Il lavoro di Reggio Emilia.

Di Giorgio Antonucci.


La prima volta che arrivai in città (siamo nel 1970) lasciai la macchina per proseguire a piedi fino alla sede dei Centri di Igiene Mentale, ma al ritorno non ricordavo dove l’avevo lasciata e faticai a ritrovarla.
Quel giorno ero venuto da Firenze soltanto per vedere.
Mi aveva invitato Giovanni Jervis a lavorare con lui a Reggio Emilia, dove lui era stato chiamato a dirigere i nuovi servizi psichiatrici della provincia, con lo scopo di evitare per quanto possibile i ricoveri in manicomio intervenendo con nuovi criteri, e con una diversa concezione dei nostri compiti e delle nostre responsabilità di fronte ai cittadini.
Dovevamo aiutare le persone a vivere senza separarle dal loro ambiente e senza sottoporle a interventi di coercizione.
Superare il manicomio significa smettere di ricoverare.
Jervis mi aveva scelto perché aveva visto come nel 1969 avevo impostato il mio lavoro nell’Istituto psichiatrico di Gorizia diretto da Franco Basaglia, dove ero stato incaricato di occuparmi dei reparti di “osservazione donne”. Per me quello di Gorizia era stato un periodo breve ma ricco di significato e di interessanti e utili esperienze.
Jervis e io avevamo avuto anche moltissime discussioni e divergenze ma ci eravamo intesi lo stesso.
Ci sembrava che lo scopo fosse il medesimo. Una divergenza che si sarebbe riproposta anche a Reggio era che Jervis praticava l’uso dell’elettrochoc mentre io ero decisamente contrario tanto che a Gorizia lo avevo tolto dai reparti delle donne dove si usava ancora mentre era stato tolto dai reparti degli uomini allora diretti da Domenico Casagrande.
Jervis sosteneva anche l’utilità della lobotomia specialmente per le persone con stati ossessivi di difficile controllo come mi disse una sera a Gorizia mentre ero a cena a casa sua.
A Gorizia c’era la convivenza di grandi novità e di antiche tradizioni, come è logico aspettarsi dove è arrivato un rivoluzionario che si dibatte dentro le trappole del conformismo e le paure dei conservatori.
L’idea del superamento del manicomio era un pensiero di Basaglia e non degli altri medici, i quali si adattavano per adeguarsi, tra molte incertezze e profondissime resistenze.
Avevano dubbi teorici e inefficienze pratiche. Nessuno poi si rendeva conto di quanto lontano portasse questo pensiero e quali potessero essere le conseguenze nel modo di concepire i rapporti umani, e nel modo di affrontare la convivenza sociale.
Jervis era un buon neurologo, ma a mio parere non era adatto a occuparsi dei problemi pratici della psicologia, e non mi sembrava nemmeno interessato e disponibile per avventurarsi ad affrontare e capire le difficoltà esistenziali. Questa storia si sarebbe vista anche a Reggio.
Non si capisce come mai i medici sono chiamati a occuparsi di psicologia.
Anche questo è un vero equivoco da chiarire.
Lasciata Reggio, nel tornare verso la Toscana, vidi per la prima volta il colle di Bismantova, maestoso e triste, come mi sarebbe apparso molte volte in seguito, quando mi occupavo dei paesi di montagna, che fornivano molte persone al manicomio.

Pubblicato il 21 December, 2016
Categoria: Notizie

Cipriano versus Antonucci – Eugen Galasso



(Mi riferisco ad “A”, novembre 2016, n.411, pp.29-33)

Due premesse: A) La mia non è difesa d’ufficio del dott. Antonucci, che si difende benissimo da solo. Avendo seguito, però, da anni, le vicende di Giorgio Antonucci e di chi lo attacca, credo di avere diritto di intervenire; B) Da non anarchico, però, credo sia opportuno precisare alcune cose.  In primis,  delegando alla dott. Mailardi, psicologa, psicoterapeuta a Roma presso la Fondazione Roma Solidale onlus l’intervista al dott. Cipriano, autore di vari libri (tutti editi da “Eleuthera”, significativamente, casa editrice di cui “A” pubblica la pubblicità – scusate il bisticcio di parole…, mentre di Antonucci ne aveva pubblicato solo uno, per così dire con un “no more” implicito), la rivista “A-rivista anarchica” fa una scelta di campo, ben più che instaurare un dialogo a distanza… Premetto, però, che credo nella sincerità assoluta di entrambi(intervistatrice e intervistato) e lo dico in buona fede, senza alcun “retropensiero” da “Ma Bruto è un uomo d’onore…” (uncle Bil l’immortale, alias William Shakespeare, Giulio Cesare, Atto III°, scena seconda). Certo, anche le domande -“obiezioni” della dott. Mailardi sembrano offrire il destro a risposte-chiarimenti non dico “orientati” (questo no) ma in qualche modo appaiono “facilitanti”. Poi, Cipriano prende apertamente le parti di Basaglia versus Antonucci: assolutamente legittimo e anzi scopre subito le carte, ma è scelta a priori, con toni estremamente duri e dogmatici: “Quello di Antonucci è un discorso che trovo demagogico” (sarebbe da chiarire questo termine, ormai, troppo usato-abusato. Chi dava del “populista” e del “demagogo” a Donald Trump l’ha fatto vincere. Mio inciso). Dire che comunque la sofferenza esiste e che “la libertà l’ha già perduta prima che intervenga la psichiatria con le sue armi di precisione e di repressione” è contraddittorio: prima di tutto non sappiamo se sia vero che la persona abbia già perso la sua libertà (l’autore ci dà ciò come assioma,  quale “articulus fidei”) e poi Cipriano ammette che quelle della psichiatria sono “armi di precisione e repressione”. Segue poi l’argumentum princeps: “…in certi casi, bisogna assumersi la responsabilità di decidere, per quella persona non più in grado di farlo (sic! Se lo fa il dott. Goebbels, però, o comunque tutta la psichiatria istituzionale, poi, sappiamo come va a finire… e.g.). Per cui, io pure revoco, o non convalido, moltissimi trattamenti sanitari obbligatori. Però non contesto lo strumento del TSO”. Ma se questo esiste, viene usato e come… Cipriano lo sa e però difende (ripeto: credo fermamente che sia in buona fede e quindi non creda di farlo) la casta degli psichiatri e chi ne legittima l’esistenza. A Szasz, poi, contesta di “aver fatto una scelta di campo…dedicandosi solo a gente ricca e poco sofferente”. Mi sembra un riduzionismo totale, quanto meno. Non parliamo dell’attacco ad Antonucci, poi, “la cui impresa più rilevante è stata troppo veloce, pretenziosa e controproducente”. Ne è certo, prima di tutto? Sa come si siano svolti i fatti? Ne dubito, in specifico. Lascio ad altri la possibilità di replicare, concludendo solo con la constatazione che il “gradualismo”, in buona fede, di Cipriano, non cambierà nulla a livello normativo  e di prassi clinica.

Eugen Galasso

 

Nota: Eleuthera ha pubblicato diversi libri importanti del dottor Giorgio Antonucci.

Pubblicato il 28 November, 2016
Categoria: Notizie

“Cappelli e serpenti boa” di Giorgio Antonucci– Il Piccolo Principe, una storia a fumetti di Enzo Jannuzzi e Antoine de Saint-Exupéry

Excalibur srl





Nelle prime pagine del Piccolo Principe che Vincenzo Jannuzzi ha riproposto a fumetti, il bambino vede il serpente boa, mentre l’adulto vede il cappello. Si evidenza qui il rapporto che il bambino ha con la fantasia, fintanto che non gliela organizzano e non gliela impediscono.
Fin dall’antichità, il conflitto tra creatività e controlla sociale è una costante. Già nell’Iliade incontriamo personaggi che affermano come a volte, per un istante, si sentono oscurati, come se qualche demone impedisse loro di pensare. Dalla concezione dei demoni che impediscono il pensiero, agli inquisitori, fino ai controlli sociali dell’epoca moderna, l’intelligenza creativa si scontra con le regole autoritarie della società.
Socrate rappresentava la forza creatrice attraverso l’intelligenza e il dialogo, ma lo stato ateniese ne fu impaurito e lo condannò a morte. Socrate, ricchissimo d’immaginazione, cercava di stimolare la gente a ragionare attraverso il dialogo, per raggiungere la conoscenza di se stessi, per ricercare la verità, per arrivare alla sapienza. Fu condannato a morte con l’accusa di corruzione della gioventù. Dal punto di vista di chi lo ha giudicato, dare impulso allo sviluppo del libero pensiero dei giovani era quindi considerato corruzione.
“Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle”, scrive Dante (Purgatorio, Canto XXXI, v. 106), che ho sempre citato per la sua indipendenza di pensiero e per la fantasia, era un individualista e riteneva, in un’epoca come quella medievale, che le sue opinioni dovessero essere rispettate sia dal potere temporale, quello di Firenze, sia da quello ecclesiastico di Roma. Basta leggere la Divina Commedia per vedere cosa ha scritto, quando definisce il Vaticano la cloaca del sangue e della puzza e quando mette i papi nell’inferno.
Gli artisti e i pensatori di ogni epoca hanno trovato ostacoli e repressione, con la condanna a morte, con la reclusione e i trattamenti psichiatrici, oppure con l’esclusione. Torquato Tasso è stato rinchiuso nella torre di Sant’Anna, perché il suo modo di pensare era stato ritenuto sospetto. Vincent Van Gogh è stato internato in manicomio, come Antonio Ligabue e Antonin Artaud, che è stato sottoposto all’elettroshock. Charles Baudelaire è stato addirittura interdetto, perché il suo modo di essere e di pensare non corrispondeva alla moralità dei costumi, come la chiama Friedrich Nietzsche, cioè quei costumi che sono stabiliti e imposti con la forza. Ci sono persone che col pensiero sembrano disturbare la tranquillità delle persone perbene, sottomesse al potere costituito.
Ritornando ai giorni nostri, Il Piccolo Principe è un’opera in cui la fantasia prevale su tutto il resto: quello che è simile al reale è scartato, mentre conta quello che è immaginario. Per questo motivo, come pure Alice nel Paese delle Meraviglie o Pinocchio, non possono essere inquadrate; hanno un testo semplice, ma ricco di pensiero, adatto sia ai bambini sia agli adulti. Libri semplicissimi, ma di una ricchezza che non finisce mai: la fantasia. Sono testi che non hanno fine, anche per la figurazione; sono stati, infatti, reinterpretati numerosissime volte.
Il Piccolo Principe fa volare la fantasia: il pilota trascorre la sua vita da solo, senza nessuno con cui parlare, in quanto le persone importanti a cui sottopone il suo disegno vedono solo un cappello – i “grandi” si riferiscono solo alle forme che sono accettate – poi, finalmente, incontra il Piccolo Principe, che gli chiede di disegnare e che capisce i suoi disegni; e, alla fine, il pilota, Antoine de Saint-Exupéry stesso, è scomparso nella vita reale come se facesse parte di questa sua opera.
Anche oggi la fantasia è guardata con sospetto e gli artisti sono sopportati con fastidio. Nel ’68 gli studenti parlavano di fantasia al potere, era un paradosso, una sfida, un modo di dire: la fantasia avrebbe dovuto sovvertire il potere, superarlo, per costruire una società nuova. Tuttavia la fantasia e il pensiero libero, non vanno d’accordo con un sistema che ha bisogno di situazioni prevedibili e controllabili, e vuole mettere limiti precisi. La fantasia, al contrario, non è né prevedibile né controllabile. Questo conflitto, messo in luce dal Piccolo Principe, sta diventando, ora, sempre più pressante, anche perché viviamo in un’epoca in cui la fantasia va scomparendo. Al contrario la fantasia dovrebbe essere presente anche nella politica. Goethe diceva: <io amo chi brama l’impossibile>. Perché chi brama l’impossibile è chi immagina e sogna un mondo nuovo, lavora per una società diversa, vuole fare la rivoluzione per avere una società differente. Ora invece ci si ferma sul dato di fatto, senza andare oltre. Siamo nella civiltà dei supermercati, una civiltà in cui veniamo consumati. I giovani non hanno punti di riferimento e le persone sono scoraggiate, per cui si accetta lo stato delle cose.
L’immaginazione, anche nei regimi per così dire democratici, che sono democratici soltanto in parte, è diventata sempre più estranea ai costumi della nostra società e, anche se a volte viene accettata, è sempre controllata. Lo scontro tra creatività, intelligenza, immaginazione e le regole del sistema che cerca di soffocarli, è presente in tutte le epoche e con metodi diversi a seconda dei tempi, però il conflitto è sempre lo stesso. La qualità particolare del Piccolo Principe è quella di dare un impulso alla riflessione, al pensiero e mettere in luce lo scontro tra l’immaginazione e le organizzazioni del potere, tanto nel XX come nel XXI secolo. Quest’opera, come è stata immaginata da Vincenzo Jannuzzi, ma anche come è stata rivisitata nella traduzione realizzata con Erveda Sansi, è un inno alla poesia. Il lavoro è un trionfo dell’immaginazione, un’esaltazione del libero pensiero non sottomesso contro il conformismo; le persone importanti vedono solo il cappello ma solo chi non è conformista, ci vede altro.


Marzo 2016


Giorgio Antonucci.

Pubblicato il 18 November, 2016
Categoria: Notizie

Il “PREMIO GIORGIO ANTONUCCI” 2016





La serata avrà luogo sabato 26 novembre alle ore 15:00 a Firenze, presso l’Auditorium di Sant’Apollonia, in Via San Gallo 25A.

Il pomeriggio vedrà le premiazioni della Dott.ssa Eugenia Omodei Zorini e del Dott. Massimiliano Boschi, e sarà allietato dal piano del Maestro Andrea Passigli che suonerà musiche di Schubert e la prima esecuzione di “Sonatina fiesolana” per lui composta dal M° Anthony Sidney.

A seguire la presentazione del libro “La chiave comune” di Giovanni Angioli e la proiezione del filmato “Noris e Giorgio” di Anthony Sidney.


I premiati


Eugenia Omodei Zorini

Laureata in medicina nel ’65, desiderava capire qualcosa chi siamo e perché soffriamo, e sperava di farlo attraverso lo studio della psichiatria. Presto si rese conto di come questa disciplina ignorasse e svalutasse profondamente l’essere umano, e scelse la specializzazione in psicologia clinica, anche se sei mesi di lavoro in reparto furono sufficienti a rivelarle la disumanizzazione della pratica medica.

Nel ’69 si sentiva parlare di Gorizia, di Basaglia e dell’antipsichiatria. La dottoressa Omodei Zorini approdò al servizio di Igiene Mentale di Reggio Emilia, dove lavorò con Giorgio Antonucci e condivise il suo approccio ai problemi mentali. Dal ’95 insegna alla Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica, per trasmettere ai giovani la sua esperienza, nella ricerca di un rapporto non violento e fondato sul rispetto della persona.


Massimiliano Boschi.

Nato a Bologna, è emigrato in Alto Adige nel 2012. Giornalista pubblicista, collabora alle pagine culturali del Corriere del Trentino e dell’Alto Adige. In passato ha collaborato con “Diario della settimana”, “Micromega” e il “Venerdì di Repubblica”. Da anni lavora a una biografia su Giorgio Antonucci.


Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus – è lieto di presentare il “Premio Giorgio Antonucci 2016” in onore dei Difensori i Diritti Umani nel campo della salute mentale.


Ringraziamenti al “Premio Giorgio Antonucci”:
“http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2015/12/22/premio-giorgio-antonucci-ringraziamenti-di-jan-eastgate-foto/”


Le passate edizioni del “Premio Giorgio Antonucci”:
http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2016/10/03/sesta-edizione-del-premio-giorgio-antonucci-premiati/

Pubblicato il 15 November, 2016
Categoria: Notizie

Ricordi di pace e di guerra – Giorgio Antonucci






“Se moro, ricopritemi di fiori
e sottoterra non mi ci mettete:
Mettetemi di lì de chelle mura
Dove più volte vista mi ci avete”
Da un rispetto toscano musicato da Ugo Wolf
Giorgio Antonucci –

Firenze Maggio 1983

In quella sala anatomica di via Alfani, all’istituto di anatomia normale, mi pareva che gli ostacoli sulla via della conoscenza, fossero teoricamente infiniti, e che fosse in pratica impossibile laurearsi in medicina.
Il corpo di una giovinetta quindicenne, portato il giorno prima, era già oggetto dell’interesse anche licenzioso di un gruppo di studenti.
Io me ne stavo da una parte con un cuore in un vaso di formalina a cercare di capirne la struttura contorta in aperto conflitto con la mia scarsa capacità di concentrarmi almeno in quell’ambiente.
In quel periodo la notte facevo sogni spaventosi con corpi che si contorcevano nelle fiamme o con mani bianche che mi stringevano. Tra gli studenti universitari io (abituato alla vita più familiare) mi sentivo completamente estraneo e fuggivo via spesso perché mi sentivo addosso l’impressione spiacevole di essere di troppo. Del resto i miei diciassette anni erano d’una tristezza che raramente poi ho ritrovato di nuovo.
Non riuscivo a capire dove era che gli altri giovani miei colleghi trovavano la loro sicurezza che spesso anche si trasformava in esuberanza.
Mi ritiravo per conto mio e al più presto mi allontanavo facendo lunghe passeggiate per la città da solo e tra sogni a occhi aperti puramente immaginari e impossibili a realizzarsi.
La morte (che vedevo nei corpi della sala anatomica) mi pareva a portata di mano, sul punto di verificarsi, e mi angosciava il vuoto d’esperienza che mi sentivo dentro.
Era la conoscenza intuitiva del distacco dalla vita reale in cui mi avevano educato. Ero un giovinetto cerebrale, con niente corpo, oppure con un corpo che mi pesava come un’appendice superflua.

Un rapporto col corpo soltanto al negativo era dovuto a una molteplicità di esperienze che andavano dal disprezzo culturale del corpo in genere, al disprezzo del proprio corpo individuale visto come qualcosa di irrimediabilmente difettoso.
E questo doppio concetto concavo era stato costruito colpo su colpo fin dall’infanzia.
Naturalmente non era legato a nessun difetto reale: mia madre mi diceva sempre: – non vedi che sei magro come uno stecco -.

A livello astratto la religione m’era sembrata inaccettabile e ridicola fino dai dodici anni quando ero un lettore ammirato del “Dizionario filosofico” di Voltaire e già da tempo avevo in antipatia l’autoritarismo o ipocrita o brutale dei preti che avevo conosciuto.
L’orgoglio dell’individualità e l’insofferenza alla sottomissione sono una delle mie esperienze interiori più antiche.
Però pareva un paradosso questa congiunzione dell’individualismo più spinto con il sentirsi di troppo e in condizione d’inferiorità in ogni momento.
Non riuscivo a capire quali sarebbero stati gli effetti di questa stessa mescolanza.
A volte così pensavo che sarebbe stato molto meglio morire subito (visto che poi in realtà non sarebbe cambiato niente) e andavo a passare pomeriggi interi fino a sera davanti ai binari della stazione del Campo di Marte.
Ma era anche questa una fantasia irrealizzabile.
Era un altro modo di sognare a occhi aperti, aiutato anche della mia passione per i treni che mi s’era sviluppata fin da bambino.
Il professore di anatomia era un ometto opaco che faceva lezioni pignole sugli strati del pelo e che nella sua giovinezza, si diceva, era stato molto fedele al fascismo.
Il custode della sala anatomica era un uomo grasso e grosso che preparava i pezzi di cadaveri con l’accetta e si chiamava Dante.
L’istituto di via Alfani era un labirinto di stanze e di chiostri, che a me pareva uno di quei luoghi in cui si entra e poi non si trova più la via d’uscita come succede spesso in sogno.
Una volta lì io mi ero rifugiato in un sotterraneo per sfuggire ai cacciatori di matricole.
L’Università degli anni ’50 a Firenze era una istituzione morta con studenti timorosi e conformisti che si preoccupavano di informarsi in anticipo delle domande che i professori avrebbero fatto agli esami legate all’ignoranza e ai pregiudizi che quegli individui nulli di cultura e privi di immaginazione si erano portati in cattedra. I professori venivano tutti dalla cultura anteguerra basata esclusivamente sulla sottomissione alle autorità e sulla chiusura totale ad ogni tipo di emancipazione sociale.
Fu ad Arcetri alle lezioni di Fisica che conobbi per la prima volta Jervis, uno studentello diligente e presuntuoso con la puzza sotto il naso che viveva già da privilegiato perché veniva da una famiglia bene.
I più disprezzati erano gli studenti che venivano di fuori città e non avevano una famiglia importante.
Io in quel tempo leggevo con molto interesse un librettino sugli esistenzialisti che a proposito di Kafka portava un capitolo col titolo che definiva lo scrittore come uno straniero nella città degli uomini. Mi ricordo che per questo comprai i “Diari” di Kafka e cominciai a occuparmi delle sue poesie e del suo pensiero. Allargavo le mie letture che in precedenza per le poesie erano state prevalentemente leopardiane. Al liceo la mia passione per Leopardi poeta e pensatore era per lo più ritenuta una stravaganza da considerarsi con sospetto e con ironia specie in un ragazzo come me già chiaramente orientato a non accettare passivamente l’ipocrisia moralistica e la retorica culturale degli insegnanti. Particolarmente disgustosi erano gli insegnamenti di religione.
La corruzione morale che deriva dall’etica cattolica pervade gli uomini fino al midollo delle ossa. L’ambiguità diventa apparentemente un fatto naturale.
Devo dire che nella mia famiglia non erano religiosi né mia madre né mio padre. Però i pregiudizi della morale religiosa arrivano anche per via indiretta.
Altra cosa è pensare ore intere nella penombra di Santa Maria del Fiore a riflettere sulla morte e a guardare i cavalli antichi disegnati dai pittori.
Nei miei anni di Liceo pensavo che una conoscenza dettagliata del corpo umano, come avrebbe dovuto fornire la medicina, sarebbe stata molto utile per capire meglio il significato del nostro essere nel mondo. Avevo scelto la medicina (invece che l’ingegneria o la fisica come avrebbe preferito mio padre) si può dire per ragioni filosofiche, o meglio per affrontare più da vicino il problema della conoscenza da cui pensavo che sarebbero derivati logicamente principi di vita pratica.
In questa logica l’interesse per l’anatomia e per l’istologia erano grandi e a livello teorico mi parevano un’avventura straordinaria.
Così mi ero internato da solo nello studio del grandioso “Trattato di istologia” del Levi cercando di approfondire al di là delle strutture minute delle cellule anche i problemi chimici e fisici a cui rimandavano.

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Pubblicato il 12 October, 2016
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Intervista al dottor Giorgio Conciani – di Giorgio Antonucci

 

 

 

Il dottor Giorgio Conciani, ginecologo fiorentino, 54 anni, è uno dei protagonisti della trasformazione della cultura italiana negli ultimi anni.
Fin dai primi tempi della sua attività scientifica si è interessato con successo al superamento della grave situazione in cui si trovava il nostro paese in rapporto al fenomeno dell’aborto clandestino.
Ha introdotto in Italia dall’Inghilterra la tecnica moderna dell’aborto per aspirazione.
In collaborazione con De Marchi e con l’AIED, mediante il costituzionalista Barile ottenne dalla Corte Costituzionale il riconoscimento della legittimità della propaganda anticoncezionale.
Lavorando con il CISA ((?)) e con alcuni esponenti radicali partecipò alla preparazione del referendum di cui derivò la legalizzazione dell’aborto.
Attualmente è di nuovo al centro dell’attenzione delle cronache perché è uno tra i pochi chirurghi che praticano in Italia la sterilizzazione maschile.
Firenze, 1983

In molti paesi dell’Est la sterilizzazione non solo è lecita, ma è raccomandata e incoraggiata in tante maniere, a volte addirittura con premi in denaro. Così anche in India. Poi in generale i paesi protestanti non hanno difficoltà, siccome da loro l’individuo conta di più e la religione incoraggia la scelta individuale. I problemi sorgono invece nei paesi a forte componente cattolica come la Spagna il Portogallo l’Italia.
Per i paesi dell’Islam ci sono da considerare altri problemi di costume come la differenza sociale tra uomini e donne che è molto più accentuata che da noi.
Ma in Tunisia che è a mio parere uno dei paesi islamici culturalmente più avanzati il governo incoraggia moltissimo la sterilizzazione, però si preferisce quella femminile. Così pochissimi uomini e molte donne. Quando c’è il premio, se mai è il marito che accompagna la moglie, la porta a farsi l’operazione come una capretta. E dice “ sterilizzati e piglio i soldi”.
Domanda:
Ora dimmi un po’ sempre in materia di contraccettivi per l’uomo ho sentito parlare e ho letto che ci sarebbe “la pillola maschile”. Cosa ne pensi?

Risposta:
C’è infatti una ricerca in questo senso per vedere se si potesse bloccare la formazioni degli spermatozoi. In effetti gli spermatozoi sono tanti milioni e il pensiero di poterli bloccare tutti fa cadere le braccia se si pensa quanto più semplice bloccare un solo ovulo al mese com’è nel caso della fisiologia delle donne.
Per ora le sostanze che sono state studiate per bloccare la formazione degli spermatozoi in verità non sono innocue. Le sostanze ormoniche di tipo femminile che provocherebbero una castrazione medica temporanea – se ne parlato negli Stati Uniti a proposito di casi di stupro come ipotesi di intervento giudiziari, cioè su incarico del tribunale- procurano nell’uomo modificazioni fisiche come lo sviluppo del seno e probabilmente anche impotenza, per cui proporle come anticoncezionali è una contraddizione in termini e penso proprio che l’indice di gradimento non sarebbe molto elevato!
I Cinesi avevano trovato una sostanza che viene fuori dall’olio del cotone, ma si è visto che è un prodotto ad alta tossicità, specialmente per il figlio.
Per cui per ora il controllo delle nascite per “pillola maschile” non è proponibile.

Domanda:
Ecco ora parliamo della “pillola femminile” perché come tu sai le opinioni sul suo uso non sono concordi. Ci sono donne che non le usano perché hanno paura che sia dannosa alla salute. Tu cosa ne pensi?

Risposta:
Per capire questa contraddizione bisogna tener conto che sugli anticoncezionali c’è stata sulla stampa una campagna contro da parte dei moralisti. I moralisti dicevano: “se si toglie la paura della gravidanza si scatena la libidine”.
Però queste pure dei moralisti sono nettamente contraddette dalla realtà. Adesso noi ormai abbiamo alcune decine di anni di pratica della pillola e le donne che erano misogine prima son rimaste misogine anche dopo, e anche quelle che non erano misogine non hanno cambiato.
Non c’è stato in pratica nessun cambiamento di comportamento. Evidentemente nel comportamento della donna ci sono motivi psicologici molto più profondi che non la paura della gravidanza.
Però la remora moralistica ha portato a una cattiva stampa e a una informazione sbagliata.
Anche i medici, che in genere, come sai, sono conservatori, si sono dedicati di più a calunniare la pillola che non a fornire una reale informazione scientifica.
Così hanno cominciato ad associare arbitrariamente la pillola con il cancro, la pillola con malattie della circolazione ecc, e hanno seminato la paura e il dubbio nell’opinione pubblica.
Pi c’è anche la contraddittorietà dell’animo umano e la complessità della psicologia.
Infatti la donna che ragionevolmente dovrebbe prendere la pillola, però certe volte non la prende perché preferisce rischiare anche magari di restare incinta. La vita sessuale non è una cosa semplice. Come tutti dovremmo sapere.
Lo dimostra anche il fatto che nella sessualità il limite tra il piacere e il dolore è abbastanza sfumato, si può facilmente passare dal piacere al dolore e viceversa. Così fra le componenti stimolanti ci può essere anche il rischio. Il rischio può essere anche una risposta di liberazione nei riguardi del senso di colpa.
Così si spiega come alcune donne sembra che i guai se li vadano a cercare. Noi abbiamo statistiche apparentemente incredibili di donne che recidivano nell’aborto quando sembrerebbe più logico evitarlo.

Domanda:
Questo discorso mi fa venire in mente le contraddizioni che ci sono anche sul concetto di violenza sessuale. Cosa puoi dirmi a proposito?

Risposta:
Posso dirti che secondo me è difficilissimo discutere una legge sulla violenza sessuale se si sa quali sono le differenze individuali tra i modi di pensare su questo argomento: che cosa è violenza e che cosa no, non è facile a dirsi e cambia assai da una donna all’altra, perché per una donna può essere violenza un pizzicottino sul sedere e per un’altra può non essere violenza anche un rapporto completo.
Per questo io non ci tengo affatto a essere chiamato a discutere schemi di comportamento. Però tengo a dire che la sessualità non è per nulla “quel rapporto tra uguali” che alcuni vorrebbero. E’ una mescolanza d’impulsi di cui fan parte anche un tanto di aggressività e di desiderio di sopraffazione. E’ certamente un cocktail assai complicato.

Domanda:
Tu sei uno di quelli che in questi anni con chiarezza ha posto dei problemi nuovi in una società arretrata e bigotta come la nostra. Per questo vorrei che mi parlassi della tua storia.

Risposta:
La mia storia è una progressione. Fin dai primi tempi, quando ero laureato e facevo la scuola di specializzazione in ginecologia, vedevo che la gravidanza non voluta era un problema gravissimo, perché l’unica soluzione possibile era l’aborto clandestino.
L’aborto clandestino era criminale in tutti i sensi perché per praticarlo venivano usati mezzi medioevali, per cui le donne pagavano dei prezzi altissimi., spesso anche la morte.
A me sembrava altamente immorale che tutte le conseguenze dell’atto sessuale dovevano ricadere sulla donna.
Così appena specializzato (si era alla metà degli anni ’50) mi misi in contatto con De Marchi, segretario dell’AIED, per organizzare una filiale di questa organizzazione, che serviva da consultorio per l’informazione su questi problemi e per la pratica anticoncezionale. Allora la pillola non c’era in Italia e noi facevamo venire le pillole di contrabbando dagli Stati Uniti.
Come anticoncezionali si usavano più che altro il diaframma vaginale e altri metodi di barriera come ad esempio ovuli o preservativi che a quel tempo non erano neanche molto buoni. Così si fu incriminati perché la propaganda anticoncezionale costituiva, credo secondo il codice Rocco, la qualifica come atto significativo contro l’integrità della stirpe. Fummo processati e ne siamo usciti con l’amnistia. Comunque questi processi consentirono a De Marchi e all’AIED con il costituzionalista fiorentino Barile di far ricorso alla Corte Costituzionale la quale stabilì che, sulla base della libertà di espressione sancita dalla Costituzione, la propaganda anticoncezionale doveva ritenersi legittima. Di conseguenza anche le pillole furono messe in vendita con la scritta di anticoncezionali, mentre prima erano vendute come regolatori delle mestruazioni secondo certe finezze di ipocrisie all’italiana. Intanto io, mentre ritenevo intollerabili i misfatti dell’aborto clandestino, vedevo che via via nei paesi più avanzati venivano nuove leggi sulla regolazione dell’aborto come negli anni ’72 e ’73 in Inghilterra e negli Stati Uniti. Invece paesi come l’Olanda facevano l’aborto ufficialmente nonostante che sia rimasto illegale.
Questo è un caso in cui i costumi hanno esplicitamente sopravanzato la legge.
Nella Svezia e nei paesi dell’Est l’aborto era legale da un’infinità di tempo.
Intanto io andai a Londra a fare un corso di aggiornamento sugli anticoncezionali e in un ospedale londinese assistetti alla nuova tecnica dell’aborto per aspirazione che io stesso ho poi introdotto in Italia. Un metodo semplice rapido e non pericoloso praticato con anestesia senza sofferenza per la donna.
Mentre da noi ancora le donne continuavano ad andare a morire dalle mammane con il prezzemolo come nel Medioevo.
Allora decisamente io dissi a De Marchi, segretario dell’AIED e traduttore ufficiale di William Reich in Italia, che bisognava affrontare senza esitazioni il problema dell’aborto. Ma lui stesso, pur essendo d’accordo con me, non se la sentì di entrare direttamente in queste iniziative. Nel frattempo si era formato un gruppo in seno al partito Radicale – siamo negli anni ‘73/’74 – che a Milano aveva fondato il CISA – di cui facevano parte tra le altre Adele Faccio e Emma Bonino e aveva tra gli (((animatori))) Guido Tassinari che in seguito sarebbe stato il promotore dell’Associazione per la Sterilizzazione. Così cominciò la mia collaborazione con i radicali, che per me andava bene perché come orientamento politico sono sempre stato un liberale libertario.
Nel gennaio del’75, dopo un anno di lavoro, ci lo scandalo della mia villa qui a Firenze, dove facevo gli aborti in stretto rapporto con il CISA.
Quello per me fu un periodo della vita veramente interessante. La clinica, organizzata da me, funzionava molto bene, si interveniva con la tecnica dell’aspirazione che, come t’ho detto, avevo imparato in Inghilterra; gli interventi, svolti in anestesia generale, duravano 10 minuti: e la donna era assistita e consigliata prima e dopo con il più alto grado di professionalità medica e paramedica. E a prezzi modici.

Domanda:
Ma poi cos’è accaduto con la magistratura?

Risposta:
Ecco cominciarono le disavventure con l’intervento del potere pubblico, lo smantellamento della Clinica, e l’incarcerazione mia, di Gianfranco Spadaccia e della Adele Faccio. Allora la Bonino si rifugiò all’estero.

Domanda:
E qual’era l’accusa?

Risposta:
L’accusa precisa era per associazione a delinquere aggravata. Fu la prima volta che fui incarcerato. Anche gli infermieri che lavoravano per me ebbero un sacco di fastidi e di complicazioni per il loro lavoro e per la loro vita privata.
Però questa azione è stata la premessa dell’iniziativa di raccolte di firme per ottenere il referendum sull’aborto.
Il referendum sull’aborto fu un’idea geniale di Pannella, che allora ancora ne aveva, e la raccolta delle firme, organizzata anche con pochi mezzi, fu un’esperienza entusiasmante a cui io partecipai direttamente.
Fu un avvenimento culturale nuovo e spontaneo che portò rapidamente alle cinquemila firme che servivano.
Poi siamo arrivati alla legge sull’aborto, che pur non essendo del tutto convincente, comunque ha dato una botta mortale all’aborto criminoso, che oggi è quasi scomparso.
Ma prima di arrivare a questo risultato allora, dopo lo smantellamento della Clinica, con il CISA continuammo ad intervenire per fare gli aborti quasi di nascosto di casa in casa. In questo modo, in due anni dal’75 al’77, ((( ))))))) arresti, mi sono fatto se ricordo bene, almeno sei mesi di carceri. Così ho una bella esperienza personale anche sul carcere in Italia.

Domanda:
Ecco che cosa ti ha fatto capire di preciso la tua esperienza di detenuto?

Risposta:
Forse quelli che si sopravvalutano vanno incontro a una esperienza abbastanza singolare. Tutto di colpo ti accorgi che non sei nessuno, ti trovi in una perdita d’identità. Tra l’altro in prigione uno che conta può essere il Valanzasca o un bandito pluriomicida, il dott Conciani non esiste, nemmeno ti considerano più dottore, oppure ti chiamano dottore per prenderti in giro. Per esempio nell’iniziazione della massoneria ti tolgono tutti gli oggetti personali per farti provare la spoliazione, per farti vedere come ci si sente senza tutte le cose proprie. Così in carcere ti tolgono tutto.

Domanda:
E’ la stessa cosa che si fa nei campi di concentramento e nei manicomi…..

Risposta:
….certamente, e poi ancora sei costretto a conoscere da vicino la violenza gratuita, te vedi uno che viene fatto ubriacare e poi a forza di spinte gli spaccano tre o quattro ossa solo per divertirsi, per fare quattro risate, gli uomini sidetti in cattività diventano, come del resto anche gli animali, più aggressivi e più violenti, per cui in questa collettività chiusa si verificano i giuochi più crudeli e gli episodi più feroci. Anche se la violenza di questo tipo non manca di certo fuori.

Domanda:
Ritornando al discorso sui costumi sessuali, vorrei sapere che cosa è cambiato secondo te in questi anni in Italia? Si vive diversamente o si vive come prima?

Risposta:
Direi che qui da noi la “rivoluzione sessuale” non ha fatto grandissimi progressi. E’ certo che c’è una maggiore libertà là dove le condizioni economiche sono migliorate. E’ vero per altro che alcuni tabù come per esempio quello della verginità sono un po’ svalutati, ma di qui a parlare di libertà sessuale o di amore libero, direi che ce ne corre. Da noi in Italia queste cose sono ancora da letteratura. Tanto più che dopo il salto in avanti, come tu sai, c’è stato il salto indietro.
Socialmente uno dei fenomeni che è balzato alla ribalta in maniera clamorosa nelle ultime decine d’anni, e che non era da prevedere, è quello dell’omosessualità. L’omosessualità ora è molto più palese e molto più accettata.

Domanda:
Secondo alcuni, anche a livello di teorie psicologiche, l’omosessualità è una parte naturale della sessualità di ognuno, secondo altri invece è un ripiego, tu cosa ne pensi?

Risposta:
Naturalmente tu trovi sia quello che ha una esperienza omosessuale momentanea, non so ad esempio durante il servizio militare, poi ritorna alle donne, sia quello che segue l’omosessualità anche per tutta la vita, poi c’è chi è bisessuale e così via. Anche tra le donne c’è la stessa varietà. Come ti dicevo, nella sessualità, se la vediamo senza preconcetti, ci sta tutto, è una cosa vasta che non può essere ridotta a schemi. Come nell’arcobaleno sono previsti tutti i colori così nella sessualità sono previste tante soluzioni.

Domanda:
E la società come deve regolarsi?

Risposta:
Secondo me, quando non c’è violenza della personalità dell’altro come succede ad esempio nella pederastia, devono essere rispettate tutte le scelte. Se uno vuol fare l’asceta può anche farlo, ma dev’essere una scelta sua.

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Pubblicato il 6 October, 2016
Categoria: Notizie

La Sesta Edizione del “Premio Giorgio Antonucci” – I Premiati




La sesta edizione del “Premio Giorgio Antonucci” per la riconoscenza di merito nella difesa dei diritti umani dei cittadini pazienti – loro – malgrado della psichiatria, è stato vinto da Eugenia Omodei Zonini (http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net/2009/04/14/recensione-di-eugenia-omodei-zorini-diario-dal-manicomio-ricordi-e-pensieri-giorgio-antonucci/) e Massimiliano Boschi (http://www.arcoiris.tv/scheda/it/2406/)



La cerimonia sarà a Firenze, in vi San Gallo, il 26 novembre 2016.

Le passate edizioni:


La prima edizione, nel 2008, è stato premiato Piero Colacicchi (https://www.youtube.com/watch?v=Yo4REP7KH50).


La seconda edizione sono stati premiati Massimo Golfieri (https://www.youtube.com/watch?v=yeI19yvXt9Q) e Giovanni Angioli (https://www.youtube.com/watch?v=UZ-yLEAfaog).


La terza edizione sono stati premiati Maria D’Oronzo (https://www.youtube.com/watch?v=-xiwU3Z5NAk), Valentina Giovanardi e Andrea Passigli


Video della cerimonia del “Premio Giorgio Antonucci” 2013



La quarta edizione sono stati premiati Stefania Guerra Lisi Aldo D’Amico (https://www.youtube.com/watch?v=8bD4p8POzsQ), Vito Totire (https://www.youtube.com/watch?v=dqAWeZ_nXOc).


La quinta edizione sono stati premiati Giuseppe Garuti (https://www.youtube.com/watch?v=fuJCUE3L2OU), Maurizio (), Armando Verdiglione (https://www.youtube.com/watch?v=20it0ohR7Sw) Eugen Galasso (https://www.youtube.com/watch?v=vp-9-2cFjwk).

Pubblicato il 3 October, 2016
Categoria: Notizie, Testimonianze

Istituto Psicosintesi di Firenze – Riunione: Roberto Assagioli – Giorgio Antonucci

Istituto Psicosintesi di Firenze
Archivio Assagioli – Firenze – anni ‘60
Riunione: Roberto Assagioli – Giorgio Antonucci
Esperienza Spirituale





Cirenei:
A me pare che queste esperienze siano estremamente varie e che ci possono essere delle esperienze di tipo estetico, e di tipo invece di “volontà di potenza”, cioè di risveglio di tendenze diversissime negli esseri umani, che si possono chiamare tutte spirituali: ogni esperienza di potenziamento interiore è spirituale. Quali sono allora le caratteristiche specifiche di un’esperienza che si può chiamare spirituale?

Assagioli:
Qui si entra in un campo un po’ difficile, ma che mi dà l’occasione, pur non essendo d’accordo, di sviluppare un punto molto interessante. Si può dire che ogni manifestazione umana – non spirituale o anche anti-spirituale – non sia che il riflesso, la “de-gradazione” nel senso etimologico, la discesa o la perversione, o distorsione, di qualcosa che in origine è spirituale. Questo schema mi dà il modo di illustrare chiaramente questo concetto. Come abbiamo detto, la nostra realtà, la nostra vera realtà, quello che siamo in spirito e verità, è il nostro Sé spirituale, il nostro Io spirituale, il quale poi è in comunicazione, è una particella della grande Realtà Universale.
Orbene, questo Sé, questo Io spirituale, si proietta, si manifesta e discende – per così dire – nella coscienza personale. E questo punto qui è appunto la sua scintilla, la sua proiezione, l’io personale. Purtroppo avviene questo, che l’io personale non sa o non riconosce la sua origine, non sa che la sua stessa esistenza discende dalla sua origine, e allora si chiude nel guscio della propria personalità egoistica, egocentrica, e questo non è più spirituale perché si trova a un livello del tutto diverso. La volontà di potenza dell’io personale è una vaga eco, un senso di avere in sé dei poteri e delle potenzialità, e l’io cerca di sugli altri e contro gli altri; ma in questo è diventato appunto una perversione, un’inversione della potenza dell’Io spirituale. E così per tutte le altre espressioni. L’amore spirituale, universale, generoso e irradiante del Sé spirituale, diventa ad esempio un amore egoistico, accaparrativo, possessivo, geloso, ecc.; e così per ogni altro aspetto della personalità umana. Quindi potenzialmente e originariamente come senso profondo sono tutte espressioni spirituali, ma nella vita personale, individuale e collettiva, diventano di fatto non-spirituali o anti-spirituali.

Antonucci:
Lei parla spesso di un Sé spirituale e di un ordine universale oggettivo a cui questo Io si riferirebbe, da cui scaturirebbe. Cioè, questo Io spirituale, immutabile, come Lei ha detto anche in una lezione, ha ragion d’essere in un universo oggettivo di carattere divino, in una trascendenza.

Assagioli:
Come ho detto altre volte, il paradosso – che sembra una contraddizione sul piano della logica puramente umana, ma che invece è una meravigliosa realtà – è che il Sé spirituale è allo stesso tempo individuale e universale. E’ individuale in quanto “in-forma” e prevede, o tende a prevedere l’individuo cosciente e non cosciente, è universale in quanto partecipa, emerge o deriva dalla Vita universale, dalla Realtà universale. Non c’è nessuna contraddizione, è un’auto-limitazione, per così dire.

Antonucci:
No, io volevo dire questo, che se una persona ad esempio, dal punto di vista critico filosofico, pone in dubbio l’esistenza di un Sé spirituale e universale…..

Assagioli:
Oh, molti lo negano, o non lo riconoscono, l’uomo normale lo ignora.

Antonucci:
No, non parlo di quelli che lo ignorano o lo negano, porre in dubbio è diverso dal negare, perché io posso negare l’esistenza divina, in questo senso sono sicuro che Dio non esiste, oppure io posso dubitare dell’esistenza divina.

Assagioli:
Ah sì, è una questione diversa, quella negativa, o quella agnostica e dubitativa.

Antonucci:
Ecco, la posizione agnostica toglie completamente le basi a questa distinzione morale che ha fatto Lei, cioè l’io egocentrico, egoista e l’io altruista, hanno un fondamento in questo mondo spirituale. Una volta posto in dubbio questo mondo spirituale, si può ad esempio sostenere – come ha fatto Nietzsche – che la volontà di potenza non vale meno di altri impulsi. Non vorrei che Lei mi fraintenda, personalmente non ho nessuna inclinazione verso quelli che esaltano la volontà di potenza, cerco solo di vedere quali sono le basi oggettive della questione, perché mi interessa dare un fondamento oggettivo alla morale, che possa veramente contrapporla alla volontà di piacere o alla volontà di potenza.

Assagioli:
Anzitutto qui ci vuole una precisazione: fortunatamente non occorre né l’esperienza, né la fede nella Realtà trascendente, in Dio, per avere dei sentimenti e delle spinte morali e un amore altruistico; non occorre. Ci può essere il sentimento altruistico, la spinta all’azione altruistica e l’amore generoso, altruistico, dissociati dalla conoscenza, senza la conoscenza. E difatti ci sono dei positivisti, addirittura degli atei, che hanno appunto una coscienza morale, anzi in un certo senso sono ancora più meritevoli degli altri, perché non hanno l’aiuto di una fede, di una conoscenza. Tutto ciò ci riporta al fatto che fondamentalmente queste cose non sono né teorie, né credenze, né dottrine filosofiche, sono invece esperienze. Quindi l’esperienza spirituale si può avere piena o parziale, si può avere l’esperienza mistica o dell’amore spirituale senza affatto quella della conoscenza; ci sono stati dei santi che non avevano grande intelligenza; si può avere la spinta altruistica, addirittura l’eroismo, la spinta spirituale con una mentalità primitiva e senza nessuna conoscenza o dottrina.
Quindi ciò che a questo livello è sintesi e pienezza, qui invece si dissocia scendendo in vari rivoli, in varie manifestazioni, in varie esperienze parziali. Io ho parlato dell’esperienza spirituale nel suo insieme, e come dice benissimo il prof. Cirenei ci sono svariatissimi tipi di manifestazioni, anche dissociati fra loro, come ho accennato or ora. Oggi ho voluto dare solo una visione panoramica e generale, che inquadra tutte queste differenze, non solo di tipi psicologici ma addirittura individuale; l’esperienza di ognuno in un certo senso è unica, non si ripete, ma sono tutte inquadrate in questa visione panoramica.

Antonucci:
Si, ma il problema qui non è risolto. Quando si tratta di esperienze, di esperienze interiori, uno può avere l’esperienza interiore dominante che è volontà di dominio, o anche odio, o anche furore contro tutti gli altri uomini, come può essere Hitler, un altro può avere invece l’esperienza interiore che è quella del santo, dell’altruista, o dell’asceta. Ora io dico: come si può levare questa soggettività, perché per l’uno l’esperienza della volontà di potenza è l’esperienza essenziale, è la più oggettiva, come per un altro la più oggettiva è l’esperienza della collaborazione umana, dell’amore per gli altri. Ora come si può trovare un criterio che non sia soggettivo, cioè che non si basi soltanto sull’esperienza interiore, ma che sia qualcosa di più razionale, qualcosa per cui il santo possa dire all’uomo della volontà di potenza: “ho ragione io”, o anche il contario.

Assagioli:
Ecco, posso risponderle subito. La soluzione della psicosintesi, ma che non è stata inventata dalla psicosintesi, è un fatto che tante volte si verifica spontaneamente: e cioè la sublimazione. La sublimazione consiste nel risalire dal livello della personalità egoistica verso, e nel caso limite fino all’origine, al Sé spirituale; quindi, né la volontà di potenza, né le altre pulsioni anche istintive vanno né condannate, né represse, ma vanno tutte riportate alla loro origine. E lì l’uomo non perde nulla, anzi guadagna molto; non perde la potenza, che diviene anzi più potente, ma lo diventa a un livello più alto e non più antagonistico, bensì costruttivo.

Cirenei:
Si potrebbe dire forse, non so se dico bene, che fra due uomini che hanno due concezioni contrastanti, quello che ha una concezione superiore è quello che riesce a capire l’altro.

Assagioli:
Benissimo, anzi direi quasi a dominare l’altro, nel senso buono. Quanto poi alle varietà dell’esperienza, c’è questo, che la funzione psicologica dell’intuizione, dell’immedesimazione, di quello che si può chiamare empatia – che si chiama ora in psicologia empatia – che permette una partecipazione all’esperienza altrui, anche senza averla spontaneamente o direttamente, appunto perché tutto potenzialmente, in germe, è in tutti; si tratta solo di latenza o di espressione. L’esperienza altrui può evocare una risonanza in noi, e aprirci la porta a un’esperienza cosimile; da cui appunto l’utilità di questa empatia. Un mezzo semplicissimo per attivarla è la lettura delle biografie dei grandi uomini, dei grandi esseri. Se uno si lascia immedesimare, vi compartecipa, e ciò evoca in lui la sua parte migliore.

Draghi:
Per collegarmi alla prima domanda, questo aggettivo “spirituale” che Lei attribuisce al Sé, lei dice il Sé spirituale, gli attribuisce un aggettivo: ma non possiamo anche attribuirgli l’aggettivo “divino”?

Assagioli:
Se Lei preferisce. Questo dipende dell’esperienza individuale. L’individuo religioso può attribuire a un Sé spirituale anche l’aggettivo divino; l’individuo che non fa un’esperienza religiosa può attribuire a questo Sé spirituale un altro aggettivo, ad esempio trascendente, che può comunque attribuirglielo perché trascende la persona. Mentre in una persona religiosa avrà una “coloritura” religiosa.

Draghi:
Comunque l’aggettivo polivalente è spirituale.

Assagioli:
Precisamente, per questo lo adopero, perché è neutrale, nessuna dottrina, nessuna teologia.

Draghi:
Quindi non c’è bisogno, secondo me, di dover anche ammettere…

Assagioli:
Giustissimo, per questo ho parlato in termini neutrali di realtà trascendente, di intelligenza cosmica, che sono tutti termini neutrali che ognuno può…

Draghi:
Ma per qualcuno può essere indispensabile anche considerarlo divino, perché si distrugge questo Sé se non è divino.

Assagioli:
Questa Realtà universale è un dato di fatto, ognuno può interpretare…

Draghi:
Sì, è un dato di fatto, volevo anche chiedere – così, indipendentemente dalla domanda fatta dal Dottore – se il termine junghiano Selbest è la stessa cosa che intende Lei, o se i termini non si corrispondono perfettamente.

Assagioli:
Ecco, come Lei ha intuito, non si corrispondono perfettamente, per l’atteggiamento direi un po’ diverso. Jung si mantiene in un campo rigidamente empirico, cioè lui parla di stati di coscienza, e il Selbest è uno stato di coscienza, ma non ci dice nulla sulla sua realtà trascendente. In lui direi che la concezione del Sé appare un po’ confusa e non sempre uguale: qualche volta lo chiama un archetipo, qualche volta un simbolo, qualche volta una funzione unificatrice fra conscio e inconscio. Ora tutti questi possono essere qualità o attributi del Sé, ma non sono il Sé, insomma lui non varca quella che in senso filosofico si può chiamare la barriera metafisica o mitologica, lui si attiene all’empirismo, e naturalmente ha il diritto di restare in questo agnosticismo empirico, ma d’altra parte – lo ripeto perché è essenziale – il Sé spirituale non è postulato da un sistema, è un’esperienza vissuta, e chi l’ha avuta non può dubitare della sua essenzialità, non della sua esistenzialità, esperienza, ma della sua essenzialità, cioè realtà per sé stante. Ora, a questo Jung non arriva o non vuole arrivare. Ecco, questa è la distinzione. Mentre al contrario il Frankl ci arriva, il Frankl ammette pienamente quello che chiama la dimensione noetica o mitologica, e quindi il Frankl va ltre Jung in questo senso, mentre Jung ha altre cose che Frankl non ha.

Antonucci:
Io vorrei fare una domanda alla Signora: che cosa intende lei per trascendente, cioè qualcosa che trascende il singolo individuo, che è uguale per tutti gli uomini? O qualcosa che trascende la vita stessa dell’umanità?

Draghi:
Si, questa è la distinzione fra… E’ tanto difficile rispondere sul momento.

Assagioli:
Mi sembra che questo esuli dal nostro campo già abbastanza vasto. Qui non entriamo in questioni né religiose né metafisiche, intese come concezioni: qui ci limitiamo a ciò che è esperienza, ed è già moltissimo.

Antonucci:
Lei dice che il Sé spirituale non ha bisogno di dimostrazioni. Se dice che è indimostrabile allora sono d’accordo, ma se dice che non ha bisogno di dimostrazione è del tutto diverso.

Assagioli:
Questo è ultra-razionale, non è dimostrabile razionalmente, è una di quelle – per ripetere una bella espressione di Bergson – un dato immediato dell’esperienza, della conoscenza. Come le sensazioni: il rosso, il verde, il giallo, non si possono né dimostrare, né trasmettere, sono un dato immediato; così la coscienza morale, così la coscienza estetica, così l’esperienza del Sé, tutti questi sono dati immediati della coscienza, che per chi li ha avuti non hanno bisogno di dimostrazione.

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Pubblicato il 28 September, 2016
Categoria: Libri

Pavlov e le emozioni – Eugen Galasso




-Gustave Coubert-


Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936), come studioso-pioniere e fondatore del “behaviorismo”, pur se avrebbe aborrito il termine, poi messo in auge da Watson e Thorndike e al di là di come si valuti poi il metodo, che è anche un orientamento , una “scuola” psicologica, fondata sullo schema (per dirla schematicamente) stimolo-risposta-rinforzo, si è cimentato, in un tardo scritto, “Il riflesso condizionato” (1935-cito dall’edizione italiana ne “I riflessi condizionati”, 2006, Roma, Newton Compton), nella tematica che aveva generalmente non affrontato, da fisiologo e neurofisiologo qual era (non psicologo), quella della psiche umana. A parte il fatto che parla della psicologia come “particolare branca della scienza”, condotta a suo parere “per migliaia di anni” (op.cit., p.232), quando invece bisognerebbe chiarire che: A)La psicologia quale scienza a sé stante nasce nell’Ottocento (Franz Gall, Wilhelm Wundt,  Pierre Janet, Jean-Martin Charcot,  Cesare Lombroso, e l’enumerazione è fatalmente limitata e riduttiva), al massimo troviamo singole intuizioni in autori del 1700 come John Locke, quando distingue, per es., tra qualità primarie (inerenti realmente alla realtà esterna) e secondarie (ossia dipendenti dall’individualità percettiva umana, come il caldo e il freddo, la percezione visiva e auditiva); B) Se parliamo di “psicologia” a colpi di intuizioni asistematiche e “rapsodiche”, ne è disseminata ogni fase delle creazioni culturali umane, scritte e non, dove allora varrebbe la considerazione pavloviana dei “millenni”; C) Pavlov è sostanzialmente convinto che la fisiologia (neurofisiologia, più correttamente) possa porsi come “clavis universalis” della psicologia, cioè risolverne i problemi. Una tendenza “meccanicistica” (Luciano Mecacci , curatore delle opere pavloviane, non sarebbe d’accordo, ma in sostanza si può dire così), che ri-vive oggi, con una strumentazione scientifica e  tecnologica ben diversa, negli studi di neuroscienze: una parte dei neuroscienziati è cauta, riconoscendo che molto è ancora da fare-scoprire, altri ritengono che tutto o quasi possa essere spiegato… Per dare solo un’idea del procedimento di Pavlov nello scritto citato, per non dilungare troppo l’argomentazione, egli, distinguendo tra “nevrosi ossessiva” e “paranoia”, afferma che nella seconda: “i gruppi di cellule colpiti saranno quelli preposti alle ricezione delle sensazioni e all’elaborazione dei concetti”, mentre per “stereotipia, perseverazione e iterazione esistono a causa di un’inerzia patologica dei processi eccitatori a livello delle cellule motorie”(cit., p.254). In altri termini: A 1) le definizioni della patologia psichiatrica per Pavlov sono intoccabili, valgono quali postulati  a priori, quando da decenni nonpsichiatria , apsichiatria, antipsichiatria (eventualmente con i trattini, se vogliamo e volete…); B1 ) Tutto sarebbe spiegabile in termini meramente biochimici e “organicistici”, pur se…forse, sentimenti e emozioni hanno un loro “specifico” che non è da ricondurre tout court a queste spiegazioni…   Certo, Pavlov scriveva quasi un secolo fa, pur se da pioniere, era imbevuto di una cultura e di uno “spirito del tempo” (espressione di cui abuso, lo so, ma scuserete chi trova efficace l’espressione hegeliana per dire di una particolare fase della cultura), mentre chi ancora, come allora Pavlov (che, da non-medico, si limitava a proporre l’elemento chimico in questione quale risolutivo di  determinate “patologie”, bisogna precisarlo) cura “paranoia” e “nevrosi ossessiva”, con il bromuro, forse non ha riflettuto, al di là della teoria, neppure sulle conseguenze di certe diagnosi e soprattutto sulle loro implicazioni terapeutiche.      Eugen Galasso  

Pubblicato il 18 September, 2016
Categoria: Testi

David Lazzaretti: sognatore o visionario? – Eugen Galasso





Nell’edizione dizione di sabato 23 luglio il “Quotidiano Nazionale” pubblica un’intervista a cura di Andrea Spinelli a Simone Cristicchi, intelligente showman, cantautore, attore, autore, regista, che stavolta “riscopre” teatralmente un grande dimenticato-inquietante dell’Ottocento italiano, David Lazzaretti, di Arcidosso (Arcidosso), “Il profeta dell’Amiata” (1834-1878- Lazzaretti muore ucciso da un “regio carabiniere” -un delitto di Stato? La tesi esiste.). Essendomi occupato parecchio di David Lazzaretti, con saggi e interventi vari, avendo avuto contatti (ovviamente da laico. non aderente) con la Chiesa giurisdavidica, ispirata da Lazzaretti, dirò che alcune affermazioni di Cristicchi sono sconcertanti: fatta salva la dinamica di un’intervista , che può dar adito a fretta e confusioni, dirò che Cristicchi, forse nell’entusiasmo per la cosa, afferma perentoriamente e apoditticamente: “Lazzaretti era un pazzo, un eretico, un sognatore. Uno che credeva di poter realizzare sulla terra una società nuova basata sulla pace e la fratellanza universale”. Poi invece parla di un “folle” ideologo di una rivoluzione possibile, perché si sa che “i manicomi traboccano di santi e i calendari sono pieni di visionari”: Se la seconda parte del ragionamento è in gran parte accettabile, da discutere senza critiche sostanziali, in parte “vera”, è la prima parte che è contraddittoria rispetto alla seconda(dove Cristicchi virgoletta “folle”) e in sé: tutti i “pazzi” sarebbero sognatori ed eretici? Ma poi, che cos’è la “pazzia” ? Risparmiando qui una riflessione su questo punto, non sarà invece che i differenti poteri hanno bisogno di emarginare qualcuno gridando al “pazzo”, se non serve più l’argomento religioso e la scomunica al'”eretico”, affermando che qualcuno è “sognatore” o “visionario” se progetta e prospetta realtà sociali e politiche migliori, più vivibili o almeno ritenute tali.   Vedremo volentieri “Il secondo figlio di Dio; vita, morte e miracoli di David Lazzaretti”, ossia lo spettacolo di Cristicchi, ma era interessante rilevare qualche aporia nell’approccio dell’artista, che riflette un modo entusiastico e non sempre troppo “scientifico” per rapportarsi a un personaggio e a un tema ancora “scottanti”.     Eugen Galasso 

Pubblicato il 26 July, 2016
Categoria: Notizie

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo