CONVERSAZIONI CON GIORGIO ANTONUCCI di ERVEDA SANSI
Critical Book i quaderni dei saperi critici
pp.1-6
“Penso che spesso, oltre alla pericolosità del
giudizio psichiatrico, la cosa più pericolosa
sia la resa che una persona fa alla propria
convinzione di essere malata”.
“Giorgio Antonucci non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo di abbandoni che siamo abituati a conoscere. La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida, acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta attenzione”.
E’ così che Dacia Maraini ritrae Giorgio Antonucci in un articolo di La Stampa, e del reparto autogestito di Imola fa la seguente descrizione: “Una volta aperta la porta del reparto mi trovo in una sala lunga e stretta affollata di gente. In fondo, sotto un affresco di mari ondosi su cui navigano barche dalle vele rosse, ci sono i ragazzi dell’Aquila venuti qui a suonare. Fra l’orchestra e la porta tante sedie con tanti ricoverati, donne e uomini.[…]
La musica di Mozart, con la sua armonia esplosiva dilata gli spazi, entra in queste facce contratte segnate dalle torture trasformando la bruttezza in bellezza, si fa liquido delicato piacere. I ragazzi dell’orchestra con le loro barbe, i loro blue jeans, i loro capelli lunghi suonano, impetuosamente brandendo i corni, i violoncelli, gli oboi. Alcuni dei degenti si mettono a ballare. Altri ascoltano a bocca aperta, facendosi cullare dalla meraviglia di quelle note. L’atmosfera rispetto ai reparti chiusi è diversa, c’è “confusione, vocio, disordine, colori. […]Le pareti sono coperte di stampe colorate, disegni, fiori, stelle. Una ragazza in vestaglia va e viene portando dei dolci”.
Artisti come Luca Bramante e Piero Colacicchi hanno collaborato alle iniziative culturali e dipinto gli affreschi del reparto. Dacia Maraini chiede perché, visto il buon risultato ottenuto, non si fa lo stesso negli altri reparti: “Prima di tutto perché é molto faticoso – risponde Antonucci con la sua voce quieta, dolce – mi ci sono voluti cinque anni di lavoro durissimo per ridare fiducia a queste donne; cinque anni di conversazioni, di presenza anche notturna, di rapporto a tu per tu. Però non si tratta di una tecnica, ma di un diverso modo di concepire i rapporti umani. […] “In che consiste questo metodo nuovo per quanto riguarda i cosiddetti malati psichici?”, continua con le domande la scrittrice. “Per me significa che i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata. I medici dovrebbero essere presenti solo per curare le malattie del corpo.
“Igiene mentale e libero pensiero”-Recensione e riflessioni Eugen Galasso
Qualcuno vorrebbe la “follia” o qualunque cosa si voglia identificare con una condizione “altra” con il genio (genio e sregolatezza, secondo l’abusato cliché invero più pseudo-romantico che romantico). Si citano, allora, gli esempi di Michelangelo (di cui invece, da recenti biografie oltremodo attendibili, apprendiamo una”capacità raziocinante” financo estesa agli interessi materiali-banausici), Van Gogh (qui naturalmente l’endiadi funzionerebbe meglio, ma secondo la triste vulgata), Artaud, tanti romantici, da Schumann a Hoffmann a Poe, dai “maudits” quali Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, ma anche di un “dissidente totale” quale Majakowsky, oppure, a fortiori, di un danzatore -coreografo come Nijnskij, per non dire dei “santi folli”, delle “sante anoressiche”. In realtà, a parte la quaestio della follia (se esista, che cosa in realtà sia), vi sarebbe ancora la questione fondamentale di come sia eventualmente la schizofrenia (sull’onda di Gilles Deleuze e Felix Guattari) a identificari con il genio. In realtà, poi, Guattari aveva specificato non essere geniali gli schizofrenici e/o gli schizoidi, ma, semmai, la capacità di essere “altro” rispetto alla normalità, alla “consuetudine”, il che probabilmente è anche un po’limitativo, come descrizione, ma rende la ” differenza” dell’artista (non citerò testi precisi, anche perché l’autore su questo tema è tornato molte volte, chiarendo malintesi sorti dopo la pubblicazione e gli entusiasmi suscitati dall'”Anti-Oedipe”, in relazioni a congressi, scritti vari, interviste etc.). D’altronde, sempre tenendo provvisoriamente, ma come mera ipotesi di lavoro, il lemma (e quindi il concetto) di follia, rimane l’argomento dell’autore-attore- regista teatrale César Brie (Argentino, ma per anni attivo in Europa e ora, da tre lustri, nel”Teatro de Los Andes”in Bolivia), che una volta, in una conversazione privata (1996) disse: “Artaud non era “grande” quando era “folle”, ma in una condizione di (almeno relativa) lucidità”. Un argomento che appare oltremodo convincente, se pensiamo a come l’artista “folle” sia incapace di produrre arte quando è nell’altro stato (“der andere Zustand”, mi servo della metafora di Robert Musil, che pure nella fattispecie si riferiva ad altro…); un altro problema, poi, è il come la società o meglio il potere/i poteri gestiscono/”controllano”/manipolano/contengono quanto la “follia” può portare con sé.
THOMAS SZASZ- “La mia follia mi ha salvato”. La follia e il matrimonio di Virginia Woolf
“La mia follia mi ha salvato” La follia e il matrimonio di Virginia Woolf di Thomas Szasz.
L’itinerario di una donna, scrittrice e editrice, e l’infelice relazione con il marito Leonard, fino al tragico epilogo
Thomas Szasz rilegge la vita di una delle più rivoluzionarie scrittrici del Novecento, dall’infanzia fino al tragico epilogo, cogliendone i lati più nascosti e meno esplorati, in contrasto con il discorso dominante, dalla critica letteraria alla psichiatria.
Un’opera che riscopre Virginia Woolf andando oltre la sua rappresentazione di genio malato che la vorrebbe divisa tra “genio” e “follia”.
Secondo Szasz, qui nella duplice veste di scrittore e psicanalista, Virginia non era vittima né della malattia mentale, né della psichiatria, né del marito. Non era semplicemente folle, ovvero “posseduta dalla follia”, bensì “possedeva la sua follia” ed era agente morale capace d’imporsi e usare la malattia per manipolare l’ambiente sociale e forgiare la propria vita secondo un progetto preciso.
Giorgio Antonucci – Da “IL SOGNO DI DAVID” –
Prima di uccidersi aveva lasciato un biglietto con queste parole:
Hanno letto la mia fine nel fondo degli occhi
scritta come su un sepolcro.
Tumore alla testa
Così ho pensato:
-Tra poco questa immensità di vita e di
intelletto si spargerà nell’aria come acque
dall’alto delle rocce.
E nessuno mi cercherà.-
Avevo letto sul libro:
“Ma tu sei sempre lo stesso, e gli anni tuoi
non finiranno”.
Giorgio Antonucci
La nave del paradiso – ed. SpiraliVel, 1990
Pubblicato il 10 December, 2009
Categoria: Libri
PREFAZIONE di Thomas Szasz a “Il pregiudizio psichiatrico” di Giorgio Antonucci
Il pregiudizio psichiatrico, Giorgio Antonucci, ed Elèuthera, 1989.
PREFAZIONE
Giorgio Antonucci non parla inglese e io non parlo italiano. Nonostante ciò, quando ci siamo incontrati, era come se parlassimo la stessa lingua. E infatti parlavamo in un linguaggio più profondo, diverso in ogni caso da quello che comunemente si intende con la parola “linguaggio”. Il nostro non era puramente il linguaggio della reciproca comprensione. Era il linguaggio del rispetto per un gruppo di persone che oggi, in tutto il mondo, vengono trattate in tutti i modi fuorchè con rispetto. Mi riferisco naturalmente alle persone chiamate o classificate come pazienti psichiatrici, che possono essere brutalmente torturate o assurdamente coccolate, private dei più elementari bisogni e diritti umani o fornite gratuitamente di più beni, servizi e scuse di quanti non ne vengono concessi alle persone ordinarie. Ma qualsiasi cosa i pazienti psichiatrici possono ottenere, c’è qualcosa che non avranno mai: il rispetto d’essere considerati semplicemente come esseri umani. Niente di meno e niente di più.
What Is Antipsychiatry? by Thomas Szasz
Merriam-Webster defines psychiatry as “a branch of medicine that deals with mental, emotional, or behavioral disorders”; Wikipedia, as “a medical specialty which exists to study, prevent, and treat mental disorders in humans.” These descriptions do not tell us what the psychiatrist does and is expected, legally and professionally, to do. That non-disclosure disguises the ugly truth: psychiatry is coercion masquerading as care. It is testimony to the effectiveness of that feeble disguise – and of our aversion to recognizing embarrassing truths about ourselves and our honored institutions – that most libertarian writers have given, and continue to give, psychiatry a free ride.
Medical specialists are distinguished by the diagnostic and therapeutic methods that characterize their work: the pathologist examines cells, tissues, and body fluids; the surgeon cuts into the living body, removes diseased tissues, and repairs malfunctioning body parts; the anesthesiologist renders the patient unconscious and insensitive to pain; and the psychiatrist coerces and excuses: he identifies innocent persons as “mentally ill and dangerous to themselves and others” and deprives them of liberty, and he excuses people of their responsibilities for their actions and obligations by testifying in court under oath that persons guilty of lawbreaking are not responsible for their criminal acts. The former practice is called “civil commitment,” the latter, “the insanity defense.” These legal-psychiatric interventions constitute the pillars upon which the edifice called “psychiatry” rests.
Diritti, Rom e psichiatria. – Piero Colacicchi – “Sorvegliato mentale”
Diritti, Rom e psichiatria.
osservAzione – centro di ricerca azione contro la discriminazione di Rom e Sinti
10-7-09
di Piero Colacicchi
Quando negli anni novanta si aprì la discussione sui campi per Rom fui fortemente impressionato da alcuni paralleli con quanto avevo visto negli anni precedenti seguendo il lavoro di Giorgio Antonucci negli ospedali psichiatrici. Qui mi trovavo di fronte a persone che insistevano perché venissero approvate leggi regionali che istituzionalizzassero l’esistenza di campi per nomadi, sostenendo che i Rom erano incapaci di vivere tra la gente (tra ‘noi’), che erano nomadi e che promuoverne l’integrazione sarebbe stato un atto di violenza, mentre i Rom stessi dichiaravano di non essere affatto nomadi, di non aver mai vissuto in campi e di non volerne sapere: chiedevano case, lavoro, scuole per i figli. Là, negli ospedali psichiatrici, avevo visto la pretesa da parte degli psichiatri di curare persone giudicate, anche in questo caso da loro, incapaci di vivere tra la gente, internandole magari per anni; e mi era stato mostrato come questo non avesse niente a che fare con la realtà in cui erano vissuti e che volevano vivere i ricoverati. Nell’uno e nell’altro caso alcune autorità pretendevano di fare gli interessi di altri e di curarne i diritti, mentre i diretti interessati chiedevano, in un modo o in un altro, cose del tutto diverse: e per prima cosa la libertà di scelta.
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EUGENIA OMODEI ZORINI- Recensione “Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri” di Giorgio Antonucci
recensione di Eugenia Omodei Zorini
Psico-terapia e scienze umane, FrancoAngeli – anno 2009, volume XLIII, n.1
Alcune note biografiche sono utili per collocare il Diario dal manicomio in un contesto storico preciso. Giorgio Antonucci si è laureato in medicina all’inizio degli anni 1960, e già durante gli anni dell’università è entrato in contrasto con i docenti per le sue critiche esplicite all’impostazione autoritaria della medicina ufficiale. Dopo aver lavorato in alcuni quartieri della periferia di Firenze, la sua città, e in alcune borgate dei dintorni, è venuto in contatto con la realtà segregante delle Case di Cura e degli Ospedali Psichiatrici. Ha allora dedicato il suo tempo a evitare i ricoveri psichiatrici. Nel 1968 a Cividale del Friuli ha fatto parte del primo reparto di Ospedale Civile che nasce come padiglione aperto in alternativa ai manicomi. Nel 1969 ha lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, allora diretto da Franco Basaglia. Dal 1970 al 1972, nel Servizio Psichiatrico Provinciale di Reggio Emilia, dove anch’io lavoravo, è stato responsabile del Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo Monti (link). E’ stata un’esperienza unica e significativa la collaborazione con lui alle iniziative innovative di partecipazione e coinvolgimento delle comunità locali per rompere la segregazione dei ricoverati dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro. Leggi l’articolo completo »
SORVEGLIATO MENTALE-di Paola Minelli e Maria Rosaria D’Oronzo
“Sorvegliato mentale – Effetti Collaterali degli Psicofarmaci- Manuale d’uso”, edizione Nautilus, Torino, 2009
Illustrazione e grafica: Paola Minelli
Gli psicofarmaci sono droghe commercializzate in farmacia che oltre che essere spacciate ipocritamente come “terapeutiche”, sono spesso indotte coercitivamente nel corpo delle persone in difficoltà, del diverso, di chi non si adatta.
L’enorme diffusione sul mercato di molecole psicoattive, il dilagare della psicomedicalizzazione su fasce della popolazione sempre più ampie, la divulgazione di studi circa la gravità dei danni prodotti da alcuni psicofarmaci hanno reso urgente il rifacimento di Effetti Collaterali, testo originariamente curato dal Telefono Viola di Milano, ora rivisto e ampliato.
Il proposito è quello di fornire strumenti per l’autodifesa dalla psichiatria in un’ottica realista, in cui sarebbe di scarsa utilità parlare di psicofarmaci decontestualizzandoli dall’ambito in cui sono usati.
Il libro si propone come una guida che suggerisce alcuni mezzi per l’autodifesa o l’uso consapevole degli psicofarmaci, in un’ottica di rifiuto della terminologia medico-psichiatrica e delle sue pratiche psico-poliziesche.
CONTENUTI
Effetti collaterali sulla società, sull’individuo, sul corpo, sulla sua esperienza e come disfarsene
Effetti collaterali di ogni psicofarmaco.
Le autrici
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Pubblicato il 6 March, 2009
Categoria: Libri, Luoghi comuni della psichiatria
GIUSEPPE GOZZINI – “Esercizi di memoria – il ’68 visto dal basso- sussidio didattico per chi non c’era”. Ed. Asterios
Più del ’68 e oltre il ’68.
Cronistoria dettagliata dei movimenti sociali, che hanno trasformato modi di pensare e di vivere, idee e comportamenti di una generazione fino al ’75: operai, studenti, giornalisti, magistrati, impiegati, insegnanti, artisti, cattolici, sfrattati, femministe, “matti”, militari, carcerati.
Giuseppe Gozzini, “Esercizi di memoria…”
“1968- 2 settembre:…CIVIDALE DEL FRIULI. Poliziotti e carabinieri con jeeps, furgoni e cellulari circondano l’ospedale civile di Santa Maria dei Battuti per chiudere il reparto neuro-psichiatrico dove un’équipe di medici (Cotti, Antonucci, Tesi) e di infermieri (Campadelli, Bruni, Tusulin) stanno dimostrando che è possibile un’alternativa agli internamenti in manicomio a partire dalla negazione della psichiatria come scienza. Il reparto, aperto da pochi mesi, aveva assunto il nome di “Centro relazioni umane” proprio per sottolineare una concezione innovativa di intervento e di assistenza.” pag. 259 Leggi l’articolo completo »
Pubblicato il 21 December, 2008
Categoria: Libri