo dice, si inalbera, gridando: “Dimmelo!” dove almeno una nota di rabbia, rancore e invidia non può non trapelare (come dire: “Lui sì, io no”), fino alla rabbia sorda ma non sciocca e non priva di ironia della sua messa a nudo -autodichiarazione dove dice: “Il Normale (sic!) è l’indispensabile e micidiale Dio della salute e io sono il suo sacerdote” (Scena 19.esima, p.60), per non dire di un finale feroce dove afferma ad Alan, gridando che lo libererà e che “Non soffrirai più. Non soffrirai quasi più (significativa diminutio, E.G.) affermando di aver un “disperato bisogno di trovare il modo di vedere nel buio” (Atto 2°, scena 35 , finale, a p.105). Shaffer, che è un grande del teatro, fa un po’ di confusione tra Freud (sorta di nuova “scena primaria” con il cavallo-padre-Superego castrante ma anche come simbolo archetipico di forza e bellezza insuperabile) ma la produzione di senso è assolutamente chiara, contro psichiatria e psicoanalisi velata da psichiatria…

Eugen Galasso

Pubblicato il 27 January, 2012
Categoria: Testi

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo