Sul 1° seminario di “Disegno onirico” a Bologna – Eugen Galasso

Da  formatore, di gruppi di e in disegno onirico ne ho conosciuti tanti. Ci sono quelli attenti, bravi, ma talora più per “diligenza”, per senso del “dovere”, siano essi studenti, insegnanti, assistenti all’handicap, pedagogisti e altri/e.  Poi c’è chi si appassiona, chi prende realmente qualcosa, anzi moltissimo da quel poco che l’operatore cerca di dare, ben sapendo (parlo di me)che è né Socrate né un maieuta e neppure uno sciamano (meglio così? Chissà). Non è per piaggeria (non mi appartiene), ma questo uno è dei pochissimi gruppi in cui, per usare una metafora forse abusata, a chi coordina (non “guida”, sono  un libertario, un antiautoritario più per natura che per ideologia, credo) “suonano le campane”, quelle vitali, the bells of Florence, Rome, Paris etc. (anche Bologna, dimenticavo).  Impressioni forti,  autocritica e critica sempre giusta e amichevole,  apprezzamento (ne merito di meno), confronto reale con il “quid disputandum”. Persone diverse, senz’altro, pur se convergenti per formazioni e attività(prevalente l’interesse psicologico, pedagogico, ma anche artistico in tutte/i partecipanti, pur se in forma diversa, ovviamente), riscoprono il sé e anche l’altra persona, in un’ottica, certo di interpretazione e “lettura” dei disegni, ma anche al “lasciar fluire” disegnando, quando molti di noi sono ormai “cauti” nel disegnare, anzi ci vergogniamo di farlo, ma l’atrofizzazione è indotta, da scuola e cultura dominanti… Riscoprire il piacere di lasciarsi andare, di disegnare come ci va, anche magari producendo ghirigori è bellissimo (non come pagare le tasse secondo il compianto economista Padoa Schioppa…), ma tutti i/le componenti del gruppo sono molto più brave/i, con produzioni che vanno ben al di là delle loro capacità manifeste-esplicitate.  Ma disegnare liberamente è anche una piccola liberazione complessiva e difatti quando si è in gruppo (in un gruppo accogliente e non giudicante, per meglio dire) anche quando si parla d’altro, come nell’importante introduzione della nostra direttrice (del Centro, cioè) sui problemi della controriforma psichiatrica ventilata (ora anche avallata dal presidente del senato Schifani, purtroppo), sugli psicofarmaci, sul TSO , con riferimenti all’attualità bolognese e italiana -ma non solo – grottesca ma più che altro tragica, inquietante, sferzante, si parla, si dice, si conversa, ci si confronta, come non si fa in noiosissime conferenze e lezioni che spesso si sorbiscono (e non mi esonero dal novero, anzi…purtroppo). Occasioni di confronto, possibilità, ciò che altrimenti si direbbe “gioco” (play, jeu, speel, Spiel), ma “gioco” nel senso corrivo non è mai, in realtà. E sicuramente la cosa prosegue, con una seconda tranche chiesta a breve scadenza, a quanto pare.

Eugen Galasso

Pubblicato il 19 June, 2011
Categoria: Testi

Giorgio Antonucci e Piero Colacicchi contro la pena di morte – Eugen Galasso


Leggendo l’importante intervento di Piero Colacicchi sull’appello, suo ma soprattutto di Giorgio Antonucci, contro la pena di morte a suo tempo (dicembre 1986) comminata a Paula Cooper, allora quindicenne, rea di un gravissimo reato, quella dell’uccisione della sua insegnante di religione (di scuola biblica, dovremmo dire, ma nel nostro ordinamento “cattolico” la Bibbia si studia, quando va bene, solo all’università, in Italia nei corsi di laurea in scienze religiose) per compiere un furto nella casa della stessa. Non certo a giustificazione-discolpa della ragazza (ora una quarantenne, come ovvio) sia detto che la Cooper era stata violentata, da bambina, dal padre, con la correità (assisteva senza intervenire) della madre. Entrambi i genitori erano alcolizzati, le condizioni socio-economiche della famiglia e dello slum in cui viveva spaventose. Sembra un classico “caso” da positivismo (Comte) e naturalismo (Zola, in Goncourt, Hauptmann, in Italia al massimo Capuana più di Verga), ma è cosa di ieri, dunque tragicamente attuale. Credo che il racconto-testimonianza di Colacicchi, prof. d’accademia, artista, che da artista ha operato e opera con i “pazienti psichiatrici”, da sempre amico di Giorgio Antonucci e attivo nel movimento antipsichiatrico e presidente dell’Osservatorio contro la discriminazione,  sia estremamente importante , ricordandoci come il movimento per i diritti civili sia insito nella “mission” antipsichiatrica, quindi la rivendicazione della libertà  umana, in primis della conservazione e difesa della vita (a scanso di equivoci dirò che essa non ha nulla a che vedere con il terrorismo antiabortista dei clericali, anzi), per cui, dalla tradizione illuminista in poi, quella di Verri e Beccaria che, con “Dei delitti e delle pene” scrisse la prima radicale negazione della pena di morte alle posizioni più recenti quali quelle di Arthur Koestler e Albert Camus, non certo ascrivibili al neo-illuminismo, dalla proibizione della pena di morte ad opera del granduca di Toscana Pietro Leopoldo, profondamente influenzato dalle idee del Beccaria, nel 1886, nel solo territorio toscano, fino al dibattito odierno, dove le idee dei citati autori sembrano non essere entrate affatto nel patrimonio ideale di popolazioni ancora amorfe sul tema (in Italia, come in generale in Europa, come negli States) se non favorevoli alla pena  capitale, segni una rivendicazione di primogenitura importante, con un documento, quello appunto di Colacicchi e Antonucci, che, con una catena che va dall’appello firmato all’epoca dal poeta e storico della letteratura Mario Luzi, dal giurista Paolo Barile, dal mass-mediologo e storico del cinema Pio Baldelli, da padre Ernesto Balducci, filosofo e teologo, tutti scomparssi, (come è scomparsa l’autrice dell’articolo-lettera alla “Nazione”,  da cui avevano preso spunto Antonucci e Colacicchi, Maria Luigia Guaita, nata a Pisa ma poi da sempre attiva a Firenze, storica figura della Resistenza fiorentina, come Fiorentini nativi o acquisti erano tutti gli altri personaggi prima menzionati) alla grazia e alla commutazione in carcere a vita, o quasi, della Cooper ad opera del governatore dell’Indiana, subissato da tante e tali richieste, dopo l’appello degli antipsichiatri e degli altri personaggi fiorentini, da dover cedere alla richiesta di “grazia”, almeno quanto alla questione della vita dell’allora ragazzina.

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Pubblicato il 14 June, 2011
Categoria: Testi

“A Giorgio Antonucci” – Poesia- Eugen Galasso

A Giorgio Antonucci

Days of remember to my life(1)/
giorni con papà de petit/
jours de tristesse, bien claro/
giorni da tordi, sappiamo/
giorni in nerorosa, aussi Fontana dixit(2)/
Wo bist due Helene, liebe Oma?/
Im Himmel wo du wolltest oder nirgends?/
Todos ninos, gracias a Diòs o quien sabe/ù
Papà forse con Croce parla di storia/
Heinz forse alle prese col sol delll’avvenir/
Tempi dove vorremmo spiegare/
Ne parliamo une autre fois, parbleau
(Eugen Galasso, 03.06.2011)
Note:
(1)Verso di Ray Davies, fondatore dei “Kinks”. Me ne “approprio” perché qui va bene
(2)il fotografo, in una recente dichiarazione.

Pubblicato il 12 June, 2011
Categoria: Testi

Auguri di Umanità Nova a Giorgio Antonucci


Quando il dottor Giorgio Antonucci era ricoverato, a Firenze, in pericolo di vita Umanità Nova ha pubblicato questo comunicato:

“ANTONUCCI

Abbiamo appreso che il compagno Giorgio Antonucci ha avuto dei problemi di salute, agurandogli una pronta guarigione lo abbracciamo forte.

La redazione di Umanità Nova si associa alle tante manifestazioni di affetto e solidarietà che gli sono pervenute.”

Umanità Nova, n°39, 8/11/2009

Pubblicato il 12 June, 2011
Categoria: Notizie

IL DISEGNO ONIRICO – Seminario – Eugen Galasso



Siete invitati/e a sognare ad occhi aperti ma senza dormire. Modalità creativa per conoscersi, conoscere aspetti “curiosi” della propria personalità, anche divertendosi.
Oltre che a interpretare, almeno a grandi linee, i disegni onirici, e proprio attraverso questa intepretazione, con il disegno onirico si impara a conoscersi, non razionalmente, ma nell’interezza della nostra person…alità, quindi nelle componenti emotive, sentimentali, nella trama di ricordi e pulsioni. Stare con gli altri nel gruppo implica la possibilità di conoscere anche gli altri, proprio anche confrontandosi con una situazione in cui ognuno supporta gli altri, li aiuta magari anche non rendendosene conto.

Cenni storici: La tecnica, che non è solo tecnica ma anche teoria complessiva (fondamentale la “lettura” e l’”ermeneutica” del disegno), nasce negli anni Settanta del 1900 a Buenos Aires da due psicoanalisti di formazione e ispirazione (non dogmatica, però) junghiana, Alberto Bermolen e Maria Grazia Dal Porto, ma anche dalla loro collaborazione con Abel Raggio, artista post-surrealista (la definizione è limitativa).

Teoria del disegno onirico:
“… è notorio che ogni persona si esprime con dei segni, delle tracce anche grafiche…Ma, già in età puberale-adolescenziale (dai 13 ai 15 anni) la persona si vergogna a produrre disegni, ad esprimersi graficamente; ma ciò, sicuramente, è dovuto ai pre-giudizi, al clima culturale ammorbante”
“Non ha senso parlare a priori e interpretando prima il disegno onirico, perché si “rovinerebbe il gioco” interpretando i disegni prima che si facciano.
A)”onirico” implica il sogno, ma è “sogno” ad occhi aperti, senza che si dorma, senza che ci sia ipnosi (non sarei capace di usare l’ipnosi né autorizzato a farlo, inter cetera), uno stato di coscienza vigile, attraversato, però, dal “sogno ad occhi aperti”, appunto;
B)conta l’uso dei colori, le forme, la posizione delle forme-figure nel foglio, ma ciò non vuol dire che, per es. l’uso di un colore implichi la possibilità di interpretare tale colore (e quindi tale uso) univocamente……
C) Non esistono non-colori. Il nero, il bianco, il grigio lo sono, dunque, a pieno titolo, contro interpretazioni classicamente “accettate” quanto oltremodo fallaci;
D) Leggere-interpretare un disegno onirico non vuol dire in alcun modo “giudicare la persona” (ci mancherebbe….!), anzi tutelarne la privacy, capirne le grandi potenzialità, sempre insite anche nella persona più schiva, meno “appariscente”;
E) Il disegno onirico si fa in gruppo, non da soli.
Che il gruppo o alcuni suoi componenti si conosca(no) o meno, ci si diverte sempre, comunque e divertendosi, come si sa, si impara, ma non nozioni astratte che servono a bene poco.

E’ NECESSARIA LA PRENOTAZIONE

E’ previsto un costo di 15 euro
si svolgerà presso ass Hub, via Serra 2/g Bologna
alle ore
Sabato 11 giugno: 16-18
Domenica 12 giugno: 14-17

E’ NECESSARIA LA PRENOTAZIONE
Iscrizioni: centrorelazioniumane@gmail.com , cell 339 3040009

Per informazioni: http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2010/12/09/disegno-onirico-eugen-galasso/#more-692

Pubblicato il 6 June, 2011
Categoria: Eventi

“Il Manicomio è davvero finito?” – Alice Banfi, Giorgio Antonucci, Comunità delle Piagge, don Santoro. VIDEO



Al Centro sociale Il Pozzo, il 4 marzo 2011 è stato presentato “Tanto scappo lo stesso – romanzo di una matta”, con l’autrice Alice Banfi e con il medico Giorgio Antonucci che ragionavano sul tema “Il Manicomio è davvero finito?”.
I Fratelli Rossi accompagnavano la presentazione con intermezzi musicali.

”Matti da… slegare!” Giornata dedicata alla salute mentale
(nove da Firenze)

VIDEO

I Parte
II Parte
III Parte
IV Parte
V Parte

Pubblicato il 5 June, 2011
Categoria: Notizie, Video

Un’ipotesi di “normalità” di Herbert Read – Eugen Galasso



C’è un libro che consiglio a tutti/e, “Education trough Art” (Educazione attraverso l’arte) di Herbert Read, degli anni Quaranta dello scorso secolo, ma preparato già prima, come rileva l’autore stesso. Un testo tuttora importante, ma certamente prigioniero dello spirito del suo tempo: riferendosi a Freud, a Kretschmer, alla Gestalt ma anche al meccanicismo behaviorista(Pavlov, per es.), il grande psicologo dell’arte, sociologo e “filosofo” nonché creativo (scrisse anche romanzi e testi poetici importanti) Read scrive: “Altri psicologi (Trigant Burrow, per es., in The Social Basis of Consciousness), hanno dimostrato la natura ipotetica della normalità, ma un’ipotesi di normalità e senz’altro utile e Kretschmer ha adottato il termine”sintonico”, introdotto per la prima volta da Bleuler (era stato un collaboratore di Freud, e.g.) per indicare la persona puramente ipotetica i cui stati  d’animo si siano armoniosamente equilibrati e sviluppati liberamente rispetto alle oscillazioni e reazioni tipiche dei tipi insani” (cito dalla traduz. spagnola, “Educaciòn por el arte”, Barcelona, Paidòs Educador, pp.94-95). Ecco un “corno” del problema: accettare l’idea di normalità e di normotipo è comodo, per gli psichiatri e per il volgo, ma anche per persone intelligenti e colte (ricordo il compianto Orazio  Costa, geniale drammaturgo e regista, che però in questo senso poteva discriminare tale…Carmelo Bene). Ma fosse solo un vezzo intellettuale, passi. Il problema è che tutto va a finire nella clinica del manicomio (pardons, clinica psichiatrico, reparto di psichiatria), TSO, psicofarmaci e (non solo talora) elettroshock.  Certo Read non era colpevole di tutto questo, ma anche epistemologicamente avrebbe potuto essere più chiaro; la cultura del tempo, però, lo condizionava troppo, dirò così per brevità; e l’ipotesi di lavoro diveniva cogente per nosografare e distinguere.

Eugen Galasso

Pubblicato il 3 June, 2011
Categoria: Testi

Misseri nella villa dei misteri – Eugen Galasso



Il caso, criminologicamente interessante (ma scandalizza, almeno chi scrive, certa curiosità morbosa del paese di Avetrana, prima colpevolista, poi innocentista, poi critico verso il “maschio soggetto al matriarcato”, con concezione ancora maschilista dei rapporti di genere, non tra persone umane, dotate degli stessi diritti) di Sarah Scazzi tiene “attanagliati” vasti strati della popolazione italiana, ma, invece di dolersi dell’orribile uccisione di una persona, di una ragazzina, come nel caso di Yara Gambirasio, c’è chi parteggia per l’uno o l’altra dei possibili colpevoli, dei più che indiziati. Il fatto è che, oltre alla questione del colpevole, c’è da dire che pochi giorni fa “zio Miché”, alias Michele Misseri, scarcerato, era stato sottoposto a TSO, pur se solo per poche ore, su ordinanza del sindaco di Avetrana, con nessuna indicazione di uno psichiatra, come invece vorrebbe l’attuale vigente-pessima-legge.  Il provvedimento era stato adottato, in quanto la motivazione ufficiale era il rischio di suicidio dell’uomo. Legge pessima, ma anche scavalcata quando fa comodo. Sarebbe senz’altro meglio abolire il TSO, così neppure il caso grottesco di Avetrana sortirebbe effetti ancora così “strani” e inquietanti, con il sospetto di deviazione di prove e indizi…

Eugen Galasso

Pubblicato il 3 June, 2011
Categoria: Testi

La solitudine – Eugen Galasso



La solitudine può essere al calor bianco, oppure non esistere: a parte il bellissimo poemetto omonimo – poi chanson – di Léo Ferré, dove nella scrittura poetica lucidamente surrealista, “la solitude” si introduce/inserisce sempre e improvvisamente, quale presenza perturbante, atrocemente invasiva, nel contenutissimo, monolemmatico réfrain, mentre poi  in un’altra chanson omonima, “La solitude…ça n’existe pas” di Gilbert Bécaud,  essa sembra venir derubricata  a semplice condizione soggettiva, anzi individuale. Inutile che io in questa sede citi i precedenti poetici in Baudelaire, che però parla di spleen, che è una condizione altra, non di pura solitudine, ma anche di noia e “mal d’e^tre moi” (male di esistere).  Chiaro che in questo “mix” la solitudine (scelta, voluta, subita) è solo una componente.  Inutile poi (o no?) tornare alla famosa frase di impronta stoica: “Beata solitudo, sola beatitudo” (Beata solitudine, sola beatitudine), che però, ovviamente, vale come motto – frase programmatica per la solitudine scelta-voluta quasi come “filosofia di vita”. Per la scrittrice e poetessa Maria Teresa Bernabei, che però in questo caso commenta il volume fotografico di Paolo di Giosia “Solitudini” essa è “condizione, quasi una dote peculiare dell’uomo… Fa parte del nostro essere impastati di tempo ed eternità, di spirito e di carne, del nostro collocarci tra terra e cielo” (op.cit., p.59). Specifica poi anche, per l’autrice, la solitudine femminile, in quanto, come dice con bella espressione, “amante non amata”(p.609),  condizione non scelta,  e qui, giustamente, la Bernabei parla della condizione in absentia per cui non ci sono anacorete donne… Anche per quella che l’autrice considera il culmine della condizione femminile, Maria di Nazareth, “figura femminile per eccellenza”(cit. p.62). Di formazione e cultura anche cattolica, ma “eretico”, di convinzione mistico-gnostica (non agnostica, preciso) posso rispettare la “Vergine madre, figlia del tuo Figlio” (Dante, Divina Commedia),  ma non venerarla. , in quanto credo che sarebbe uno scalfire l’unicità (beninteso tutt’altro che maschile, anzi!) del mistero dell’Assoluto.  Credo comunque che storicamente e antropologicamene la sua condizione fosse migliore di quella delle donne greche, dove la pòlis “democratica” solo di nome, chiaramente, escludeva la donna e la separava rigorosamente dagli uomini, trattandola al pari dei non cittadini, metèci, schiavi etc. , escludendola  da ogni diritto civile, rinchiudendola nel recinto della casa, quel recinto che è ancora previsto dall’autoeducazione di Jean-Jacques Rousseau (cfr.l’Emile) e dalla condizione mediterranea così ben emblematizzata in “La casa de Bernarda Alba” di Garcia Lorca.  Belle, anche quando non ne condivido alcune, le considerazioni di Maria Teresa, con l’invito, per es., a partire della solitudine per conoscere (e qui anche il genere maschile dovrebbe sentirsi coinvolto, sperabilmente!). Aggiungo solo che luoghi di reclusioni quali manicomi e altre istituzioni totali possono essere orribili prove di solitudine, nell’accezione, ovvio, di quella subita-imposta. E chi invece vorrebbe essere solo, anche “naturaliter”, quali coloro che vengono etichettati/e quali “soggetti autistici”.  O c’è la volontà di capire-comprendere vivendo con loro(Deligny) oppure vengono prese misure quali medicalizzazione forzata ed esclusione, che derivano comunque dalla non-comprensione, come si è già detto. E chissà se anche  per chi scrive, decisamente convinto, del tutto gnosticamente,  di  “essere stato gettato nel mondo bassamente materiale” non si prenderebbero volentieri misure di emarginazione, magari fino al TSO… Si potrebbero addurre elementi quali le “caratteristiche asociali”, per andare un po’ più in là.  Ma qui, forse, saremmo già fuori dal perimetro  conosciuto di quanto definiamo come “solitudine”.


Eugen Galasso

Pubblicato il 30 May, 2011
Categoria: Testi

Paola Cooper, 16 anni, aspettava l’esecuzione della condanna a morte. – Piero Colacicchi

di:  Piero Colacicchi

Tra i tanti oggetti che inzeppano la mia stanza c’è un piccolo cucchiaio di legno il cui manico è malamente attaccato al fondo, il cui fondo stesso è spaccato in due, è mal incollato ed è mancante della parte davanti: malgrado ciò mi è particolarmente caro perché mi ricorda un episodio importante della mia collaborazione con Giorgio Antonucci. Il cucchiaio è intagliato a mano in legno di “òcchiule”, (come lo chiamano in Basilicata ) un legno duro, compatto e piuttosto pesante. Potrebbe esser stato fatto in Aspromonte o a Senise, in Basilicata, dai pastori. In realtà so soltanto che proviene dalla Calabria.

Mi fu regalato da Noris Antonucci parecchi anni fa con un commento scherzoso: ” Tienilo te: tanto, tra tutte la roba che hai, una cosa in più non ti fa differenza. Io non lo voglio, ma non voglio neppure buttarlo via. Sai, apparteneva ad una zia a cui ero molto affezionata, quella che per le feste mi mandava sempre i salamini piccanti e le altre golosità calabresi che anche a te piacevano tanto.”  Lo accettai sorridendo. Noris mi prende sempre in giro per tutte le cose che tengo in casa, lei che invece non sopporta di aver roba tra i piedi e che – scherzo io – uno di questi giorni butterà nella spazzatura anche il marito!
In quel periodo  passavo  più spesso del solito da casa di Giorgio e di Noris, e mi fermavo anche a mangiare. Eravamo, come ai vecchi tempi, continuamente in contatto perché seguivamo una questione importante in cui c’eravamo imbarcati e che ci  teneva con i nervi tesi.

Era cominciata così. Una mattina – per l’esattezza sabato 13 dicembre del 1986, verso le undici –  me ne stavo a casa mia a ciondolare in pigiama quando Giorgio Antonucci mi telefonò e mi lesse una lettera appena pubblicata su La Nazione, a firma di Maria Luigia Guaita. Non conoscevo personalmente la Guaita, ma  ne avevo molto sentito parlare, anche in casa. Era stata partigiana, aveva partecipato a varie attività (durante le quali aveva conosciuto anche i miei genitori), era stata amica di Enzo Enriquez Agnoletti (l’ex vice sindaco e direttore della rivista Il Ponte su cui anche noi scrivevamo ) e ora dirigeva una scuola d’incisione molto nota a Firenze, il Bisonte.
La lettera della Guaita, pubblicata col titolo “Per non far morire Paula” nella rubrica ” Parliamone insieme” tenuta da Laura Griffo, diceva: <<  In questi giorni che sanno già di Natale [ …] vorrei richiamare il ricordo della gente buona, ma forse distratta, su Paula Cooper. E’ una ragazzina nera che oggi ha sedici anni  e che, in una cella della morte del carcere di Indianapolis, sta aspettando di salire sulla sedia elettrica. Ha commesso un delitto orribile: riconosciuta mentre tentava un furto nell’abitazione della insegnante di catechismo, Ruth Pelke, l’ha assassinata con un coltello. L’opinione pubblica locale, emozionata e indignata, ha plaudito la pena di morte a cui è stata condannata. […] Figlia di alcoolizzati, violentata la prima volta dal padre davanti alla madre indifferente, cresciuta in un clima di violenza e di abiezione […] è fuggita più volte dall’inferno della famiglia e puntualmente restituita a casa dalla solerte polizia locale […] Dopo qualche negativa esperienza in orfanotrofio[…]  quando la madre e il padre si allontanano, […] resta affidata alle cure della sorella, maggiore di lei di soli tre anni.
< [ …] A pregare per lei oggi c’è solo la sorellina disperata. A battersi per lei solo l’avvocato difensore, che spera nella grazia. Che potrà essere ottenuta solo se l’opinione pubblica europea si organizzerà in ” movimento per la vita di Paula ” e chiederà per lei il perdono del popolo americano.[…] A te, Laura, chiedo di sollecitare una raccolta di firme a favore di un mutamento di pena e umana solidarietà verso questa ragazzina disperata e sola davanti alla morte che ormai si è già insediata, quasi entità palpabile in attesa paziente, nella sua cella .[ …] Si può scrivere al governatore Robert Orr, State house, Indianapolis 46204 USA. >>
Commentava Laura Griffo: << Raccolgo l’appello di Maria Luigia Guaita  con emozione.[..] A Firenze, nel 1786,il Granduca Pietro Leopoldo, sovrano illuminato, abolì la pena di morte ritenendola iniqua. Giusto, quindi, che da Firenze parta una iniziativa di solidarietà con Paula Cooper, che ha solo sedici anni e che dovrà morire fra poche settimane[…] Invitiamo Firenze a scriverci per intervenire in nome della sua tradizione civile: gli amministratori […] gli studenti […] e anche gli altri; il movimento per la vita […] i radicali[…]; chiunque voglia, per Natale, in uno slancio di altruismo, farsi il regalo della vita di Paula>>.
Giorgio, al telefono, mi proponeva di scrivere anche noi una lettera al governatore Orr. Dissi che era una buona idea e che bisognava studiare bene il testo. Decidemmo che ci saremmo risentiti più tardi, in giornata.
Riattaccata la cornetta mi misi a pensare alla questione: che glie ne interessava al governatore Orr se gli arrivavano alcune lettere dall’Italia? Niente! Tempo sprecato, o quasi. Meglio provare a pensare a qualcosa di più forte. Ma che cosa?

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Pubblicato il 25 May, 2011
Categoria: Testi, Testimonianze

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo