Risultato della Ricerca

DIARIO DAL MANICOMIO – Ricordi e pensieri – “Nella notte di guardia che restò con me, Luca Bramanti seguì con attenzione tutti gli avvenimenti e si interessò ai miei interventi.” – Giorgio Antonucci –


Nella notte di guardia che restò con me, Luca Bramanti seguì con attenzione tutti gli avvenimenti e si interessò ai miei interventi.
Mi seguiva in silenzio nei passaggi veloci da una parte all’altra dell’istituto dopo ogni chiamata, e andavamo in automobile o a piedi secondo le distanze o l’urgenza.
Fui chiamato quasi nello stesso tempo per due uomini in pericolo di vita per crisi acute da infarto, e una terza volta per un uomo in gravi condizioni per emorragia cerebrale.
Dovevo provvedere alle cure immediate e all’eventuale ricovero nel vicino ospedale civile, però i reparti non erano attrezzati per il pronto soccorso e il personale non era preparato e spesso non era nemmeno capace.
Chiedevo le medicine indispensabili per ogni occasione e necessità e gli infermieri e le infermiere trafficavano negli armadietti e nei carrelli senza riuscire a trovarle.
Spesso telefonavano in altre sezioni per trovare altri infermieri più capaci e attrezzati.
Per fortuna avevo con me un pronto soccorso che mi ero procurato apposta per ogni possibile evento.
Solo gli psicofarmaci si trovavano dappertutto in abbondanza.
Durante gli interventi mi venivano annunciati per telefono nuovi internamenti in arrivo.
Dovevo riflettere sul modo di revocarli e intanto dovevo preparare gli argomenti per convincere il giorno dopo il direttore.
Come ho già detto, solo dopo la nuova legge del maggio 1978 avrei potuto annullare i ricoveri coatti per conto mio come medico di guardia senza bisogno di ricorrere ad alcuna autorizzazione gerarchica.
All’arrivo dell’ambulanza dovevo discutere con la persona interessata e con la polizia e a volte predisporre la permanenza provvisoria fino al giorno successivo.
Alcuni infermieri insistevano senza risultato perché io controfirmassi alcuni provvedimenti di contenzione fisica che i medici del giorno avevano lasciato in sospeso per l’attività notturna del medico di guardia.
All’inizio gli infermieri non riuscivano a capire come era possibile che io fossi contrario in ogni caso a qualunque tipo di contenzione e a qualsiasi intervento di limitazione delle libertà.
Altri volevano che io sottoponessi i pazienti a iniezioni endovenose di psicofarmaci segnate in cartella dagli altri medici. Spiegavo al personale che le iniezioni endovenose di psicofarmaci erano dannose e a volte potevano mettere il paziente in pericolo di vita.
Perfino Cotti, che si dichiarava contrario agli psicofarmaci, mi aveva invitato a fare le iniezioni se erano prescritte dagli altri.
Il giorno dopo dovevo discutere con gli altri medici che mi accusavano di sabotare le loro terapie.
Io non avevo nessuna intenzione di danneggiare i ricoverati per compiacere i colleghi o per seguire le regole dell’istituzione. Cotti si preoccupava di mediare con gli altri medici che volevano che io mi adattassi, ma in quella situazione le mediazioni non servivano a nulla se non a favorire la quiete. Però aveva anche intrighi e interessi in comune con gli amministratori dell’ospedale e con i politici dei partiti, che erano contrari a qualsiasi cambiamento e a tutte le novità, come succede nelle burocrazie di potere.
Lo stesso era accaduto negli anni precedenti, quando lavoravo a Reggio Emilia, e Giovanni Jervis mi aveva detto che secondo lui era inutile che io evitassi i ricoveri in manicomio delle persone dei centri della montagna che dipendevano da me, quando poi succedeva che gli altri medici, quando io ero assente, prendevano decisioni differenti. Ricordo che una volta a Castelnuovo nei Monti passai la notte con un uomo ubriaco, per evitargli il ricovero che era stato deciso e prescritto.
Ho sempre lavorato con rivoluzionari molto rispettosi delle autorità.
A Reggio Emilia, per la mia chiara indipendenza e per il mio rapporto diretto con la popolazione, prima di essere licenziato e allontanato, fui accusato di essere uno spontaneista, seguace di Rosa Luxemburg.
All’alba di quella lunga notte ebbi una discussione molto difficile con una persona del reparto quattordici che, influenzata dai discorsi del personale e dalle pressioni dei medici, pretendeva di essere di nuovo legata nel letto per sentirsi tranquilla e per riuscire a addormentarsi.
Dopo quella esperienza notturna così avventurosa, Luca Bramanti non venne più a Imola per diversi mesi, e il suo lavoro rimase incompiuto per moltissimo tempo.
Poi mi ha raccontato che si era spaventato assai.
Io stesso ho sempre vissuto le notti di guardia all’istituto con forti preoccupazioni e con molta fatica.
In quelle notti si concentravano tutte le contraddizioni.”

tratto da : “Diario dal manicomio – Ricordi e pensieri”, Giorgio Antonucci, ed. Spirali. pag. 64/67

Pubblicato il: 29 November, 2012
Categoria: Notizie

Serata presentazione libro “Diario dal manicomio” di Giorgio Antonucci- Eugen Galasso – Musica: Anthony Sidney



Anthony Sidney:




Eugen Galasso

Quando sentiamo parlare di fumisterie politico-sociali, giustamente ci stufiamo e abbiamo bisogno del “ritorno al reale” (o almeno di quanto identifichiamo per tale, sempre che le questioni gnoseologiche e ontologiche ci coinvolgano molto), di quel mondo della vita che sembra spesso allontanarsi, da cui facciamo epoché anche quando ci addentriamo nel mondo non dorato delle tassonomie, delle identificazioni classificatorie,  arriva una serata come quella fiorentina (a”Liberi Libri”, lo scorso 21 giugno) con Giorgio Antonucci, persona dolcissima quanto intelligente (intelligere=comprendere o, se vogliamo – capire, ma Giorgio include entrambi gli aspetti), capace di reale empatia con tutti, che, da medico psicoanalista ma anche da psichiatra sul campo, per tanti anni operante nei manicomi, che ha lavorato sul campo “slegando matti” (letteralmente, non solo metaforicamente), confrontandosi con situazioni difficili, con la “reazione” sempre in agguato, fatta di psichiatria pavidi oppure legati a concezioni antiche quanto superate, anzi assurde in partenza (i tipi lombrosiani, per fare degli esempi, per non dire, in campo “terapeutico”, di lobotomia, elettroshock, coma insulinico, nel “migliore” dei casi psicofarmaci a profusione),

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Pubblicato il: 29 June, 2010
Categoria: Testi, Video

Presentazione: Diario dal manicomio- di Giorgio Antonucci – Libreria Libri Liberi-



Lunedì 21 giugno, alle ore 18.00, nel giardino della Libreria Libri Liberi
(Via San Gallo 25r, Firenze), siete invitati alla presentazione del libro


DIARIO DAL MANICOMIO

di GIORGIO ANTONUCCI


Apre l’evento il chitarrista-compositore ANTHONY SIDNEY
che suonerà alcune sue composizioni per chitarra


Presenta il libro il prof. EUGEN GALASSO


GIORGIO ANTONUCCI, medico, dopo aver lavorato a Cividale
con Cotti e a Gorizia con Basaglia, dal 1970 al 1972 ha
svolto la sua opera nei centri di igiene mentale di Reggio Emilia.
Dal 1973 al 1996 ha lavorato nei manicomi di Imola. Per le attività
svolte ha ricevuto riconoscimenti dal “Comitato dei Cittadini
per i Diritti Umani” Onlus , nel 1997 a Milano e nel 2003 a Los
Angeles. Amico di poeti e scrittori, gode di grandissima stima da
parte di Thomas Szasz, autore del libro “Il mito della malattia
mentale” uscito negli Stati Uniti nel 1961. Il 26 febbraio 2005 ha
ricevuto a Los Angeles il “Thomas Szasz Award” e, contemporaneamente,
un riconoscimento dell’assemblea legislativa della California.
Sul lavoro di Antonucci è uscito a Copenaghen, nel
1989, un libro di Svend Bach, docente di letteratura italiana al-
l’Università di Aarhus. Con Spirali ha anche pubblicato “La nave
del Paradiso” (1990) e “Le lezioni della mia vita” (1999).


ANTHONY SIDNEY, chitarrista e compositore. Nato in America,
dal 1962 vive a Firenze dove insegna e compone. Nel marzo
2008, per la “festa della donna”, si è tenuta in Palazzo Medici Riccardi
la prima esecuzione della sua composizione per trio: Flauto,
Viola e Arpa “Five moons in black” e nel dicembre 2009, nel più
prestigioso teatro della capitale della Moldavia, la prima esecuzione
del suo concerto per Arpa e Orchestra “Florence Concert”.
Attualmente tiene concerti solisti e lavora a nuove composizioni.


EUGEN GALASSO, pedagogista clinico, reflector, ricercatore
universitario, è da tempo collaboratore del sito “Centro di relazioni
umane”.

Pubblicato il: 12 June, 2010
Categoria: Eventi, Notizie

Giorgio Antonucci: “Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri.”, ed Spirali



pp.64-67

Video

“Un piccolo sogno mi ha riempito di gioia e la luna sembrava una palla di fuoco.


Nella notte di guardia che restò con me, Luca Bramanti seguì con attenzione tutti gli avvenimenti e si interessò ai miei interventi.
Mi seguiva in silenzio nei passaggi veloci da una parte all’altra dell’istituto dopo ogni chiamata, e andavamo in automobile o a piedi secondo le distanze o l’urgenza.
Fui chiamato quasi nello stesso tempo per due uomini in pericolo di vita per crisi acute da infarto, e una terza volta per un uomo in gravi condizioni per emorragia cerebrale.
Dovevo provvedere alle cure immediate e all’eventuale ricovero nel vicino ospedale civile, però i reparti non erano attrezzati per il pronto soccorso e il personale non era preparato e spesso non era nemmeno capace.
Chiedevo le medicine indispensabili per ogni occasione e necessità e gli infermieri e le infermiere trafficavano negli armadietti e nei carrelli senza riuscire a trovarle.
Spesso telefonavano in altre sezioni per trovare altri infermieri più capaci e attrezzati.

Per fortuna avevo con me un pronto soccorso che mi ero procurato apposta per ogni possibile evento.

Solo gli psicofarmaci si trovavano dappertutto in abbondanza.

Durante gli interventi mi venivano annunciati per telefono nuovi internamenti in arrivo.
Dovevo riflettere sul modo di revocarli e intanto dovevo preparare gli argomenti per convincere il giorno dopo il direttore.

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Pubblicato il: 3 June, 2010
Categoria: Libri, Testi

EUGENIA OMODEI ZORINI- Recensione “Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri” di Giorgio Antonucci

recensione di Eugenia Omodei Zorini

Psico-terapia e scienze umane, FrancoAngeli – anno 2009, volume XLIII, n.1


Alcune note biografiche sono utili per collocare il Diario dal manicomio in un contesto storico preciso. Giorgio Antonucci si è laureato in medicina all’inizio degli anni 1960, e già durante gli anni dell’università è entrato in contrasto con i docenti per le sue critiche esplicite all’impostazione autoritaria della medicina ufficiale. Dopo aver lavorato in alcuni quartieri della periferia di Firenze, la sua città, e in alcune borgate dei dintorni, è venuto in contatto con la realtà segregante delle Case di Cura e degli Ospedali Psichiatrici. Ha allora dedicato il suo tempo a evitare i ricoveri psichiatrici. Nel 1968 a Cividale del Friuli ha fatto parte del primo reparto di Ospedale Civile che nasce come padiglione aperto in alternativa ai manicomi. Nel 1969 ha lavorato nell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, allora diretto da Franco Basaglia. Dal 1970 al 1972, nel Servizio Psichiatrico Provinciale di Reggio Emilia, dove anch’io lavoravo, è stato responsabile del Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo Monti (link). E’ stata un’esperienza unica e significativa la collaborazione con lui alle iniziative innovative di partecipazione e coinvolgimento delle comunità locali per rompere la segregazione dei ricoverati dell’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro. Read the rest of this entry »

Pubblicato il: 14 April, 2009
Categoria: Libri, Testi

GIORGIO ANTONUCCI
Diario dal manicomio.Ricordi e pensieri.
ed. Spirali

Maria Rosaria D’Oronzo

 Giorgio Antonucci  \“In questo diario si vedono sia esperienze mie personali sia espeienze di internati perchè le une e le altre concorrono a formare il tessuto di un’unica vicenda” pag 193.

Nel “Diario dal manicomio” l’autore Giorgio Antonucci, attraverso il racconto della vita degli internati nel manicomio di Imola, espone le sue teorie e la sua pratica per la liberazione dalla prospettiva manicomiale a favore della libera convivenza comune: “Io dovevo affrontare da solo e controcorrente il compito difficile di ricostruire la personalità delle internate con lunghi anni di reclusione, implicando in modo nuovo e diverso lo stesso personale dell’istituto, abituato alla diffidenza, alle prepotenze e a rapporti reciproci di prevaricazioni” (pag30). L’autore fa testimonianza della propria tenacia nella convinzione del rispetto e del dialogo: “Passavo molte ore a discutere con il personale, di notte e di giorno, con il proposito di costruire una cultura differente, ed era importante che mi trovassi insieme a loro sul lavoro per affrontare i problemi concreti ogni qualvolta si presentavano… La mia continua partecipazione alla vita di reparto cambiava tutte le abitudini…Anche a Gorizia con Basaglia io ero il medico che viveva di più insieme agli internati” (pag 44). Read the rest of this entry »

Pubblicato il: 29 October, 2008
Categoria: Libri

Diario dall’immemoriale – Carlo Marchetti

di Carlo Marchetti – cifrematico,direttore Coop.Sociale “Sanitas atque Salus”


“Via via che conoscevo meglio la vita del manicomio mi rendevo conto che le persone internate ricorrono alle strategie e agli accorgimenti di sopravvivenza di cui tutti hanno bisogno quando si trovano costretti in luoghi di soggiorno forzato, dopo essere stati strappati con l’inganno e con la violenza alla loro casa, ai loro rapporti reali, ai loro affetti e al loro ambiente originale”. Tra le centinaia di testimonianze e di riflessioni che possiamo leggere nel Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri (Spirali), di Giorgio Antonnucci, considero questo uno tra i brani più significativi per indicare quella particolare logica, espressa dal pensiero occidentale dal quattordicesimo secolo a oggi – a eccezione del rinascimento – che porta gli uomini a giudicare l’altro togliendone prima di tutto il diritto, quindi pretendendo di modificarne il pensiero, per corregerlo, per indirizzarlo, per riportarlo su una via presunta retta in termini di morale e di ragione. La mitologia di Procuste, molti dialoghi di Platone, tra cui il Menone,  i libri dell’inquisizione religiosa, tra cui il Martello delle streghe, ma anche quelli dell’inquisizione filosofica, politica e mediatica di anni più recenti ce lo indicano. Corregere il pensiero dell’altro, togliere poesia, arte e invenzione, sogno di dimenticanza, e sessualità, in nome del logos e di principi di ragionamento e di valori che cambiano secondo le diverse epoche e le differenti mode culturali e politiche, è rimasta una pratica costante del pensiero occidentale.

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Pubblicato il: 26 February, 2010
Categoria: Testi

FOTO del MANICOMIO

Prima parte

Foto dei manicomi di Imola, anni ’80-’90

di MASSIMO GOLFIERI


Esterni in Interno

Le fotografie che compongono questo lavoro sono state realizzate all’interno delle mura degli ospedali psichiatrici di Imola con particolare attenzione verso i reparti 10, 14, 17 dell’Osservanza e Autogestito Lolli negli anni in cui questi erano diretti dal dottor Giorgio Antonucci, che per 23 anni si è adoperato a Imola contro l’internamento coatto e l’utilizzo di metodi coercitivi rendendo possibile l’eliminazione dei mezzi di contenzione e il recupero di dignità per i suoi assistiti…Giorgio Antonucci mi parlò per la prima volta delle strutture per il controllo sociale e mi invitò ad osservare meglio alcuni dettagli tipici di metodi architettonici specificamente studiati e perfezionati nei secoli, applicati nella costruzione di carceri, lager, caserme, seminari, ospedali e naturalmente anche dei manicomi. Il manicomio di Imola era un esempio da manuale ed era stato anche studiato dagli esperti tedeschi che progettavano i lager nazisti

...la solitudine della persona internata in manicomio è senza paragoni. Non è solo celle spioncini e cortili. E nemmeno soltanto psicofarmaci e elettrochoc.
E’ invece isolamento assoluto di chi, alcontrario di tutti gli altri internati di carcere o di lager, è considerato, sia pure arbitrariamente, senza pensiero,
o, che è lo stesso, privo di un pensiero razionale o, come si dice, con un pensiero malato…


Così si concretizzò la possibilità di fotografare e documentare questi reparti manicomiali in cui normalmante era impossibile entrare e la cosa era ad arbitrio dei vari primari che in genere erano ostili verso questo tipo di “intrusioni”.    Nei reparti di Antonucci erano scomparsi fin da subito tutti i sistemi di contenzione, le serrature e i legacci che venivano comunemente usati da altri suoi colleghi, le persone che vivevano lì giravano in abiti civili e non con il pigiama o la camicia di forza, si mangiava con le posate in piatti e ciotole di ceramica quando in altri reparti si mangiava in ciotole di stagno o plastica e senza posate,  i reparti erano abbelliti per quanto possibile con interventi artistici , manifesti e elementi di arredamento scelti dagli ospiti. Per molti di loro, residenti lì da 20 o 30 anni, le mura del reparto erano la propria casa, dove trascorrevano la loro vita quotidiana cercando di renderla migliore con piccoli conforti..
Frequentavo spesso quei reparti e conoscevo molte delle persone che lì vivevano,alle volte mi succedeva che in quegli ambienti tristi, densi di un odore infotografabile trovavo uno scorcio di vita da vecchia “casa del popolo” di campagna, spesso quelle persone le incontravo anche nel bar del quartiere…e ci si faceva pure molte foto-ricordo…
Per questo lavoro scelsi di mai fotografare le persone, ma di concentrare la mia ricerca sugli ambienti.
Sono scatti realizzati in pellicola diapositiva prevalentemente tra il 1987 e il 1997 in diverse sessioni, in diverse stagioni, quando all’Osservanza c’erano ancora parecchi “ospiti” residenti all’interno della struttura da molti anni…molti di questi uscivano all’esterno e in qualche modo erano presenti nella vita quotidiana della città.
Le riprese avvenivano in vari orari della giornata e non intervenivo su niente che potesse modificare l’atmosfera generale, il giornale lasciato sul tavolo, le sedie disordinate…la luce solare che si mescolava alla luce dei neon, oppure di sera solo con la luce di neon che dava dominanti verdi nella diapositiva, e, dopo aver piazzato il cavalletto aspettavo sempre che nessuna figura umana fosse nell’inquadratura… non cercavo di fotografare le conseguenze del disagio che sono state spesso rappresentate alle volte con discutibile compiacimento e spesso senza il benestare dei soggetti…
Giorgio Antonucci era spesso in reparto anche di sera, perchè seguiva personalmente tutte le vicissitudini che avvenivano e quando poteva  mi guidava nei meandri, mi proponeva degli scorci apparentemente insignificanti mi raccontava la storia dei luoghi, i cambiamenti fatti e da fare, l’ostilità dei colleghi e delle istituzioni, la stupidità della burocrazia…Si dedicava totalmente alle persone di cui era responsabile e per impedire che su di loro venissero fatti dei soprusi. Del suo pensiero e delle sue lotte Antonucci ne parla con la stessa passione e chiarezza nei suoi libri nei quali alcune di queste foto sono state pubblicate. Ho avuto l’onore e anche il piacere di fare con lui questa ricerca per immagini che documenta un’impresa che mi ricorda quella “Fitzcarraldo” di Herzog.  La cosa che può stupire è che queste immagini sono state realizzate in un luogo che si potrebbe definire “liberato” e non riflettono assolutamente lo stato dei manicomi in quegli anni. Ma quelle mura erano talmente impregnate di tragedie umane e patimenti che vi si potevano ancora leggere chiaramente, come dalle rughe di un volto.
Anche quando camminavamo in esterno lungo i viali alberati eravamo sempre all’interno di un muro di cinta con un grande portone di ferro.
M.G.

…Così i manincomi sono la morte degli internati ma sono nello stesso tempo il nostro impoverimento, la nostra tragica barbarie, la nostra vita superficiale e fallita,
che si consuma senza capire in una ignoranza psicologica totale…


Testi tratti da: Giorgio Antonucci
Critica al giudizio psichiatrico
ed: Sensibili alle foglie

Giorgio Antonucci, Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri”, p.156

“Massimo Golfieri, pittore e fotografo di Imola, preparò insieme a me un documento sulla realtà carceraria dell’istutito fotografando solamente i luoghi e gli oggetti, senza riprendere le persone.

Così si dà un’idea chiara delle strutture manicomiali nel loro vero significato.

Usammo le foto per un libro sui problemi della psichiatria e dei manicomi.

Le impronte delle unghie sulla porta di una cella, i camici bianchi posati sul letto, i cucchiai di stagno sui tavoli, le camice di forza nel ripostiglio, i buchi degli spioncini, gli ingressi dei gabinetti senza serratura, e altre immagini interessanti di regolare vita quotidiana istituzionale.”










































































Seconda parte

Imola, 6 ottobre 2010

Imola, la demolizione della Villa dei Fiori

“Ho visto la villa dei fiori un pò a pezzi… Ha frequentato gli psichiatri”.M. G.

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Pubblicato il: 6 December, 2008
Categoria:

Il ruolo, misconosciuto, di Antonucci – Conversazione






 

 


Van Gogh


Conversazione con Giorgio Antonucci – parte IV e finale


 


… Sono contenta che ti abbiano conosciuto questi miei amici che arrivano dall’estero. Infatti tu non sei molto conosciuto all’estero, a differenza per esempio di Basaglia, e le tue opere non sono state tradotte in inglese*. Eppure tu, a partire dagli anni ’60, sei un pensatore fuori dalle righe e hai scritto diversi libri, hai partecipato a conferenze, continui ad essere molto attivo con articoli e interventi vari. Hai attuato una rivoluzione in campo psichiatrico, dimostrando che è meglio farne a meno… Perché non sei molto ascoltato?


 


Per quanto riguarda l’essere conosciuti o meno, intanto a me è stato dato un premio a Los Angeles, quindi vuol dire che qualcosa è passato. Potrei dire che Basaglia, non fa paura a nessuno perché Basaglia non ha detto nulla contro la psichiatria. Tutti dicono di essere basagliani, quando mai Basaglia ha criticato la psichiatria? Dov’è scritto? Allora se tu critichi l’istituzione sono tutti d’accordo, tanto la rimettono insieme in un altro modo, quindi sembra di aver risolto il problema, invece fanno solo finta. Se invece tu critichi la psichiatria, tu critichi le basi di questa gente, per cui il mio discorso è rivoluzionario. Delle persone di un gruppo fiorentino di psicologia junghiana, che hanno letto il mio libro e sono venuti a trovarmi, mi dicevano che quando parlano di me, del mio libro Diario dal manicomio, gli psichiatri, gli psicanalisti e gli assistenti sociali vanno fuori di testa. Se parlano di Basaglia non importa nulla.
Quando mai Basaglia ha detto che bisogna abolire il Trattamento Sanitario Obbligatorio? Io non ho solo detto che bisogna abolirlo, ma ho fatto quarant’anni il medico, e non ho fatto una sola volta un Trattamento Sanitario Obbligatorio. L’ho rifiutato tutte le volte che potevo. Stavo per essere messo sotto processo perché respingevo tutti i ricoveri obbligatori. Purtroppo di quelli che conosco sono l’unico che ha rifiutato di prender le persone con la forza. Questo è un altro aspetto.
Allora, il mio pensiero è scomodo, quello di Basaglia no.
Anzi, è la base di tutta la psichiatria. Mi dispiace per lui, io l’ho conosciuto, ma il fatto è che lui non ha detto una parola, ha criticato le istituzioni e non il pensiero su cui si basano. Thomas Szasz ha scritto numerose opere di prim’ordine; in Italia non lo conosce quasi nessuno. Perché mettere in discussione la psichiatria è un discorso grosso, anche a livello politico.
Potrei aggiungere, anche se non sta a me dire perché sono conosciuto o no, che io non ho alle spalle nessuno, nel senso che per esempi Basaglia s’è affermato col Partito Comunista Italiano ( e forse anche per quello certe cose non le ha dette, no? ) ; io sono da solo. Io ho fatto questo lavoro da solo contro tutti, non so come mai ne sono uscito fuori, dato che non sono collegato con nessuna organizzazione. Nel ’92 ho avuto trentamila voti a Bologna come candidato di Rifondazione Comunista, per il Senato. Perché quando io lavoravo, siccome avevo addosso i burocrati del PD, quelli dell’estrema sinistra mi appoggiavano e mi hanno proposto come candidato a Bologna. C’è stato uno di Parma che ha preso un po’ più di voti, se no mi succedeva perfino…

 


… di diventare senatore!?!


 

Ci sono anche quelli che fanno finta di non conoscermi; per esempio tutti i basagliani mi conoscono benissimo. Jervis è morto, però durante tutta la sua vita avrebbe potuto parlare dal suo punto di vista del mio lavoro insieme a lui, ma non ha mai scritto di me in nemmeno un libro. Come se non esistessi. Pirella, che è entrato in rapporto con l’associazione Giù le mani dai bambini, voleva eliminarmi perché avevano eletto me come presidente onorario del comitato scientifico. Cioè, quelli di Basaglia fanno finta che io non esista, perché loro si sono fermati e da quella strada lì non si va da nessuna parte. E’ inutile criticare i manicomi se non si critica l’idea che li ha messi su. E’ inutile criticare i campi di concentramento se non si critica Hitler. Cioè, criticare i manicomi senza criticare la società e l’idea di cui si è servita la società per costruirli, significa fare un lavoro monco, che non serve a niente.


 


…Jervis era quello che non faceva gli elettroshock agli uomini ma solo alle donne…


 


…con lui ho lavorato a Reggio Emilia.


 


Già. Mi avevi raccontato di una suora che era stata sottoposta all’elettroshock, perché non sentiva più la vocazione, appunto da Giovanni Jervis e che tu non eri d’accordo**. Spesso quando dico che si devono eliminare l’elettroshock, il TSO e gli psicofarmaci altrimenti è inutile parlare di de-istituzionalizzazione, le persone non vogliono più ascoltarmi. Se parlo dei casi morti in psichiatria mi dicono: “Tu non devi parlare di queste cose, perché metti in cattiva luce…” Ma allora uno non ne deve parlare?


 


Per quello io sono l’innominato. Comunque io non sono inquadrato da nessuna parte e ho avuto degli appoggi basati sul mio lavoro, non al contrario, e cioè che il mio lavoro si sia affermato per via degli appoggi. E’ venuta a trovarmi Dacia Maraini*** eccetera. Io non sono di nessuna religione, perbacco! Non credo in nessun diavolo e nessun dio. Per quarant’anni di lavoro a rischio mio personale ho respinto i ricoveri. Ho liberato le persone quando stavano per essere rinchiuse, quando arrivavano che ero medico di guardia, io dovevo farle slegare, farle uscire dall’ambulanza, mandare via gli infermieri, mandare via i medici, parlare con la persona, telefonare al medico che l’aveva mandato, telefonare ai parenti. Scombinavo tutto, a mio gravissimo rischio. Infatti ho rischiato di essere condannato dal tribunale di Bologna. Mi è andata bene, ma poteva andare male. Per cui quelli che parlano, che dicono che bisogna abolire il Trattamento Sanitario Obbligatorio, se non ci fossi io non ne potrebbero parlare, perché non ci sarebbe nessuno che l’ha fatto. In quarant’anni non ho fatto nessun TSO e ho evitati tanti.


 


Grandioso! Il tuo destino assomiglia un po’ a quello di Dante. Lui è stato esiliato, proprio fisicamente, e tu in qualche modo sei un po’ esiliato, come Dante…
Un’altra domanda: l’individuo che rifiuta l’aiuto e che perde tutto, il suo appartamento, la sua rete sociale, che è sulla strada e lentamente e certamente collassa… Vedendo questo, cosa si deve fare?



Ho già detto che se io ho un tumore allo stomaco e non mi voglio operare e muoio, bisogna rispettare la mia volontà. Questo vale per tutto. Il fatto di una gamba rotta è un fatto semplice su cui fare una previsione, su un problema della personalità non si possono fare previsioni. Comunque il discorso non è questo. Non c’è qualcuno che deve stabilire un programma su di lei, è la persona che deve scegliere quello che deve fare. Non si può misurare. Si continua a paragonare una frattura, che è un fatto fisico, su cui si possono fare delle previsioni, a un fatto morale che non è misurabile.


 


Ad esempio abbiamo una persona che ha perso il lavoro, ha delle difficoltà sociali, quindi ha bisogno anche di assistenza, ha bisogno di soldi…A una persona in una tale situazione viene fatta la diagnosi psichiatrica; e poi viene aiutata per riprendersi…
No, non viene aiutata. Dovrebbero smettere di fare diagnosi psichiatriche a tutti quanti! Non è che ci sono tanti che stanno male, ci sono tanti che vengono classificati e questo serve solo alle case farmaceutiche per vendere farmaci e sono interessi degli psichiatri in quanto guadagnano. La soluzione è smettere di fare diagnosi psichiatriche. Quelli che giocano d’azzardo sono malati di mente, quelli che divorziano sono malati di mente, quelli che spendono più di quello che dovrebbero sono malati di mente…

Si, immaginiamoci il disoccupato che non guadagna niente…

Allora bisogna smetterla di vedere sotto questa prospettiva e cambiarla, altrimenti non si va da nessuna parte. Poi la persona classificata dagli psichiatri non è aiutata, è messa da parte, anche con la pensione. Quando qualcuno mi diceva di volersi far dare una pensione per motivi psichiatrici, ho sempre consigliato di evitare di prenderla perché si sarebbero rovinati. Cioè, il problema è che la psichiatria non è assistenza, la psichiatria è eliminazione. I problemi psicologici non sono la rottura di una gamba o una malattia, sono un’altra cosa. Allora è la società intera che deve farsi carico dell’infelicità. Si è parlato dei bambini che vanno in guerra? Noi lo siamo, in guerra: si sta bombardando una città con più di un milione di abitanti, si ammazzano uomini, donne e bambini, i giornali non ne parlano nemmeno. Ecco, in una società così, poi se si finisce per trovarsi infelici, c’è mica da meravigliarsi. Ci sono dei problemi grossi. Se continuiamo così la società si trasforma in un ospedale. Non si può pensare a un superamento della psichiatria senza pensare a una trasformazione della società, a come vivono gli uomini. Questa società qui si sta trasformando in un ospedale che serve alle case farmaceutiche che vendono sempre più farmaci; alle fabbriche d’armi che si rinnovano…


 


…agli oligarchi che creano disoccupati!
…il problema della critica alla psichiatria è anche il problema della critica alla società. Senza la prospettiva di una società diversa si resta così.


 


La mia non è una domanda. Ieri siamo partiti da Bruxelles e siamo arrivati a Traona; Erveda ha deciso lì per lì di venire a Firenze…Per noi è stata una sorpresa. Io ad esempio non avevo alcuna idea di quanti chilometri ci fossero da fare! Così ieri siamo partiti, abbiamo fatto quattrocento chilometri, e poi ho pensato che abbiamo fatto quattrocento chilometri per una persona! E, per dirla tutta, valeva la pena. La conclusione è: complimenti!
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*Nel frattempo, però, da parte de “Il Cappellaio Matto” è stato sottotitolato una video-intervista realizzata da Saverio Tommasi: (http://www.youtube.com/watch?v=vOGYblcMFkk). Inoltre è sottotitolato il video-documentario “Gli occhi non li vidono – Premio Giorgio Antonucci” (https://www.youtube.com/watch?v=KFUKWHcUMnc).
**Una domenica – ero di guardia, quindi avrei dovuto svolgere le funzioni dei medici assenti – Jervis mi telefonò dicendomi che dovevo fare l’elettroshock a una paziente. Io risposi che l’elettroshock non lo facevo; egli disse che l’avrebbe eseguito di persona e mi invitò ad andare a vedere; così, perché non pensasse che io non facevo l’elettroshock per l’impressione, anziché per principio, cioè perché l’elettroshock fa male, fui costretto ad andare a vedere. Vidi fare l’elettroshock a una suora di ventotto anni che era stata, dal convento in cui viveva, internata dalle consorelle perché ad un certo punto aveva cominciato a dire che lei non voleva più saperne di essere sposa di Gesù, ma voleva degli sposi sul serio. Jervis allora le faceva l’elettroshock; la situazione si commenta da sola! Io presi i reparti di donne che erano di Jervis e vi trovai che l’elettroshock era molto usato, mentre nei reparti degli uomini era stato eliminato. Questa è una testimonianza di un’altra situazione complicata, contraddittoria. Inoltre i medici sostenevano che le persone dovevano essere liberate dal manicomio, ma non tutte potevano uscire. Le uscite erano consentite solo se controllate, mentre con me non erano più controllate perché ritenevo che ogni persona avesse il diritto di uscire quando voleva e secondo le sue intenzioni. Operai così due cambiamenti: tolsi l’elettroshock e lasciai le persone libere. Inoltre comincia a ridurre gli psicofarmaci, per poterli togliere definitivamente. Per questo motivo ebbi una discussione con Pirella dal momento che, nel reparto donne, c’era una persona anziana che piangeva continuamente ed egli voleva provvedere a questa situazione ricorrendo all’elettroshock. (Intervista a cura di Clarissa Brigidi – fonte: http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net, visualizzato il 10/04/2013).

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***Dacia Maraini parla del suo incontro con Giorgio Antonucci e delle visite nei suoi reparti in alcuni articoli de La Stampa e nei libri Dossier Imola e legge 180 (1979) e La Grande Festa (2011).

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Pubblicato il: 12 August, 2015
Categoria: Testi

La devianza come malattia – A-rivista anarchica n°398 – Recensione “Fra diagnosi e peccato” di Chiara Gazzola – Estratto

 

 

…”L’autrice di formazione antropologica,dimostra attraverso un approccio storico, sociologico, antrpologico come la diversità sia considerata indice di irrazionalità e insensatezza, una minaccia al corretto funzionamento dell’ordine morale e sociale. Sottolinea il carattere ambiguo, soprattutto nell’ambito della classificazione delle malattie mentali in psichiatria: l’anomalia, come antitesi di normalità, è irretita di attributi morali. L’ambito psichiatrico contribuisce ad alimentare il nostro pregiudizio rispetto a ciò che per noi è alienazione mentale, follia. Per altre culture, invece, rappresenta l’esternazione di uno spirito che porta ad agire al di sopra della volontà delle persone, l’anomalia sociale è interpretata in funzione del bene della collettività e inserita in un contesto di credenze condivise”….


…”Per un approccio alla terapia, la fiducia è indispensabile all’efficacia della cura stessa. Nella voce corale delle testimonianze raccolte, ricorre la richiesta di ascolto, conforto alla sofferenza. Si chiede Gazzola: “Quando la relazione tra individui è disturbata da burocrati, agenti di controllo e giudici o si attua all’interno di progetti nei quali il poter fare si basa su poteri di forza, può avviarsi un rapporto di reciprocità?” Le ingiustizie evitabili generano un dolore spesso impossibile da accettare.”


…”C’è una sottile e discriminatoria linea di confine fra prendersi cura e gestire l’aiuto, come ben dimostra l’analisi su etnopsichiatria e flussi migratori……L’assistenzialismo è il volto buono delle istituziioni totali. L’esclusione viene attuata ogni volta in cui si crea una categoria o una situazione che susciti scandalo, un risentimento sociale al quale si abbina una giustificazione “scientifica”. Le aree di studio dell’etnopsichiatria pongono attenzione ai fattori ambientali e sociologici, ma giustificano una cura farmacologica chiamando ogni conflitto con il nome di una patologia. Pertanto si esclude una soluzione attraverso un approccio culturale e relazional.”


…”Nelle coversazioni riportate a conclusione del saggio – pregevole quella con Giorgio AntonucciMichela Zucca, antropologa, commenta: “La condivisione, la solidarietà, la spinta ideale collettiva aiutano a superare le sofferenze individuali. Se una persona è coinvolta e impegnata in un progetto riuscirà più facilmente a non cadere nel malessere: in questo senso la lotta è terapeutica”.


Giorgio Antonucci, medico, in Diario dal manicomio (qui) scrive: “Non è detto che una persona debba attenersi per forza alla vita empirica invece che essere fantasiosa, specialmente se il sognare a occhi aperti le è utile per vivere, e non è detto che debba rispettare i pregiudizi e le convenzioni della società quando queste le divengono intollerabili.)


L’articolo completo di Chiara Piccinelli, su Arivista anarchica, 398, maggio 2015


Fra diagnosi e peccato. La discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione.Chiara Gazzola (qui)

 

Pubblicato il: 25 May, 2015
Categoria: Notizie

Centro di Relazioni Umane (Bologna) — Maria Rosaria d’Oronzo